Nietzsche, ben prima di aver percorso tutte le fasi del suo pensiero, quando ancora non aveva rifuso i suoi modi di concepire il significato delle varie culture che si sono succedute nell’Occidente, già nel 1871, alla notizia dell’incendio delle Tuileries sotto la Comune, vede in questo avvenimento l’insostenibilità di una cultura tradizionale:
«… bisogna riconoscere» scrive a Gersdorff, «come proprio questo fenomeno della vita moderna, e quindi l’Europa cristiana e il suo Stato e specialmente la sua “civiltà” romanza,oggi predominante ovunque denuncino la grave tara da cui è affetto il mondo: noi tutti e il nostro passato siamo colpevoli di questo terrore che si manifesta alla luce del sole: quindi dobbiamo ben guardarci dall’imputare dall’alto dell’opinione che abbiamo di noi, il crimine della lotta contro la cultura esclusivamente a quegli infelici. So bene che cosa vuol dire: lotta contro la cultura [*]. Quando venni a sapere dell’incendio di Parigi, per alcuni giorni mi sentii completamente annientato, e mi scioglievo in lacrime e dubbi: tutta la vita scientifica, filosofica e artistica mi apparve un’assurdità, dal momento che basta un solo giorno per spazzar via le supreme meraviglie, anzi interi periodi dell’arte; e mi aggrappai con seria convinzione al valore metafisico dell’arte, che non può esistere per la povera gente, bensì ha da compiere ben più alte missioni. Ma nonostante il mio immenso dolore, non me la sentivo di scagliare anche solo una pietra su quei profanatori i quali, per me , non erano che i portatori della colpa universale, sulla quale molto c’è da meditare!…».
Il giovane professore di filologia del 1871 si esprime e reagisce ancora da erudito «borghese»; tuttavia, il cinismo di una frase come: «l’arte non può esistere per la povera gente» implica una autoironizzazione critica, un’autocondanna espressa nelle prime e nelle ultime righe: se l’arte non può esistere per la «la povera gente», allora questi ultimi si addossano la colpa della sua distruzione: ma così non fanno che manifestare la «nostra» colpa universale, che consiste nel dissimulare la nostra iniquità sotto l’apparato della cultura. Addossarsi il crimine della lotta contro la cultura – questo è il tema soggiacente al pensiero ancora ellenizzante del giovane Nietzsche; e questa non è che l’altra faccia del tema che si farà sempre più esplicito nel corso degli anni successivi: addossarsi il «crimine» della cultura contro la miseria esistente – il che finisce per mettere in causa la cultura stessa: una cultura criminale.
A prima vista, la visione è assolutamente aberrante: i comunardi non si sono mai sognati di attaccare l’arte in nome della miseria sociale. Il modo in cui il problema viene qui posto da Nietzsche, all’annuncio di una notizia falsa, è la prova lampante di ciò che egli stesso confessa: un senso di colpa borghese. Ma proprio a questo punto egli pone il vero problema. Sono o no colpevole quando godo della cultura di cui la classe povera è priva?
Ciò che Nietzsche intende per nostra colpa, quella che, a suo parere, gli incendiari si sono addossata con il loro gesto, è il fatto di aver permesso alla morale cristiana e postcristiana di mantenere la confusione, e cioè l’illusione, l’ipocrisia di una cultura che ignora le disuguaglianze sociali, quando invece è solo la disuguaglianza a renderla possibile, la disuguaglianza e la lotta (tra diversi gruppi d’affetti).
Pierre Klossowski
Nietzsche et le cercle vicieux, Mercure de France 1969
tr. it. E. Turolla, Nietzsche e il circolo vizioso, Adelphi 1981
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[*] corsivo di P. Klossowski