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Strade pericolose
Tutte le vie Almirante portano a Roma *
di Franco Bergoglio
La manovra a tenaglia volta a riabilitare il segretario del MSI Giorgio Almirante non è partita con la pubblicazione dei suoi discorsi parlamentari o con la proposta di Alemanno di dedicargli una via di Roma. Per inquadrare la vicenda dobbiamo risalire al 2003, quando il presidente della Regione Lazio Storace invitò gli amministratori locali a intitolare al nostro una via in ogni comune. Viterbo, guidata da una destra zelante, gli ha consacrato addirittura una frondosa circonvallazione inaugurata alla presenza di Donna Assunta. A Corato, in Puglia, c’è una piazza; ma sono almeno una quindicina le vie Almirante italiane, che spesso hanno destato proteste di cittadini, raccolte firme, censure delle associazioni antifasciste e delle sinistre.
Da questo sguardo alla toponomastica italiana risulta evidente come la battaglia Almirante si sia già consumata e che Roma capitale sia solo la ciliegina. Si vuole Almirante tra i padri della patria, “pacificatore”, statista: ma la proposta parte sempre da esponenti di AN, ansiosi di pagare tributo alla memoria del primo segretario del mai dimenticato Movimento sociale. Per sviare le proteste, Alemanno ha corretto il tiro affermando che la via sarà dedicata al segretario del MSI solo con l’assenso della comunità ebraica romana.
Questa uscita apparentemente conciliante nasconde delle insidie.
Perché solo la comunità ebraica? Almirante nel 1938 era redattore de La difesa della razza, il giornale che invocava la persecuzione fascista degli ebrei. Nonostante la gravità dei suoi scritti antiebraici è noto che egli successivamente li abiurò con un atto di pubblico pentimento e questo fattore potrebbe addirittura rivelarsi un vantaggio. Se rimangono nell’ombra le vittime concrete, i deportati e i fucilati, si rischia di fermarsi alle scelte di campo ideali, che con una ammenda diventano peccati veniali. E’ una sottile perfidia chiamare la comunità ebraica al ruolo di arbitro unico su un personaggio che ha avuto incarichi direttivi nella Repubblica Sociale Italiana ed è stato coinvolto in vicende gravissime, costellate di lutti.
Tutta Roma e l’intera collettività italiana dovrebbe trovare un moto di sdegno e invece quasi nessuno ha avvertito l’obbligo di reagire anche solo mediante una rilettura storica della figura di Almirante mentre il ritorno in scena avviene con una strategia tanto collaudata da parere orchestrata: il più fortunato e frequente stilema è quello della par condicio viaria: una via ad Almirante, una, per ipotesi, a Berlinguer o Craxi. Anche Alemanno ha seguito la scia. Francesco Merlo, sulla Repubblica del 27 maggio, parlava con ironia di guerra civile toponomastica e nell’incipit dell’articolo, scriveva: «La via di Roma che il sindaco Alemanno devotamente vorrebbe intitolargli non solo rischia di condannarlo per sempre a quell'idea di fucilatore che a sinistra avevamo di lui». Cos’è questa storia del fucilatore cui Merlo allude senza spiegare? Buttata lì così non si capisce e nessuno pare aver voglia di alzare il sipario sui molti fatti controversi che hanno coinvolto Almirante. Partiamo dall’estate 1971. Si rinviene negli archivi di Massa Marittima un bando datato maggio 1944 con in calce la firma di Almirante: il proclama ribadiva la pena di morte per i giovani che non avessero risposto alla chiamata alle armi nell'esercito repubblichino e decretava: «Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena». All’affissione del manifesto era seguita di pochi giorni la terribile strage di minatori a Niccioleta nel Comune di Massa Marittima, proprio il luogo dove il bando era stato rinvenuto. Il testo venne fatto circolare con il commento di "Almirante Fucilatore di partigiani". Si profilava la responsabilità quanto meno morale su fatti archiviati con un rapido processo nel dopoguerra, dove gli unici condannati dal tribunale di Pisa erano stati alcuni fascisti locali. Almirante querelò con rabbia tutti coloro che avevano pubblicato la notizia, in primis l’Unità. La sua linea difensiva era improntata al negazionismo: il leader dell’Msi sosteneva fosse un falso storico costruito dalla sinistra. I processi gli diedero torto e Almirante si trovò nella scomoda posizione di passare da accusatore a imputato. Nel 1978 arrivò la sentenza definitiva della Cassazione che assolveva l’Unità e condannava Almirante al risarcimento dei danni, anche perché nel frattempo l’autenticità del bando era stata confermata dal ritrovamento negli archivi di Stato di un telegramma del maggio 1944, spedito dal ministero della Cultura Popolare alla prefettura di Lucca, che riproduceva il bando e il capo di gabinetto (Almirante) ne sollecitava l’affissione in tutti i comuni della provincia.
Il processo ebbe una appendice di sangue: il pubblico ministero che aveva istruito il caso, Vittorio Occorsio, venne freddato in un agguato per mano di terroristi neri. Carlo Ricchini - ai tempi delle vicende giornalista all’Unità - ha donato le carte di questa lunga battaglia processuale all’Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell'Età Contemporanea (ISGREC) che ha costituito un fondo.
Nonostante recentemente Repubblica (Fiori il 29 maggio 2008) abbia rilanciato le affermazioni di Ricchini: «Ci apparve subito evidente che era stata scoperta una prova della partecipazione diretta di Almirante alla repressione antipartigiana, da lui tenuta nascosta…» rimane ancora una volta in ombra la strage della Niccioleta, mai destinata agli onori della cronaca. Che sia per via del coinvolgimento di Almirante? La vicina città di Grosseto pochi anni fa voleva titolare una via ad Almirante e l’ISGREC è intervenuto nell’occasione con una memoria indirizzata alla Giunta della città, come ci ha ricordato la direttrice dell’istituto, Luciana Rocchi, firmataria del documento. In questo si poneva l’accento su un ulteriore aspetto: l’attività diretta di Almirante contro gli ebrei, provata da un documento dell’estate del 1944: lo Schema di disposizioni alla stampa e alla radio per la propaganda in materia razziale. Scrive L’ISREG: «con questo schema di disposizioni Almirante dà il suo contributo all’attuazione delle persecuzioni …» agevolando la deportazione degli ebrei dall’Italia nei campi di sterminio tedeschi che produsse oltre 6000 vittime, una trentina delle quali grossetane.
Ma torniamo ai martiri della Niccioleta. Si trattava di lavoratori della miniera di pirite situata nella omonima località che avevano organizzato turni di guardia agli impianti per scongiurare saccheggi e distruzioni ad opera dei nazifascisti in ritirata. Furono scoperti e denunciati da delatori fascisti locali. Difendevano la miniera. Quello fu il pretesto per massacrarli. Sei minatori (in odore di antifascismo) furono massacrati subito, il 13 giugno sul piazzale dello spaccio aziendale. Gli altri furono tradotti a Castelnuovo Val di Cecina e il giorno seguente ne furono assassinati 77. L’ISGREC – ci informa Luciana Rocchi – ha recentemente inaugurato a Castelnuovo un museo diffuso, realizzando grandi pannelli collocati nei luoghi della memoria.
Quasi in contemporanea, per tragica ironia, AN ha tappezzato Milano di manifesti per Almirante: “un grande italiano, un esempio da seguire”. Ma come si studia a scuola con Manzoni, si può essere grandi anche nel male. Forse bisognerebbe tappezzare Milano col bando Almirante. Sul blog Incidenze due lunghi post sono consacrati alla disamina della figura di Almirante: il secondo in particolare narra attraverso i documenti gli eventi del famigerato bando e della Niccioleta.