Dopo la svolta ‘badogliana’ di Fini, per l’estrema destra Berlusconi è
diventato l’assoluto punto di riferimento. In lui i moderni camerati
vedono il nuovo Mussolini, l’atteso ‘capo carismatico’ capace di
scardinare le regole democratiche e costituzionali. Il razzismo del
Cavaliere, il suo revisionismo storico e la sua ‘antipolitica’ li
affascinano. E oggi puntano sul Pdl.
«Duce, Duce», «Silvio, Silvio». «L’antifascismo che ha portato tante disgrazie e nefandezze dal 1945 ad oggi non potrà mai essere un nostro valore. Oggi la nuova Italia di Berlusconi-Tremonti-Alemanno sta davvero cambiando in meglio la nostra nazione». «Il nostro presidente Berlusconi ancora una volta si dimostra capo popolare e carismatico, fregandosene del “politicamente corretto” e degli antifascisti vecchi e nuovi». «Berlusconi? Mai stato antifascista». «Per chi vuole incentivare politiche nazionaliste è necessario sostenere il centro-destra che si regge intorno alla figura carismatica di Silvio Berlusconi».
In queste parole ci sono più di tre generazioni di neofascisti che, divisi su tutto, si ritrovano da tempo uniti nel considerare la figura di Berlusconi come quella di un «nuovo Duce». Come è accaduto? Cerchiamo di capirlo ripercorrendo le tappe di questa attrazione fatale.
«Duce, Duce», «Silvio, Silvio». Teste rasate, bomber e anfibi ai piedi, scandiscono gli slogan a squarciagola. In aria sventolano le celtiche e le bandiere della X Mas: gli «eroi» della Repubblica pro nazista di Salò. Marciano inquadrati, come soldati. Sono venuti da tutta Italia per dire il loro «no» alla sinistra. Dal palco Berlusconi afferma che «è il popolo che sceglie i leader». I camerati rispondono con una distesa di saluti romani e cantando un ritornello che rimanda a un terribile passato: il «me ne frego» degli squadristi mussoliniani. In piazza ci sono anche i neofascisti della Fiamma tricolore, riuniti dietro un grande striscione con su scritto: «Anticomunisti da sempre». Tra chi lo sorregge ci sono diverse generazioni dell’estrema destra: quelli cresciuti nell’Msi e delusi dall’evoluzione politica e dalle «svolte» di Fini, quelli passati per i gruppi radicali da Avanguardia nazionale negli anni Settanta al Movimento politico negli anni Novanta, infine i più giovani frequentatori dei «centri sociali» di destra. Siamo alla manifestazione organizzata dalla Casa delle libertà contro il governo Prodi il 2 dicembre del 2006. Con il Cavaliere, sul grande palco allestito in piazza San Giovanni, ci sono, oltre a tutti i big del centro-destra, Alessandra Mussolini, la nipote del Duce che non ha mai nascosto l’orgoglio di portare quel nome, e Luca Romagnoli, segretario della Fiamma e dal 2004 europarlamentare, che solo pochi mesi prima, durante una trasmissione televisiva su Sky aveva affermato, interrogato sulla Shoah: «Se le camere a gas sono mai esistite? Francamente non ho nessun mezzo per poterlo affermare o negare». In occasione delle elezioni politiche del 2006 il partito di Romagnoli – denominazione completa Movimento sociale Fiamma tricolore, alleato con il centro-destra in tutta Italia – aveva realizzato un manifesto che accanto alla foto di un gruppo di squadristi del Ventennio annunciava: «Sostieni la squadra del cuore».
Ma, in quello stesso anno, le bandiere neofasciste sventolano anche a Napoli il 7 aprile in occasione di un altro appuntamento della «piazza di destra». Berlusconi sta chiudendo la campagna elettorale della Cdl e dei suoi alleati: pochi giorni dopo, il 9 e il 10, perderà le elezioni vinte invece dal centro-sinistra: «Domenica e lunedì vinceremo perché non siamo coglioni», scandisce. La piazza, gremita, risponde con un’autentica standing ovation. Tra le grida di giubilo della folla si può distinguere nettamente il «Duce, Duce» che, in coro, alcuni manifestanti indirizzano all’oratore prima di stendere il braccio destro nel saluto romano.
Solo folklore? Solo casi isolati? Basterà guardare un po’ meglio tra le file dell’arcipelago nero per rendersi conto che non è così.
«L’antifascismo che ha portato tante disgrazie e nefandezze dal ’45 ad oggi non potrà mai essere un nostro valore. Oggi la nuova Italia di Berlusconi-Tremonti-Alemanno sta davvero cambiando in meglio la nostra nazione. Berlusconi è l’uomo che ha salvato il mondo da una nuova guerra fredda (vedi caso Russia-Georgia) e che vuole restituire sovranità economica ed energetica all’Italia. Enrico Mattei venne assassinato per molto meno. Per questo e tanto altro [il Cavaliere] è il nemico numero uno di mister Sky, Gruppo L’Espresso e l’asse anglo-francese» dichiara Giuliano Castellino, romano, un nome noto delle ultime generazioni del neofascismo, passato per la Fiamma, ma anche per Forza nuova e la cosiddetta Base autonoma, e poi fondatore del movimento Il popolo di Roma, corrente del Pdl capitolino legata al sindaco Gianni Alemanno. Il tutto intervallato da esperienze tra gli ultras del calcio della Roma e concerti di rock estremista, oltre a diverse inchieste della magistratura. Castellino ha un suo gruppo musicale, La Peggio Gioventù, con cui dà sfogo a tutto il suo antiamericanismo: «Quando è arrivata è stata una festa, mister Bush è molto incazzato perché Katrina lo ha devastato, ora speriamo in un suo ritorno ma questa volta vada fino in fondo. Il suo arrivo l’han voluto gli dei, ha sottomesso yankee e farisei. È uno schianto è un uragano, noi gli mandiamo un bacio romano. Katrina ti amo, Katrina ti amo». Altri cavalli di battaglia della band: la «lotta all’ideologia del Sessantotto» e all’antifascismo. Sul sito del movimento guidato da Castellino, che inizialmente si chiamava Area identitaria, si legge: «Noi siamo gli Identitari, i figli d’Italia e d’Europa, pronti a vincere le battaglie del terzo millennio. Noi siamo il locomotore di una nuova e profonda contestazione generazionale contraria e opposta a quella del Sessantotto che ha distrutto i concetti di patria e famiglia». Per questo gli «identitari» hanno condotto per mesi una campagna di boicottaggio del film Il grande sogno di Michele Placido, reo ai loro occhi di esaltare i valori e la storia di quel periodo.
Se questo è un primo segnale di quali siano gli ambienti neofascisti che guardano a Berlusconi come a una figura di riferimento, l’indagine deve però andare più a fondo: cosa hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi Silvio Berlusconi e «il berlusconismo» per nostalgici a vario titolo del Ventennio mussoliano e della Repubblica di Salò? Dove trovare le ragioni profonde del fascino esercitato dall’uomo di Arcore sugli orfani di Mussolini?
Il 27 maggio 2010 in un discorso pronunciato in occasione di una riunione dell’Ocse il Cavaliere cita un passaggio dei Diari di Mussolini, un testo scovato dal suo fedelissimo Marcello Dell’Utri e che gli storici hanno dimostrato essere falso, e si paragona al Duce. «Io non ho nessun potere, forse ce l’hanno i gerarchi, ma non io. Io posso solo decidere se far andare il mio cavallo a destra o a sinistra, ma nient’altro». Pochi minuti dopo sul suo blog Roberto Jonghi Lavarini, che Paolo Berizzi ha definito nel suo libro sui «nuovi nazifascisti» (Bande Nere, Bompiani 2009) il Barone nero di Milano, ringrazia «il nostro presidente Berlusconi che, ancora una volta, si dimostra capo popolare e carismatico, fregandosene del “politicamente corretto” e degli antifascisti vecchi e nuovi, alla faccia del voltagabbana Gianfranco Fini. «[Siamo] finalmente liberi di gridare: W IL DUCE!».
Già eletto nel consiglio comunale di Milano nel partito La Destra guidato da Francesco Storace – formazione a cui il Cavaliere ha promesso da tempo un posto nel governo – Jonghi Lavarini ha formato il gruppo Destra per Milano e ha aderito al Popolo della libertà. Non ha però rinunciato a nessuna delle sue antiche passioni: sostiene l’estrema destra tedesca, il partito boero sudafricano pro apartheid, il cui simbolo è una svastica a tre braccia sormontata da un’aquila, e rivendica con orgoglio l’appartenenza alla fondazione Augusto Pinochet, in omaggio al feroce dittatore cileno. Non vede del resto alcuna contraddizione tra la sua fede neofascista e l’adesione al partito del Cavaliere: «Avanti liberi e coerenti nel Pdl, con la fiamma nel cuore». E il suo blog è una sorta di museo di questa inedita alleanza: tra i siti segnalati spiccano quelli dedicati a Mussolini, alla X Mas e alla Repubblica di Salò, il tutto mescolato con i nomi di Silvio Berlusconi e Romano La Russa, esponente di spicco del Pdl milanese e fratello del ministro della Difesa Ignazio. Per quanto estreme possano apparire le sue posizioni, Jonghi Lavarini non è però un personaggio marginale della scena politica meneghina. Come racconta Paolo Berizzi nella sua inchiesta, nell’ottobre del 2008 ha partecipato al Lido di Milano alla festa del Popolo della libertà, «partecipando alla cena di gala con Silvio Berlusconi al quale ha anche regalato un libro apologetico sulla storia della Rsi».
Se per Jonghi Lavarini la passione per il Ventennio e la Rsi conducono direttamente tra le braccia di Berlusconi, per Gabriele Adinolfi, stesso fascismo ma diversa generazione, è quella che viene presentata come una necessità tutta moderna di «ordine» e di «autorità» che spinge a vedere nel Cavaliere una sorta di nuovo Duce. Per Adinolfi, considerato l’ideologo dell’estrema destra italiana dell’ultimo decennio e passato da Terza posizione – neofascisti degli anni Settanta – a Casa Pound – fascisti del terzo millennio, secondo la loro stessa definizione – Berlusconi incarna, al pari del suo amico Putin, quel «neocesarismo» che, anche passando per un restringimento delle libertà democratiche, può salvare l’Europa dalla corruzione democratica. «Questi intendimenti, che mettono in pericolo la Costituzione, come non si stancano di ripeterci i chierici della Prima Repubblica, sono davvero liberticidi?», si chiede il leader neofascista facendo eco alle polemiche spesso suscitate dai progetti del Cavaliere. «La storia», aggiunge, «c’insegna che la libertà va di pari passo con l’autorità centrale», con quella «monarchia popolare, [che] sotto forma regale, imperiale, o cesariana, ha da sempre espresso l’intesa tra popolo e capo chiudendo nella forbice e tagliando le unghie e i canini ai privilegiati e ai proci». Perciò, «nessuno che abbia un briciolo di intelligenza, un minimo di mentalità politica e tenga alla libertà può non augurarsi che Berlusconi abbia la meglio sui proci».
L’attenzione dell’estrema destra verso i nuovi politici inclini a coltivare il culto della propria personalità non è un fatto completamente nuovo per il nostro paese. Qualcosa del genere era cominciato ad accadere anche con Bettino Craxi, e prima di lui con Cossiga, ma in forme decisamente più circoscritte. Con Berlusconi il fenomeno è invece dilagato, al punto che nel paese che vanta la più lunga e corposa tradizione neofascista del mondo – il Movimento sociale italiano fu fondato già nel 1946 e raccolse nel corso di cinquant’anni di vita alcuni milioni di voti – c’è chi, nell’estrema destra, arriva a vedere nel Cavaliere proprio una sorta di «nuovo Duce».
Del resto, fin dalla sua «discesa in campo» Berlusconi ha contribuito a sdoganare politicamente l’estrema destra e a rileggere nel segno del revisionismo storico il passato nazionale. Quando nel novembre del 1993 il Cavaliere dichiarò che se fosse stato residente a Roma avrebbe votato per Gianfranco Fini, quest’ultimo era ancora segretario dell’Msi, dopo essere stato a lungo il delfino di Giorgio Almirante, l’ex repubblichino che aveva contribuito alla nascita del partito dei nostalgici. Fini, che definiva Mussolini «il più grande statista del secolo», aveva appena celebrato (1992) il settantesimo anniversario della Marcia su Roma, a piazza Venezia, tra braccia levate nel saluto romano, labari con il teschio e un gran berciare di «eia eia, alalà!».
E nel 1994 fu il primo governo a guida Berlusconi a consentire a dei missini (Alleanza nazionale sarebbe nata solo all’inizio del 1995) di entrare in un esecutivo della Repubblica democratica e antifascista. Mentre all’epoca Fini spiegava che «Berlusconi dovrà pedalare per dimostrare di appartenere alla storia come Mussolini», lo stesso Cavaliere annunciava il suo ingresso in politica con interviste nelle quali si diceva convinto che «per un certo periodo Mussolini fece cose positive, e questo è un fatto confermato dalla storia». Solo in un secondo momento «ha represso la libertà e portato il paese alla guerra». E l’uomo che insieme a lui aveva contribuito a fondare Forza Italia, Marcello Dell’Utri, forse il suo più stretto collaboratore per diversi anni, «scopritore» dei (falsi) diari inediti del Duce ha sempre parlato di Mussolini come di «un uomo straordinario e di grande cultura»: Diari che lo stesso Dell’Utri ha presentato presso il centro sociale neofascista romano Casa Pound nel settembre del 2009.
«Berlusconi non è mai stato antifascista. Lo conosco da decenni, non mi ricordo nemmeno che abbia mai festeggiato un 25 aprile» spiega l’imprenditore Giuseppe Ciarrapico, detto «il Ciarra», un passato da notabile andreottiano, un presente da senatore del Pdl e fascista «in senso culturale» da sempre, con tanto di busti del Duce per tutta la casa. È per questo, conclude, che «è entrato nel cuore dei fascisti da tempo». Simile anche il punto di vista di Giulio Caradonna, nato nel 1927, tra i maggiori dirigenti missini negli anni Cinquanta e Sessanta e amico personale di Licio Gelli che subito dopo lo scioglimento di Alleanza nazionale e la nascita del Popolo della libertà nel 2008 dichiarava: «Per fortuna ora avremo il Pdl, il grande partito di destra che mancava all’Italia. Da tempo anche per l’elettorato di An il capo è Berlusconi. Un vero uomo di destra trova un riferimento naturale nel Cavaliere, non certo in Fini, eterno agnostico, che non ha mai compreso sino in fondo il ruolo politico-culturale dei missini». Il gradimento di Berlusconi presso i nostalgici del Ventennio è andato infatti crescendo anche a fronte della progressiva caduta delle quotazioni di Fini, determinata dalla sua evoluzione «postfascista».
È il novembre del 2004 quando l’attuale presidente della Camera, allora in veste di ministro degli Esteri, visita lo Yad Vashem e, intervistato dai giornalisti all’uscita parla delle «infami leggi razziali volute dal fascismo». «Si devono denunciare le pagine di vergogna che ci sono nella storia del nostro passato», dichiara Fini. «Bisogna farlo per capire la ragione per cui ignavia, indifferenza, complicità e viltà fecero sì che tantissimi italiani nel 1938 nulla facessero per reagire alle infami leggi razziali volute dal fascismo». Poco dopo Fini si esprime esplicitamente anche sul fascismo: «Nel male assoluto rientra tutto il periodo delle discriminazioni, tutto ciò che ci ha accompagnato, quello che abbiamo visto insieme nel pellegrinaggio oggi allo Yad Vashem, quella è l’epoca del male assoluto».
La reazione nel mondo neofascista è immediata. Fini è il nuovo Badoglio. Berlusconi il nuovo Duce. Anche i più estremisti vedono nel Cavaliere l’unica speranza. Come l’ex leader del Veneto Fronte skinheads Piero Puschiavo che, mantenuti i capelli rasati, è passato da bomber e anfibi a giacca e cravatta, presentandosi prima come capofila di un’area di minoranza della Fiamma tricolore di Romagnoli e chiudendo ora un accordo con La Destra di Francesco Storace: «Per chi vuole incentivare politiche nazionaliste è necessario sostenere il centro-destra che si regge intorno alla figura carismatica di Silvio Berlusconi». In un recente passato Puschiavo sosteneva di essere «contrario ai matrimoni misti perché l’imbastardimento della razza porta alla perdita delle proprie tradizioni, quindi si perde la forza di popolo, si perde la purezza del sangue».
E perfino uno dei padri dell’Msi, Pino Rauti, sceglie il Cavaliere. Un passato, da giovanissimo, nella Guardia nazionale repubblicana di Salò e poi una lunga storia alla guida dell’area più oltranzista dell’estrema destra italiana: dalla fondazione di Ordine nuovo al coinvolgimento, per più di trent’anni, nelle inchieste sulla strategia della tensione. Dopo la nascita di Alleanza nazionale nel 2005 ha fondato il Movimento sociale Fiamma tricolore che nel 2000, in occasione delle regionali di Abruzzo e Calabria, sceglie di sostenere i candidati del Polo. E nel 2001 elegge un senatore grazie a un accordo di desistenza, sempre con il centro-destra, in Sicilia. «La nostra area di riferimento», spiegherà l’ex discepolo del filosofo razzista Julius Evola, «è la Cdl». Al Cavaliere riconosce «un enorme merito storico: ha bloccato e, in qualche caso, spazzato via l’egemonia culturale della sinistra che durava fin dal 1945». Inoltre Rauti coglie anche una sorta di analogia tra le proprie vicende personali – trent’anni di processi legati all’epoca della strategia della tensione – e quelle del Cavaliere: «Berlusconi è senza dubbio sotto attacco delle procure, c’è un andazzo inquisitorio contro di lui, quindi è normale che si difenda».
Dal sostegno ideologico all’alleanza elettorale, il passo è breve. Così, nel 2006 una parte dell’ambiente neofascista dà vita al cartello elettorale di Alternativa sociale, formato dal movimento Libertà d’azione della Mussolini, oltreché dalla Fiamma tricolore, Forza nuova e dal Fronte sociale nazionale, e si allea con il centro-destra di Berlusconi. Quattro anni dopo la scena si ripete, questa volta in occasione delle elezioni amministrative. Nel Lazio, Adriano Tilgher, già segretario dell’Fsn e nel frattempo divenuto un dirigente di La Destra, è il capolista del partito di Storace che appoggia la candidata del centro-destra Renata Polverini. Quello di Tilgher è un nome noto del neofascismo italiano, già braccio destro di Stefano Delle Chiaie in Avanguardia nazionale, condannato nel 1975 per tentata ricostituzione del partito fascista, è confluito nella formazione di Storace con il suo Fronte schierato su posizioni antiamericane e «antisioniste». Ha lodato la politica sociale di Hitler ed elogiato quella del Duce. Del Führer ha, tra l’altro, detto: «È un uomo che ha lottato per il suo popolo incorrendo secondo la storiografia ufficiale in alcune storture». Questo mentre Forza nuova, che ha condotto con il centro-destra e la Lega campagne locali contro l’immigrazione e l’aborto, è guidata dall’ex leader di Terza posizione Roberto Fiore. Nel 2007 Fiore esprimeva in questi termini il suo giudizio sulla figura del Cavaliere: «Pensiamo abbia rappresentato un elemento di rottura e di speranza nella stagnante palude della politica italiana. […] Purtroppo Forza Italia è una diligenza su cui sono saliti anche mediocri, scarti e opportunisti».
Resta da chiedersi cosa sia diventato il neofascismo nell’era di Berlusconi e quanto sia profondo il legame tra il berlusconismo e le culture di estrema destra. «Cosa c’è di destra nel consenso a Berlusconi?», si chiedeva del resto già nel 2002 Marcello Veneziani, passato dall’Msi al «partito del Cavaliere», nel volume La cultura della destra (Laterza), dandosi questa risposta: «C’è il triangolo vincente delle nuove destre: leadership forte, comunicazione diretta, democrazia efficace, senza mediazioni oligarchiche, ideologiche e partitiche. In una parola, populismo. In una accorta miscela di estremismo e moderazione, di arcaismo e ipermodernità, di liberismo e di comunitarismo». Un’evoluzione che ha modificato e non cancellato l’identità profonda dell’estrema destra, passata, secondo Veneziani, «da un riferimento elitario, aristocratico, a volte esoterico […] a un riferimento popolare, se non populista […] e una polemica costante verso le oligarchie intellettuali, politiche ed economiche». In questo contesto, e all’ombra della figura di Berlusconi, si è andato definendo il rapporto tra la destra radicale e quella di governo: non una semplice «divisione del lavoro», ma una serie di legami politici e personali che si sono sedimentati nel corso del tempo, a partire dalla condivisione di un humus culturale e ideale prima ancora che politico.
Al punto che quando nel 2007 la più importante casa editrice del neofascismo italiano, le Edizioni Settimo Sigillo di Roma per lungo tempo legate all’area rautiana dell’Msi, ha deciso di pubblicare in un volume, Destra radicale firmato da Gerardo Picardo, una serie di interviste ai più importanti leader dell’estrema destra, è apparso chiaro come a modificare completamente la situazione di quest’area politica, lungamente pericolosa ma politicamente marginale, fosse stata proprio la comparsa di Berlusconi. Al punto che Nicola Cospito, tra gli animatori alla fine degli Settanta dei campi Hobbit, «luogo della memoria» del neofascismo e che, dopo aver fatto parte del comitato centrale dell’Msi, lasciò il partito a seguito della sua trasformazione in An nel 1995, sottolinea come «oggi la destra radicale, in profonda crisi politica e di identità, ha scelto di costituire un’appendice, sia pure estrema, del centro-destra di Fini e Berlusconi». Il radicalismo nero si è così trasformato in una sorta di avanguardia giovanile e radicale della coalizione berlusconiana, quando non ne è entrato esplicitamente a farne parte. Del resto, che si tratti del giudizio sul Duce, sul revisionismo storico (equiparazione tra repubblichini e partigiani) o sull’immigrazione, il Cavaliere sembra esprimere sempre un punto di vista non troppo lontano da quello dei neofascisti. Il suo «no alla società multietnica» è musica per le orecchie dei camerati. Che, senza dubbio, avranno più che gradito la difesa berlusconiana di Paolo Di Canio, calciatore con un «Dux» ben tatuato addosso.
«Bandiera» della curva laziale, uno dei covi dell’estrema destra romana, Di Canio dopo una vittoria allo stadio Olimpico, si rivolge alla «sua» curva Nord col saluto romano. Gesto ricambiato da molti ultras. Sdegno generale, almeno a parole, per l’accaduto. Non per Berlusconi: «Un fenomeno di nessuna importanza. Paolo è un ragazzo per bene, non è fascista. Lo fa solo per i tifosi, non per cattiveria. Un bravo ragazzo, ma un po’ esibizionista». Per poi aggiungere che «il fascismo in Italia non è mai stato una dottrina criminale. Ci furono le leggi razziali, orribili, ma perché si voleva vincere la guerra con Hitler. Il fascismo in Italia ha quella macchia, ma null’altro di paragonabile con il comunismo». Sui blog dell’estrema destra si giubila per tanta apertura verso le loro storiche battaglie. Più tardi il Cavaliere si sentirà «da italiano» di rifiutare anche ogni accostamento tra Saddam Hussein e il Duce: «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno», in fondo, alla peggio, «mandava la gente in vacanza al confino». «Ormai è uno di noi» avranno commentato i camerati.
(28 gennaio 2013)
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