Salomè, 19 anni, e la madre Raffaella Baracchi danno mandato ai loro legali. E diffidano l'associazione di estrema destra: giù le mani dal genio pugliese
Non bastava la figlia di Pound, che li ha portati in tribunale per riprendersi il nome del padre. Quelli di Casapound cercavano una trovata per uscire dall’angolo. E hanno finito per mettersi contro anche la figlia di Carmelo Bene.
A Salomè Bene, dall’alto del suo nome e dei suoi diciannove anni, la trovata di intitolare l’occupazione di via Napoleone III all’attore di cui porta il nome, appunto, sia pure per un giorno, non è piaciuta per niente. Perciò, ieri mattina, insieme alla madre aveva diffidato CasaPound «dall’utilizzare il nome, l’immagine e le opere del Maestro Bene, invitandola a desistere da ogni iniziativa intrapresa o da intraprendere ed a rimuovere ogni elemento che associ il Maestro all'attività della Associazione». Ma siccome quelli di Casapound hanno rispedito la «diffida» al mittente, spiegando che Raffaella Baracchi, «avendolo denunciato in vita» non può «improvvisarsi depositaria della sua memoria», ha deciso che toccava a lei replicare. «Sono poco gentili a dire che mia madre non ha titolo per parlare, quelle sono vecchie storie, difficile inquadrare mio padre e i suoi rapporti d’amore in qualche schema, e loro sono gli ultimi che ne possono parlare. Io comunque sono la figlia, mi chiamo Bene e non ho piacere che quelli di Casapound utilizzino il nome di mio padre e il mio...», risponde, pacata e piccata, affidando all’Unità.
A Salomè Bene, dall’alto del suo nome e dei suoi diciannove anni, la trovata di intitolare l’occupazione di via Napoleone III all’attore di cui porta il nome, appunto, sia pure per un giorno, non è piaciuta per niente. Perciò, ieri mattina, insieme alla madre aveva diffidato CasaPound «dall’utilizzare il nome, l’immagine e le opere del Maestro Bene, invitandola a desistere da ogni iniziativa intrapresa o da intraprendere ed a rimuovere ogni elemento che associ il Maestro all'attività della Associazione». Ma siccome quelli di Casapound hanno rispedito la «diffida» al mittente, spiegando che Raffaella Baracchi, «avendolo denunciato in vita» non può «improvvisarsi depositaria della sua memoria», ha deciso che toccava a lei replicare. «Sono poco gentili a dire che mia madre non ha titolo per parlare, quelle sono vecchie storie, difficile inquadrare mio padre e i suoi rapporti d’amore in qualche schema, e loro sono gli ultimi che ne possono parlare. Io comunque sono la figlia, mi chiamo Bene e non ho piacere che quelli di Casapound utilizzino il nome di mio padre e il mio...», risponde, pacata e piccata, affidando all’Unità.
«No, non faccio l’attrice, studio Giurisprudenza però nella vita mai dire mai», si schermisce Salome. «Mio padre lo ricordo come una bambina di dieci anni. E ricordo come dopo la sua morte insulti che invece una bambina di dieci anni non meriterebbe: era mio padre, il fatto che non vivessimo insieme non vuol dire che io non gli voglia un bene dell’anima». L’opera ha imparato a conoscerla da grande: «A parte la Salomè, a cui, per forza, sono legata fin dalla nascita». Da lui, però, oltre ai diritti d’autore e di immagine, ha ereditato un «amore fortissimo» per Dante.