Quella della Resistenza tradita è una storia scomoda e normalmente rimossa dalle narrazioni main stream e
dalle celebrazioni istituzionali che hanno fatto sempre un uso
strumentale dell’eredità della lotta di Liberazione e dei valori
dell’antifascismo, antitetici non soltanto rispetto alla politica di
riconciliazione del secondo dopoguerra, ma anche e soprattutto in
rapporto agli schemi imposti oggi dai trattati internazionali e
dall’Unione Europea.
Ora Valerio Gentili, che fra l’altro coordina le attività dell’Archivio Internazionale Azione Antifascista, ha pubblicato un libro che interroga la storia di quella rimozione:
Valerio Gentili, Volevamo tutto. La guerra del Capitale all’antifascismo: una storia della Resistenza tradita, Roma, Red Star Press, 2016, pp. 144, € 14,00
E
torna sui banchi delle librerie, a quarant’anni dalla sua prima
edizione, un libro che testimonia quanto quella rimozione abbia inciso
nel mantenere invariate, dopo il 1945, le disparità sociali, civili e di
genere imposte dal Fascismo, come sottolinea Sandro Mosio su Carmilla:
Anna Maria Bruzzone – Rachele Farina, La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi, prefazione di Anna Bravo, Bollati Boringhieri 2016, pp. 314, € 25,00
Una
combattente partigiana, Elsa «Elsinki» Oliva (1921-1994) riassumeva
così, nel 1976, quello che era avvenuto dopo la Liberazione:
«L’unità
della Resistenza è stata molto strombazzata in questi ultimi tempi, ma è
stata molto difficile e molto sofferta. Anche qui ci sono stati attriti
e raffiche tra le diverse formazioni […] a Milano, quando c’è stata la
sfilata, tra quella moltitudine plaudente e tutti con le coccarde –
matti, proprio matti! – pensavo che forse una buona parte erano quelli
che ci avevano sparato contro. Alle staffette, nelle sfilate, mettevano
al braccio la fascia da infermiera! […] Certo quando c’è stata la
smobilitazione hanno dato troppo poco tempo per giustiziare i criminali.
Tutt’a un tratto non era più possibile giudicare nessuno. C’è stata una
comunicazione: dall’ora tot non si potevano più processare i
prigionieri, ma si dovevano consegnare.
Il
dopoliberazione è certamente stato molto diverso da come lo pensavo. Il
mio rimpianto più grande del dopo è stato quello di non essere morta
prima, durante la lotta. Se io ho invidiato qualcuno, non ho mai
invidiato i compagni vissuti ma i compagni morti. […] Sono mancate le
riforme che dovevano agevolare la grande massa popolare, le agevolazioni
sono sempre state per i medesimi, per i ricchi, quelli che oggi portano
la camicia beige o azzurra, ma che è sempre la camicia nera di ieri.
[…] I partigiani venivano spesso falsamente accusati di delitti comuni e
bisognava che scappassero per non subire condanne durissime. […] Tutti
gli impiegati conservavano il loro posto, anche se erano stati dei
fascistoni, e i partigiani erano disoccupati. È stato il periodo più
buio della mia vita, il dopoliberazione. Alcuni si sono estraniati
proprio allora, perché disgustati di tanta persecuzione» (Bruzzone –
Farina, La Resistenza taciuta, pp. 149-154).
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