Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente
lunedì 20 aprile 2015
venerdì 17 aprile 2015
Ecologia esistenza lavoro - Officine Filosofiche
Dopo aver lavorato sui temi dell’ecologia e della natura, il gruppo di ricerca di Officine Filosofiche
ha rivolto la sua attenzione alla questione, oggi così attuale, del
lavoro, ponendosi una serie di interrogativi: come si prospetta il
problema del lavoro, di cui è stata dichiarata la “fine”, e che
comunque, con l’avvento della rivoluzione informatica, si è così
completamente trasformato, se lo consideriamo da un punto di vista
“ecologico”? Che ne è oggi del rapporto sociale, della collettività,
della “cooperazione” sulla base della nuova veste che ha assunto il
lavoro? Qual è il profilo di una nuova soggettività lavoratrice che
emerge dall’eredità di alcuni filoni portanti del pensiero novecentesco,
dall’operaismo all’antropologia filosofica, da Walter Benjamin a Enrico
Forni e Ferruccio Masini? Che posizione dobbiamo prendere rispetto
all’idea di limite, così importante dal punto di vista ecologico? Cosa
può significare applicare il paradigma ecologico di Gregory Bateson alla
sociologia, sia in senso teorico che pratico, e come devono essere
giudicate, da questo punto di vista, le tendenze attuali nel campo delle
politiche di Welfare? Che ne è oggi del lavoro dell’artigiano, così
legato alla corporeità del lavoratore, e assimilato da tutta una
tradizione al lavoro dell’artista? Cosa emerge, sul rapporto fra
tecnica, arte e natura, dal cinema di Jean Renoir? Come è da ripensare
la politica nel nuovo mondo della tecnica globale? E cosa ne è del
rapporto fra lavoro e gioco, su cui ha richiamato l’attenzione una
grande tradizione, da Schiller alla Scuola di Francoforte a Huizinga?
Le ricerche di Tim Ingold, il grande antropologo scozzese, hanno investito il problema della tecnica nei suoi rapporti con la biologia evoluzionistica e l’ecologia; la sua lezione ha un’importanza decisiva per rispondere alle questioni sopra sollevate. Per questo motivo, il volume si apre con un’intervista a questo studioso intorno ai temi fondamentali delle sue indagini.
Con un'intervista a Tim Ingold a cura di Ivano Gorzanelli
Gli autori: Andrea Angelini, Stefano Berni, Rosella Corda, Ubaldo Fadini, Ivano Gorzanelli, Alfonso Maurizio Iacono, Tim Ingold, Manlio Iofrida, Francesco Marchesi, Igor Pelgreffi, Stefano Righetti, Elettra Stimilli, Matteo Villa.
Le ricerche di Tim Ingold, il grande antropologo scozzese, hanno investito il problema della tecnica nei suoi rapporti con la biologia evoluzionistica e l’ecologia; la sua lezione ha un’importanza decisiva per rispondere alle questioni sopra sollevate. Per questo motivo, il volume si apre con un’intervista a questo studioso intorno ai temi fondamentali delle sue indagini.
Con un'intervista a Tim Ingold a cura di Ivano Gorzanelli
Gli autori: Andrea Angelini, Stefano Berni, Rosella Corda, Ubaldo Fadini, Ivano Gorzanelli, Alfonso Maurizio Iacono, Tim Ingold, Manlio Iofrida, Francesco Marchesi, Igor Pelgreffi, Stefano Righetti, Elettra Stimilli, Matteo Villa.
giovedì 9 aprile 2015
L'eresia bolognese - Documenti di una generazione ribelle (1967 - 1990)
Documenti di una generazione ribelle
a cura di Paolo Brunetti
EDIZIONI ANDROMEDA
EDIZIONI ANDROMEDA
Eresia bolognese perché a Bologna s'infranse per la prima volta, in modo sociale e largamente diffuso, l'ordine consacrato della virtù del lavoro salariato come orizzonte di vita . . . a vita. il movimento movimento del rifiuto del lavoro risale ai tempi biblici Adamo nel giardino dell'Eden, non lavorava), ma le lotte dei due secoli passati si erano scontrate con l'insufficiente sviluppo delle forze produttive. il grande progresso economico seguito alla Seconda Guerra Mondiale e i lunghi anni dal lungo dopoguerra avevano posto all'ordine del futuro il superamento della costrizione al lavoro. affermare tutto questo nella città capitale nella città capitale del comunismo euro-occidentale, fondato sull'ideologia del lavoro, fu un'autentica eresia portata avanti dal gruppo bolognese di Potere Operaio . . .
Se la nostra è stata un'eresia, di fronte alla catastrofe sociale cui ha portato il partito del lavoro la medesima eresia è oggi diventata il Sol dell'avvenire.
____________________________
Contenuti speciali allegati:
(DVD con oltre 2000 pagine più numerosi video)
(DVD con oltre 2000 pagine più numerosi video)
lunedì 16 marzo 2015
Igor Pelgreffi. Slavoj Žižek presentazione giovedì 26 marzo, h.19 Modo Infoshop BO
Se potessimo osservare dall’esterno le nostre vite, con ogni
probabilità oggi le vedremmo percorse da due tensioni divergenti: una
verso il globale e una verso il frammento. Il nostro tempo è
global-frammentario, e il nostro mondo non è altro che la forma del
tempo. I nostri corpi si trovano a vivere, per lo più, sospesi fra la
grande sfera e il punto, fra l’iper-relazione e la solitudine. Ora, come
elaborare una filosofia capace di rispondere a queste alterazioni nelle
omeostasi che per secoli hanno accompagnato lo svolgersi delle nostre
esistenze singolari e collettive? Come contrastare filosoficamente le
narcosi singolari e collettive in cui le cosiddette società avanzate
sembrano destinate a vivere (cioè a spegnersi)? Tutti percepiamo che
global-frammentario è anche una struttura storico-materiale ed economica
che ci condiziona nel profondo. E, dunque, come pensare
una reale alternativa al modello di vita capitalistico? Come prendere
consapevolezza delle strutture nascoste che ci pre-determinano? Detto in
termini generali: quali sono, oggi, le condizioni di possibilità di
una critica dell’ideologia?
Queste domande marcano i motivi di fondo della riflessione di Slavoj Žižek, fra i più discussi public character del teatro culturale odierno, provocatore esperto, deciso anti-capitalista, «sfacciatamente marxista»1. Žižek, costantemente e su ogni cosa, critica le posizioni della Left, proponendo categorie inattuali, fra cui quella di lotta di classe. Un ciarlatano per alcuni, un nuovo maître à penser per altri. Ma Žižek non è uno che si limita a scrivere o a tenere conferenze. Lo troviamo agitarsi fra i manifestanti di Occupy Wall Street o serafico co-protagonista di una clamorosa video-intervista con Julian Assange, così come seduto sul water mentre disquisisce su Psycho di Hitchcock, per così dire, “dall’interno”.
Žižek è quasi ovunque, sovra-esposto negli spazi pubblico-mediali in cui si aggira senza sosta col suo look trasandato, gesticolante nervosamente e con la fronte sudata. Ricorda Socrate, col suo girovagare proto-flâneuristico per la polis: ambedue condividono quella medesima capacità magica, in fondo geniale, di compiere uno scatto immotivato dal vagare insensato alla precisione della domanda spiazzante. Come se la domanda filosofica dovesse essere preceduta, oggi, da una modalità antropologica, da un attraversamento concreto degli spazi e dei tempi storico-sociali. E dalla mancanza di senso del girovagare. Sarà un caso, ma c’è qualcosa, nella barba e nello sguardo di Žižek, che fa pensare a Socrate. Critica dell’ideologia significa partire, ogni volta, ponendo il mondo in questione: perché le cose stanno così come stanno? Dunque non come sono: non è una domanda ontologica, sul loro essere, ma su come esse sono state predisposte, su quali strutture le predeterminano. Questa sembra essere la domanda di Žižek. Tuttavia si potrebbe ugualmente sostenere che quella di Žižek sia una riflessione intorno alla nostra soggettività, alla sua origine pulsionale, ai suoi desideri, auto-inganni e fantasmi costitutivi; ed anche questa potrebbe essere una buona definizione. Si potrebbe, del resto, cercare il nocciolo della filosofia di Žižek nell’idea che la scissione sia più fondamentale dell’unità, che l’auto-lacerazione animi tutto ciò che esiste (le cose, l’io, le relazioni, le rappresentazioni), in quanto è la contraddizione (e non l’essere o il divenire) il cuore della materia e della storia. Ed anche questa potrebbe essere una buona definizione.
Le tre domande indicano gli assi centrali del pensiero di Žižek, cioè Marx (critica dell’ideologia), Lacan (problema del soggetto e dell’ordine simbolico) e Hegel (contraddizione). Per chi ama le formule, ciò permetterebbe di caratterizzare la filosofia di Žižek come un materialismo dialettico psicoanalitico. Marx, Lacan e Hegel rappresentano gli assi x, y e z di un vero e proprio sistema di riferimento cartesiano, che definisce quale sia lo spazio logico del discours žižekiano. In questo libro tenterò di darne conto. Ma per fare ciò occorre presupporre una quarta dimensione.
La quarta dimensione è quella dello stile.
via Mascarella 24/b - BO
Queste domande marcano i motivi di fondo della riflessione di Slavoj Žižek, fra i più discussi public character del teatro culturale odierno, provocatore esperto, deciso anti-capitalista, «sfacciatamente marxista»1. Žižek, costantemente e su ogni cosa, critica le posizioni della Left, proponendo categorie inattuali, fra cui quella di lotta di classe. Un ciarlatano per alcuni, un nuovo maître à penser per altri. Ma Žižek non è uno che si limita a scrivere o a tenere conferenze. Lo troviamo agitarsi fra i manifestanti di Occupy Wall Street o serafico co-protagonista di una clamorosa video-intervista con Julian Assange, così come seduto sul water mentre disquisisce su Psycho di Hitchcock, per così dire, “dall’interno”.
Žižek è quasi ovunque, sovra-esposto negli spazi pubblico-mediali in cui si aggira senza sosta col suo look trasandato, gesticolante nervosamente e con la fronte sudata. Ricorda Socrate, col suo girovagare proto-flâneuristico per la polis: ambedue condividono quella medesima capacità magica, in fondo geniale, di compiere uno scatto immotivato dal vagare insensato alla precisione della domanda spiazzante. Come se la domanda filosofica dovesse essere preceduta, oggi, da una modalità antropologica, da un attraversamento concreto degli spazi e dei tempi storico-sociali. E dalla mancanza di senso del girovagare. Sarà un caso, ma c’è qualcosa, nella barba e nello sguardo di Žižek, che fa pensare a Socrate. Critica dell’ideologia significa partire, ogni volta, ponendo il mondo in questione: perché le cose stanno così come stanno? Dunque non come sono: non è una domanda ontologica, sul loro essere, ma su come esse sono state predisposte, su quali strutture le predeterminano. Questa sembra essere la domanda di Žižek. Tuttavia si potrebbe ugualmente sostenere che quella di Žižek sia una riflessione intorno alla nostra soggettività, alla sua origine pulsionale, ai suoi desideri, auto-inganni e fantasmi costitutivi; ed anche questa potrebbe essere una buona definizione. Si potrebbe, del resto, cercare il nocciolo della filosofia di Žižek nell’idea che la scissione sia più fondamentale dell’unità, che l’auto-lacerazione animi tutto ciò che esiste (le cose, l’io, le relazioni, le rappresentazioni), in quanto è la contraddizione (e non l’essere o il divenire) il cuore della materia e della storia. Ed anche questa potrebbe essere una buona definizione.
Le tre domande indicano gli assi centrali del pensiero di Žižek, cioè Marx (critica dell’ideologia), Lacan (problema del soggetto e dell’ordine simbolico) e Hegel (contraddizione). Per chi ama le formule, ciò permetterebbe di caratterizzare la filosofia di Žižek come un materialismo dialettico psicoanalitico. Marx, Lacan e Hegel rappresentano gli assi x, y e z di un vero e proprio sistema di riferimento cartesiano, che definisce quale sia lo spazio logico del discours žižekiano. In questo libro tenterò di darne conto. Ma per fare ciò occorre presupporre una quarta dimensione.
La quarta dimensione è quella dello stile.
via Mascarella 24/b - BO
____________
sabato 28 febbraio 2015
Grecia: forzare i limiti del capitalismo per combattere l'austerity - di Étienne Balibar, Sandro Mezzadra
È dunque vero che alla fine, come titolano molti giornali in Italia e in
Europa, Atene ha ceduto all'Eurogruppo (la Repubblica), compiendo il
primo passo verso il ritorno all'austerity (The Guardian)? È cominciata
la «ritirata» di Syriza, come sostengono molti leader della stessa
sinistra interna del partito greco?
È presto per formulare un giudizio complessivo e fondato sugli accordi
definiti all'interno della riunione dell'Eurogruppo di venerdì [ndr: 20
febbraio 2015]: molti aspetti tecnici, ma di grande importanza politica,
saranno resi noti soltanto nei prossimi giorni. Vorremmo tuttavia
provare a suggerire un diverso metodo di analisi dello scontro che non
ha soltanto contrapposto il governo greco alle istituzioni europee, ma
ha anche mostrato più di una crepa all'interno di queste ultime. Sulla
base di quali criteri dobbiamo giudicare l'azione di Tsipras e
Varoufakis, misurandone l'efficacia? È questa la domanda che ci
interessa porre.
Vale la pena di ripetere che lo scontro aperto dalla vittoria di Syriza
alle elezioni greche si svolge in un momento di crisi acuta e drammatica
in Europa. Le guerre che marcano a fuoco i confini dell'Unione Europea
(a est, a sud, a sudest), le stragi di migranti nel Mediterraneo non
sono che l'altra faccia dei processi in atto di scomposizione dello
spazio europeo, che la crisi economica ha accelerato in questi anni e
che destre più o meno nuove, più o meno razziste e fasciste cavalcano in
molte parti del continente. In queste condizioni, le elezioni greche e
la crescita di Podemos in Spagna hanno aperto una straordinaria
occasione, quella di reinventare e riqualificare a livello europeo una
politica radicale della libertà e dell'uguaglianza.
Forzare i limiti del capitalismo
Dietro l'apertura di questa occasione ci sono, tanto in Grecia quanto in
Spagna, le formidabili lotte di massa contro l'austerity. Ma lo
sviluppo di queste lotte, nella loro diffusione «orizzontale», si è
trovato di fronte limiti altrettanto formidabili: la posizione di
dominio del capitale finanziario all'interno del capitalismo
contemporaneo e l'assetto dei poteri europei, modificato da quella che
abbiamo definito una vera e propria «rivoluzione dall'alto» nella
gestione della crisi.
Il punto è che, non appena Syriza è riuscita a innestare
sull'orizzontalità delle lotte un asse «verticale», portandone le
rivendicazioni e il linguaggio fin dentro i palazzi europei, si è
immediatamente trovata di fronte quegli stessi limiti. Si è scontrata
con l'assetto attuale dei poteri europei e con la violenza del capitale
finanziario. Sarebbe davvero ingenuo pensare che il governo greco, che
un singolo Paese europeo (anche di maggior peso demografico ed economico
della Grecia) possa spezzare questi limiti.
Se ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto è accaduto in questi giorni
dimostra chiaramente che non è sulla base di una semplice rivendicazione
di sovranità nazionale che una nuova politica della libertà e
dell'uguaglianza può essere costruita. I «limiti» di cui si è detto,
tuttavia, ci appaiono oggi in una luce diversa rispetto a qualche mese
fa. Se le lotte ne avevano mostrato l'insostenibilità, la vittoria di
Syriza, la crescita di Podemos e la stessa azione del governo greco
cominciano ad alludere alla realistica possibilità di superarli. Era
evidente, e lo aveva chiarito tra gli altri lo stesso Alexis Tsipras,
che non sarebbe stata sufficiente una semplice affermazione elettorale
per fare questo. Si tratta di aprire un processo politico nuovo, per
costruire e affermare materialmente una nuova combinazione, una nuova
correlazione di forze in Europa.
Diceva Lenin che ci sono situazioni in cui bisogna cedere spazio per
guadagnare tempo. Se applichiamo questo principio, opportunamente
modificato, alla valutazione degli «accordi» di venerdì scorso possiamo
forse scommettere (con l'azzardo che è costitutivo di ogni politica
radicale) sul fatto che il governo greco abbia ceduto «qualcosa» per
guadagnare tempo e per guadagnare spazio. Ovvero, per distendere nel
tempo l'occasione che si è aperta in Europa nella prospettiva, resa
possibile anche dalle prossime scadenze elettorali in Europa (a partire
dalla Spagna, ma non solo), che altri «spazi» vengano investiti e
«conquistati» dal processo politico nuovo di cui si diceva.
Questo processo politico, per avere successo nei prossimi mesi, non
potrà che articolarsi su una molteplicità di livelli, combinando lotte
sociali e forze politiche, comportamenti e pratiche diffuse, azione di
governo e costruzione di nuovi contropoteri in cui si esprima l'azione
dei cittadini europei. In particolare, nel momento in cui riconosciamo
l'importanza decisiva di un'iniziativa sul terreno istituzionale quale
quella che Syriza ha cominciato a praticare e Podemos concretamente
prefigura, dobbiamo anche essere consapevoli dei suoi limiti.
In un lungo articolo (a suo modo straordinario), pubblicato nei giorni
scorsi dal Guardian («How I became an erratic Marxist»), Yanis
Varoufakis ha mostrato di avere una consapevolezza molto precisa di
questi limiti. Fondamentalmente, ha affermato, quel che un governo può
fare oggi è cercare di «salvare il capitalismo europeo da se stesso»,
dalle tendenze auto-distruttive che lo attraversano e minacciano di
aprire le porte al fascismo. Ciò che in questo modo è possibile è
conquistare spazi per una riproduzione del lavoro, della cooperazione
sociale meno segnata dalla violenza dell'austerity e della crisi - per
una vita meno «misera, sgradevole, brutale e breve».
Non è un governo, insomma, a potersi far carico della materiale apertura
di alternative oltre il capitalismo. Leggendo a modo nostro l'articolo
di Varoufakis, possiamo concludere che quell'oltre (oltre il salvataggio
del capitalismo europeo da se stesso, in primo luogo) indica il
«continente» potenzialmente sconfinato di una lotta sociale e politica
che non può che eccedere la stessa azione di governi come quello greco e
ogni perimetrazione istituzionale. È all'interno di quel continente che
va costruita la forza collettiva da cui dipende quello che sarà
realisticamente possibile conquistare nei prossimi mesi e nei prossimi
anni. E il terreno su cui questa forza deve essere organizzata ed
esercitata non può che essere l'Europa stessa, nella prospettiva di
contribuire a determinare una rottura costituente all'interno della sua
storia.
Il blocco di Francoforte
La mobilitazione convocata dalla coalizione Blockupy a Francoforte per
il 18 marzo, il giorno dell'inaugurazione della nuova sede della Bce,
acquista da questo punto di vista una particolare importanza. È
un'occasione per intervenire direttamente nello scontro in atto a
livello europeo (e dunque per sostenere l'azione del governo greco),
andando oltre una generica contestazione dei simboli del capitale
finanziario, della Bce e delle tecnostrutture «post-democratiche» di cui
ha parlato Jürgen Habermas.
Ma è anche un momento di verifica delle forze che si muovono in
quell'«oltre» senza consolidare il quale (è uno dei paradossi del nostro
tempo) la stessa azione di governi e partiti che si battono contro
l'austerity è destinata all'impotenza.
(23 febbraio 2015)
___________
da: globalist.it
Iscriviti a:
Post (Atom)