domenica 3 luglio 2011

Alemagnanimità



Cos’è che ha spinto Gaetano, Christian, Carmine, il gruppo del Rione Monti a picchiare in modo selvaggio Alberto Bonanni? Per il sindaco Alemanno «si tratta più correttamente di un problema di violenza da ultrà, da stadio». Come dire che i tatuaggi, il braccio alzato, le croci celtiche con l’aggressione di sabato scorso c’entrano poco. Il pestaggio avvenuto al Rione Monti obbedisce ad altre regole. A prescindere dalle fotografie che ritraggono i giovani arrestati nell’atto di fare il saluto fascista. Oppure - su facebook - dietro uno striscione con scritti slogan deliranti. Gli stessi che qualche giorno prima sfilavano dietro la statua della Madonna alla processione.

Perfeziona il concetto Alemanno: «A Roma ci sono delle bande attive più o meno colorate dal punto di vista politico, quindi dobbiamo essere molto attenti e molto vigili. Sappiamo che esistono delle sacche violente che devono essere attentamente vigilate e represse proprio per evitare quello che è successo a Monti».

da il Messaggero, domenica 3 luglio 2011

giovedì 30 giugno 2011

Andrea Angelini: Foucault-Marx: una fedele trasgressione


 

Andrea Angelini

Foucault-Marx: una fedele trasgressione 

 Recensione :          
Rudy M. Leonelli (a cura di)
Foucault-Marx. Paralleli e paradossi,
Bulzoni Editore, Roma 2010


L’ossimoro del titolo sta ad indicare la difficoltà di tracciare in modo univoco e lineare le caratteristiche del rapporto tra Foucault e Marx, il modo singolare in cui prossimità e distanza si intrecciano nella loro produzione intellettuale. Ciò rende molto arduo il tentativo di definire la posizione del primo verso il secondo: continuità, rottura, fedeltà, rifiuto; sono aspetti che si sovrappongono agli occhi del lettore. Per questo motivo affrontare il parallelo tra i due grandi autori richiede cautela, la messa da parte di facili schematismi e pregiudizi, e la pazienza di confrontarsi con una impegnativa massa di scritti, sia pubblicati che d’occasione, eterogenei, alcuni a un primo sguardo contraddittori, comunque difficili da legare in un insieme coerente e unitario.

Si riscontra in modo diffuso l’ostilità verso la scolastica di partito che ha preteso monopolizzare la lettura di Marx e stabilirne la legittima e corretta applicazione, e dunque l’esigenza, da parte di Foucault, di non accorpare immediatamente Marx, marxismo e socialismo storico: «Lo stalinismo e il leninismo inorridirebbero Marx»[1]. Ma per altro verso più d’una volta Foucault esprime diffidenza verso la teoria che vorrebbe Marx o Lenin totalmente estranei alle storture, ai fraintendimenti o tradimenti che avrebbero subito nel corso del movimento storico-politico che a essi si richiamava:

[…] rifiutare di interrogare il Gulag a partire dai testi di Marx o di Lenin, domandandosi per quale errore, deviazione, mistificazione, distorsione speculativa o pratica, la teoria è potuta essere tradita a tal punto. Al contrario, interrogare tutti questi discorsi, per quanto siano datati, a partire dalla realtà del Gulag. Invece di cercare in questi testi ciò che potrebbe condannare a priori il Gulag, si tratta di chiedersi ciò che in essi l’ha permesso, che continua a giustificarlo, ciò che permette oggi di accettarne sempre l’intollerabile verità.[2]
 
Foucault fa queste affermazioni negli anni in cui in Urss si va sempre più consolidando il potere del maresciallo Brežnev, il regime della Ddr vanta il più efficiente e capillare corpo di polizia della storia, e si va facendo sempre più forte l’insofferenza del popolo polacco; cioè quando, nonostante lo strappo libertario del ’68 avesse già scosso l’Europa, vanno ancora perpetuandosi i prodotti dello stalinismo. Su di esso Foucault si sofferma continuamente negli anni ’70, manifestando quanto indispensabile gli fosse comprendere quali interrogativi, tanto politici che teorici, esso rendeva imprescindibili, dal cosa siano nel profondo, al di là di stereotipi ossificati, il potere, la resistenza, la lotta, al quesito dubbioso riguardo la «desiderabilità stessa della rivoluzione» (nella sua accezione storico-dialettica)[3].

Era ai suoi occhi divenuto ineludibile il problema della proliferazione di strutture gerarchiche, di profili governativi e modelli istituzionali in vario modo marchiati dalla violenza, cui il movimento rivoluzionario era andato incontro (persino dopo la “destalinizzazione”), in quanto non supportato da un’adeguata analisi della polimorfia del potere, delle sue incerte provenienze storiche, dei suoi complessi legami con le forme del sapere[4].

Credo che l’esperienza dello stalinismo e della stessa Cina di questi ultimi venti o trent’anni abbia reso inutilizzabili, almeno in molti dei loro aspetti, le analisi tradizionali del marxismo. In tal senso credo che non bisognerebbe affatto abbandonare il marxismo come una specie di vecchio arnese da mandare in soffitta, ma occorrerebbe essere meno fedeli alla lettera della teoria e tentare di ricollocare le analisi politiche della società attuale, più che nel quadro di una teoria coerente, sullo sfondo di una storia reale.[5]
 
Questa è una delle espressioni più pacate della seconda metà degli anni ’70 circa il marxismo in generale. Ma se nel ’78, ad esempio, Foucault si riferiva al marxismo come ad una «causa dell’impoverimento, dell’inaridimento dell’immaginazione politica» e come a «nient’altro che una modalità di potere»[6], ancora nel ’71, pur tra numerose riserve e prese di distanza, si esprimeva così: «Marx è arrivato a proporre un’analisi storica delle società capitalistiche che conserva ancora una sua validità. Ed è riuscito a fondare un movimento rivoluzionario che è, ancor oggi, il più vitale»[7].

Foucault incitava a rendersi «completamente liberi rispetto a Marx»[8], intendendo con ciò il poter interrogare senza restrizioni e inibizioni «l’insieme dei rapporti di potere […] inevitabilmente connessi» con «le tre dimensioni del marxismo, vale a dire il marxismo in quanto discorso scientifico, il marxismo in quanto profezia ed il marxismo in quanto filosofia di Stato, o ideologia di classe»[9], ma ben sapendo quanto «sia necessario distinguere Marx, da un lato, e il marxismo, dall’altro»: «Non mi pare sia assolutamente in questione il fatto di farla finita con Marx stesso»[10].

Foucault ha poi sempre rifiutato l’idea di potersi o doversi rifare ad un «vero e autentico Marx», l’ostinazione a riconoscervi «un depositario fondamentale di verità»[11]. Ha riservato anche a lui quel “saccheggio interessato” finalizzato a far propri certi concetti, certi potenziali critici e analitici, al di fuori di una lettura storiografica volta a ricostruire il profilo complessivo dell’autore (ciò che sappiamo essere per Foucault al tempo stesso una funzione e una finzione). Una lettura dunque molteplice e mirata, destinata al riutilizzo e all’impiego spostato più che al commento.

A distanza di cinque anni dal convegno svoltosi a Bologna il 24 novembre 2005, “Foucault, Marx, marxismi”, diviene disponibile il contributo di insigni studiosi – arricchito inoltre da un’interessante intervista a Étienne Balibar, da cui il volume mutua il titolo – su questo tema molto delicato. Nel passato dibattito filosofico-politico, tanto francese quanto italiano, esso era stato spesso affrontato attraverso accese polemiche e prese di posizione nette, dunque impedendo un confronto sereno e misurato come quello che questa breve raccolta di interventi ha invece il merito di presentare.

... continua:
articolo completo in materiali foucaultiani >>

martedì 28 giugno 2011

omaggio a Germano Nicolini, comandante Diavolo

 Al dievel

Modena City Ramblers
con il Coro delle Mondine di Novi
 


video:  ombremosse

Piazza, bella piazza: Per tornare a vivere Piazza S.Stefano - BO 29 giugno 2011

Festivalsocialedellecultureantifasciste 2011

Piazza,bella piazza

…e in città faremo una festa che non finirà mai…

Per tornare a vivere Piazza S.Stefano:
   antifascismo,  riappropriazione degli spazi pubblici,    libera espressione, socialità
.

» mercoledì  29 giugno
dalle ore 18 in poi
Piazza Santo Stefano - Bologna


 

  • Mostra fotografica sulla Resistenza a Bologna
  • Musica e banchetti informativi
  • Incontro con Germano Nicolini - Comandante Diavolo, partigiano
  • Libertà e compenso”,reading sonoro di Stefano D’Arcangelo. Con Andrea Piermattei e Stefano D’Arcangelo 
  • La Compagnia Teatrale Indipendente AttriceContro presenta:“Rosso Vivo”di e con Alessandra Magrini.  La storia di Valerio Verbano, liberamente tratta dal libro di  Carla Verbano con Alessandro Capponi: Sia folgorante la fine.
       ●  Presentazione del libro con l’autore Valerio Lazzaretti

Valerio Verbano. Ucciso da chi,come e perché


a cura del Circolo anarchico “Camillo Berneri”.





 
 

lunedì 20 giugno 2011

Gianni : "E' una questione di gusto ..."

E libereremo la nostra Bologna. In città faremo una festa che non finirà mai…

ricordando l'autore della frase scelta come esergo del
Festival sociale delle culture antifasciste 2011,
ri
produciamo la memoria  dedicata a questo giovane partigiano,
dal
Museo Virtuale della Certosa
[curata da Nazario Sauro Onofri]




Giovanni B. Palmieri, "Gianni"

Giovanni Battista Palmieri, nome di battaglia "Gianni", da Giovanni Giuseppe e Nerina Pietra; nato il 16 dicembre 1921 a Bologna; ivi residente nel 1943. Studente in Medicina all'università di Bologna. Richiamato alle armi nel 1941, frequentò la scuola allievi ufficiali degli alpini di Aosta, dove la vita era talmente monotona che, in una lettera alia madre, arrivò a scrivere "Io invidio di cuore quelli fra noi che hanno il diritto di andare al fronte: almeno loro faranno dei sacrifici forse molto piu grandi di questi, ma avranno anche delle soddisfazioni". Fu congedato prima di ricevere i gradi per cui potè riprendere gli studi e dimostrare le sue grandi doti intellettuali. Tutti i suoi insegnanti gli preconizzarono una brillante carriera professionale. Quando venne nuovamente chiamato alle armi dalla RSI, nella primavera 1944, non si presentò e venne dichiarato disertore. Per le insistenti preghiere della famiglia non potè aggregarsi subito, com'era suo desiderio, a una formazione partigiana. "Gianni - ha scritto il padre - non si sarebbe mai lasciato prendere dai nazisti e neppure dai repubblichini: piuttosto si sarebbe dato alla macchia". Nel periodo in cui fu sfollato a Monte San Pietro non collaborò, ma ebbe contatti con la brigata Stella rossa Lupo, e forse si sarebbe aggregato a quella formazione, se nel frattempo gli eventi bellici non avessero mutato la situazione per cui si nascose, provvisoriamente, a Bologna nell'abitazione di un amico di famiglia e quindi nei sotterranei dell'Istituto del radio all'ospedale Sant'Orsola, del quale suo padre era direttore. Per questo motivo potè seguire da vicino la vicenda che portò alla razzia, da parte dei tedeschi, di metà della dotazione di radio dell'istituto. Dopo la consegna del radio a Mario Bastia il 27 luglio 1944, decise di non seguire il padre a Firenze, ma di restare. Resistendo alle implorazioni del padre, scelse di non partire. Il 24 luglio fu ospitato nell'abitazione di Gino Onofri, alla quale facevano capo le staffette che tenevano il collegamento tra la città e le brigate Giustizia e Libertà che operavano sull'Appennino tosco-emiliano. Per l'arresto di una staffetta non potè raggiungere nè la Iª brigata Giustizia e Libertà Montagna, che operava nell'Alta Valle del Reno, nè la 2ª brigata Jacchia Giustizia e Libertà, operante nella valle del Sillaro e comandata da Gilberto Remondini, suo compagno di studi. II 29 luglio lasciò Bologna con Romeo Giordano diretto a Imola per aggregarsi alla 36ª brigata Bianconcini Garibaldi nell'Alta Valle del Santerno. Entrò a far parte del servizio sanitario della brigata diretto da Giordano, pur partecipando attivamente a tutti i combattimenti che la formazione sostenne nell'estate-autunno. In uno di questi, verso la metà di settembre, restò ferito a un piede e dovette fare ricorso alle cure di un agricoltore che molti anni prima aveva seguito, ma non concluso gli studi in medicina. II 15 settembre la brigata venne divisa in 4 battaglioni, in vista di quella che si riteneva l'imminente insurrezione partigiana. Alcuni reparti avrebbero dovuto dirigersi verso Imola, altri verso Bologna e altri ancora a sud per andare incontro alle truppe alleate. Fu aggregato al battaglione di Guerrino De Giovanni, con destinazione Bologna. Il 26 settembre, durante una sosta in una casa colonica a Cà di Guzzo in localita Belvedere (Castel del Rio) il battaglione, passato il giorno prima sotto il comando di Umberto Gaudenzi, venne circondato da paracadutisti e SS tedeschi. Dopo aver resistito per tutta la notte, infliggendo gravi perdite al nemico, la mattina del 28 i superstiti riuscirono, sia pure a costo di dure perdite, ad aprirsi un varco e a mettersi in salvo. Quando venne invitato a lasciare la posizione e a tentare la sortita, rispose: "Il mio combattimento è qui, fra i miei feriti e io non li abbandono fintanto che ne vedo uno respirare". Quando i tedeschi riuscirono a penetrare nella casa colonica, quasi completamente smantellata dai mortai, gli fecero curare i loro feriti. Poi lo invitarono a raggiungere il comando della brigata per proporre uno scambio: avrebbero risparmiato i civili trovati nella casa, se una ventina di partigiani si fossero consegnati. Si recò in una casa colonica, distante un paio d'ore a piedi, dove sino al giorno prima aveva avuto sede il comando della brigata, ma la trovò vuota. Quando tornò a Cà di Guzzo, vide i corpi inanimati dei partigiani feriti e dei civili. Erano stati uccisi con un colpo alla nuca da un maresciallo delle SS. Solo le donne erano state risparmiate. II giorno stesso, anche perchè le artiglierie alleate avevano cominciato a battere la posizione, i tedeschi abbandonarono Cà di Guzzo. Lo portarono con loro, forse per continuare a fargli curare i feriti. Alcuni giorni dopo, quando gli alleati liberarono la zona, il suo cadavere venne trovato in un bosco, in località Le Piane a pochi chilometri di distanza. Si ritiene che sia stato torturato e ucciso il 30 settembre 1944. Pochi giorni prima, quando la brigata era stata divisa, quasi presagisse la sorte che lo attendeva, aveva sentito l'esigenza di salutare Luciano Bergonzini - con il quale aveva stretto una fraterna amicizia - consegnandogli questa lettera che resta il suo testamento spirituale. "Caro Luciano, mi e parsa giusta la decisione del comandante Bob di dividere la Brigata in quattro battaglioni d'assalto e di passare all'offensiva su Bologna e Imola. Penso, però, e la cosa mi addolora, che non tutti ci ritroveremo dopo la battaglia. E' inutile illudersi: sarà dura, molto dura e i fatti ci metteranno ancora una volta alla prova. Al di là di queste montagne, si dice, c'è la libertà Io personalmente ne dubito. Sarebbe meglio dire che vi sarà la libertà se noi sapremo esserne i portatori e se riusciremo a trasferire nelle città e in tutto il paese i principii di lealtà e di amicizia che qui abbiamo saputo istituire e difendere. E poi, te lo dico con tutta franchezza, io ho paura che questa nostra libertà si disperda nei compromessi e nelle lotte politiche non sempre pulite: le notizie che a tal proposito si hanno dal sud mi intristiscono; mi sembra che si rimettano i destini della libertà nelle mani di coloro che al fascismo non hanno opposto che una ben miserevole resistenza! So che tu sei fiducioso ed ottimista. Discutevo di queste cose con Bergami* e anche lui, da bravo comunista, vedeva tutto un avvenire di civiltà e di pulizia: avremmo dovuto riparlarne ancora; ma poi, come tu sai, il mortaio gli ha squarciato la testa proprio alla fine della battaglia della Bastia. Non lo dimenticherò mai. Ma ora ci sono i problemi dell'immediato domani e converrà pensare a quelli. Ritorneremo all'attacco, questo è l'importante. E libereremo la nostra Bologna. In citta faremo una festa che non finirà mai e cacceremo via di torno gli attesisti e i vili. Quelli che non hanno preso posizione sono i veri e permanenti nemici della libertà: basterà un niente per farli ridiventare fascisti. So che molti miei amici di ieri saranno fra questi e la cosa mi avvilisce. II tempo stringe. Anch'io avrò la mia arma: una fiammante rivoltella tedesca che Giorgio, il nostro mitragliere, ha recuperato dopo uno scontro nella strada. Mi aveva offerto anche un paio di scarpe tedesche quasi nuove, ma io le ho rifiutate. E' una questione di gusto: non voglio pestare questa terra con le scarpe tedesche! Preferisco continuare con i miei vecchi, e una volta elegantissimi scarponi di Aosta, anche se ormai fanno acqua di sopra e di sotto. Ci rivedremo? Lo spero tanto. E ora, caro Luciano, ti abbraccio. I primi si sono gia avviati e cantano ancora quell'inno anarchico che a me piace tanto e che so che ti irrita. Addio. Gianni". Riconosciuto partigiano dal 20 aprile 1944 al 30 settembre 1944. Il suo nome e stato dato a una strada di Bologna e a un plotone di ex partigiani delle brigate 36ª e 62ª che, dopo il passaggio del fronte, si erano arruolati nel gruppo Legnano. In località Croda da Lago di Cortina d'Ampezzo gli è stato intestato un rifugio alpino del CAI. L'università di Bologna gli ha conferito la laurea honoris causa in medicina. Gli è stata concessa la medaglia d'oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: "Studente universitario del 6° anno di medicina, volontariamente si arruolo nella 36ª Brigata Garibaldina, assumendo la direzione del servizio sanitario. Durante tre giorni di aspri combattimenti contro soverchianti forze tedesche, si prodigò incessantemente ed amorevolmente per curare i feriti, e quando il proprio reparto riuscì a sganciarsi dall'accerchiamento nemico, non volle abbandonare il suo posto e, quale apostolo di conforto, conscio della fine che l'attendeva, restò presso i feriti affidati alle sue cure. Ma il nemico sopraggiunto non rispettò la sublime altezza della sua missione e barbaramente lo trucidò. Esempio fulgido di spirito del dovere e di eroica generosità." Cà di Guzzo (Romagna), 30 settembre 1944.