martedì 3 febbraio 2009

PER UNA BIBLIOTECA PUBBLICA AL SERVIZIO DEL CONFRONTO DELLE IDEE


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APPELLO IN DIFESA DEL DIRITTO DI ESPRESSIONE.

Lo scorso 10 gennaio l’Assessore alla Cultura del Comune di Pisa, a nome dell’Amministrazione comunale, ha deciso di negare l’uso della Biblioteca comunale per la presentazione di un libro che raccoglie gli atti di un convegno nazionale tenutosi nel febbraio 2008 a Sesto San Giovanni (MI).
Prima di entrare nel merito dei contenuti di un convegno di cui si vogliono rendere pubblici gli atti, vorremmo esprimere la nostra profonda perplessità ed inquietudine per un provvedimento che appare, a tutti gli effetti, atto negazione di un diritto elementare: quello della libera espressione delle idee e della ricerca storiografica, in questo caso supportate da storici di fama internazionale.
Censure di questo rilievo e livello sarebbero legittime e possibili, nel nostro paese, se ad essere proposte fossero idee dichiaratamente anticostituzionali, perché di stampo fascista, nazista, xenofobo o discriminatorio verso minoranze etniche o religiose.
Il testo per il quale è stata richiesta la sala della Biblioteca comunale, dal titolo “Foibe, revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica – Atti del convegno Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico”, tratta invece di un evento della storia italiana reso di stridente attualità a causa di una profonda rilettura di quel particolare periodo.
L’Assessore alla Cultura del Comune di Pisa, Silvia Panichi, a nome dell’Amministrazione Comunale, esplicita il diniego della sala con la seguente motivazione: “…Si tratta di un argomento particolarmente doloroso e ancora in via di elaborazione storiografica per cui un analisi troppo netta e orientata rischierebbe di offendere la sensibilità di alcuni, soprattutto in prossimità della data del 10 febbraio, scelta in modo ufficiale come giorno del ricordo”, riferendosi alla Giornata del Ricordo istituita con legge n. 92 del 30.03.04. per l’istituzione del quale è stata evidentemente accettata una elaborazione storiografica.
Le tesi sostenute dal convegno al quale si nega oggi una sala pubblica contestano quella elaborazione storiografica.
Impedire la libera espressione delle idee, in questo caso attraverso un punto di vista storiografico alternativo a quello ufficiale, se fatto nel rispetto dei principi costituzionali e con il rigore scientifico che riconosciamo all’opera, significherebbe operare un vulnus senza precedenti nella storia democratica della nostra città.
I sottoscrittori del presente appello chiedono agli organi politico/istituzionali alla guida del Comune di Pisa di concedere la sala della biblioteca Comunale nel giorno richiesto (5 febbraio c.a.) per la presentazione degli atti di questo importante convegno storico, preservando così il carattere aperto, di palestra delle idee che da sempre ha caratterizzato la nostra città.


Prime adesioni di organizzazioni:

A.N.P.I. Pisa; A.N.P.I. Trieste; Rete dei Comunisti Pisa; Osservatorio sul fascismo; RdB CUB Pisa, Associazione marxista Politica e Classe Pisa; Associazione comunista Pianeta Futuro; Sinistra Critica; circolo agorà Pisa; Confederazione COBAS Pisa; PRC Pisa; PdCI Pisa; PCL Pisa; Verdi Pisa; Associazione Italia Cuba sez. Pisa; Comitato promotore del Convegno sulle "Foibe" tenuto il 9 febbraio '08 a Sesto S. Giovanni (Mi) e della pubblicazione degli Atti raccolti nel libro; Rebeldia, spazio antagonista Newroz; Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus; Associazione/Društvo Promemoria per la difesa dei valori dell’antifascismo e dell’antinazismo/za varovanje vrednot protifašizma in protinacizma - Trieste/Trst;




Prime adesioni individuali:

Giorgio Vecchiani, Presidente A.N.P.I. Pisa; Manlio Dinucci, saggista; Andrea Venturi, consigliere comunale della Rete dei Comunisti a S. Giuliano terme; Cinzia Della Porta, presidente del Circolo agorà; Paola Bernardini, bibliotecaria presso Biblioteca comunale di Pisa; Valter Lorenzi, Rete nazionale Disarmiamoli!; Paolo Alderigi, Associazione per la Sinistra Vicopisano; Daniele Barbieri (Imola); Davide Maldarella, studente di Storia contemporanea c/o Università di Pisa; Bruno Frassinesi, responsabile prov. RdB CUB Pisa; Giuseppe Pagano, studente di Storia c/o Università di Pisa; Diana Settepanella, studentessa di Storia c/o Università di Pisa; Sandro Malloggi, operatore Biblioteca comunale Pisa; Mauro Stampacchia, Docente di Storia del Movimento Operaio presso la fac. Di Scienze Politiche dell’Univ. di Pisa; Maurizio Bini, segreteria provinciale PRC Pisa; Andrea Domenica, Assistant Professor Dept. of Information Engineering (DIIEIT), University of Pisa; Mauro Bennati, tecnico di lab. Fac. Di farmacia; Simonetta Vacca, impiegata; Edoardo Prediletto, studente; Stefania Campetti, impiegata; Silvia Zublena, studentessa; Annalisa Antichi, psicologa; Dino Mosca, Trieste; Gilberto VLAIC, Docente universitario, Trieste; Claudio Venza - docente universitario, Trieste; Jože Pirjevec, docente universitario a Koper-Capodistria ed ex studente della Normale di Pisa; Andrea Bellucci - segretario dll'ANPI di Montelupo Fiorentino; Stanka Hrovatin, presidente Anpi-VZPI provinciale di Trieste; Marina Rossi, storica dell'Istituto regionale per la storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia-Giulia di Trieste; Gigi Bettoli, Spilinburgo (Pn); Rudy M. Leonelli, Bologna.

per adesioni: cpianopisa@alice.it cell. 3296947952



sabato 31 gennaio 2009

Valerio Morucci, l'antifascismo non è un western (da il manifesto)


Valerio Morucci, l'antifascismo
non è un western

di Francesco Raparelli

[da il manifesto, 31 gennaio 2009]


Ci sono alcune pagine di Nietzsche sulla «cattiva coscienza» che più di altre ci aiutano a capire la «questione Morucci», ma i giganti vanno scomodati di fronte alle cose serie e il caso dell’ex-Br (che sarà ospite del centro sociale neofascista Casa Pound) di certo non rientra tra queste. A cercare meglio, dietro la rabbia che immagino abbia colpito molti, c’è una biografia che per i movimenti, quelli di massa, ha avuto poco amore. Meglio i western.

Sono passati solo pochi giorni, dal divieto di Frati, pochi giorni da una questione che ha visto protagonista la Sapienza, Morucci e, suo malgrado l’Onda. Durante le feste natalizie, infatti, un docente di Scienze umanistiche ha deciso di invitare Morucci per parlare degli anni di piombo. Puntuale la replica del Rettore: l’iniziativa è stata vietata e in compenso Rettore e sindaco Alemanno hanno pensato bene di attaccare l’Onda («i trecento criminali»), di riproporre la questione del Papa e della libertà di parola. Il professore si difese chiamando in causa il consiglio poliziesco, Morucci fece finta di nulla, l’Onda rispose al meglio (era il 5 gennaio!). Oggi la musica cambia, a parlare è Iannone che presenta l’iniziativa di Casa Pound (di cui è portavoce), «oasi» del libero pensiero e della democrazia. Casa Pound e Morucci, infatti, sono accomunati da un problema comune e dallo stesso desiderio: interdetti dall’università, il problema; farla finita con «l’antifascismo ideologico», il desiderio. Sul desiderio Casa Pound ha già lavorato sodo in questi anni, con tutti gli strumenti tecnici a sua disposizione: per chi ha la memoria corta basta ricordare le cinte e i bastoni tricolore di Piazza Navona (29 ottobre 2008), quelli che colpivano con forza (altro che ideologia!) studenti e studentesse di non più di sedici, diciassette anni. Parlano le foto, parlano le ricostruzioni più oneste (Curzio Maltese primo fra tutti), parla la verità.

Ma a Morucci interessa poco la verità, tanto che – ci racconta Iannone sul
Corriere della sera di ieri ‒ dopo i fatti del 29 ottobre ha chiamato proprio i giovani di Blocco studentesco e non certo gli studenti dell’Onda per esprimere la sua solidarietà. Sulla Stampa dello scorso maggio stessa cosa: nessuna difesa per gli studenti aggrediti in via De Lollis dai neofascisti di Forza nuova, piuttosto una condanna bipartisan. Verrebbe da diventare scortesi, fortunatamente la vita e la storia di Morucci non parlano più a nessuno. Ci spiace per le sue ambizioni pretesche (Ratzinger è interessato all’acquisto?) e per quanto riguarda i movimenti appartengono ad un’altra era, un’era in cui l’antifascismo è un fatto di realtà, non una patologia da nostalgici.
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vedi inoltre: Quegli esorcisti di CasaPound...

giovedì 29 gennaio 2009

La persecuzione dei neri in Europa sotto il Reich nazista

Nella ricorrenza della giornata della memoria
il Centro Interculturale Zonarelli,
l’Assemblea Antifascista Permanente
e l’Associazione Sopra i Ponti
promuovono l’iniziativa:

LA PERSECUZIONE DEI NERI IN EUROPA
SOTTO IL REICH NAZISTA

La presenza di africani, antillani e afroamericani in Europa al tempo del Reich, vittime di persecuzione, uccisi, sterilizzati o deportati nei lager, a volte per la loro militanza antifascista, ma molto più spesso solo per il colore della loro pelle, è un aspetto ancora poco conosciuto della storia dello sterminio nazista. Il dovere della memoria si impone per le vite e le storie di tutte queste persone.

Sabato 31 gennaio, ore 20,00
presso il Centro Interculturale Zonarelli
Via Sacco 14 – Quartiere San Donato – Bologna

con:

- Proiezione del documentario di Serge Bilé Noirs dans les camps nazis e introduzione ai temi contenuti nel libro omonimo;
- Intervento di LUCA ALESSANDRINI (direttore dell’Istituto storico Parri) su “Il razzismo italiano in epoca fascista”;
- Intervento di ANTAR MOHAMED MARINCOLA su “La storia di Giorgio Marincola, unico partigiano nero della Resistenza italiana”;
- Intervento del Coordinamento Migranti sulle odierne politiche di discriminazione dei diversi e degli stranieri in Italia.

martedì 27 gennaio 2009

À la mémoire de Desnos


Alena Kaluskova Tesarova:

À la mémoire de Desnos
Alla memoria di Desnos

Terezin è uno dei nomi che nessuno, nel nostro paese, saprebbe pronunciare con indifferenza. Durante l’Occupazione, la Gestapo, che affollava ancora troppo le prigioni della capitale, aveva fatto della fortezza una prigione, mentre la città veniva trasformata in ghetto. E migliaia di esseri umani continuavano il loro viaggio verso i tribunali del Reich, verso i campi di concentramento o, più semplicemente, verso la morte se un prode nazi aveva voglia di provare la sua giberna nuova. Verso la fine della guerra, man mano che avanzava il fronte occidentale, lunghe file di prigionieri sfilavano in marce della morte verso le prigioni più a est e anche verso Terezin.
Robert Desnos era tra questi.

Dopo la Rivoluzione di maggio, la città e la fortezza furono trasformati in un immenso ospedale. In ciascuna delle sue baracche sud in cui lavoravo, c’arano quatto file di letti primitivi. All’inizio, il numero degli scheletri, vivi o morti, che combattevano o no contro il tifo, la dissenteria, la tubercolosi ed altre malattie oltrepassava il centinaio in ogni baracca. Si conversava in yiddish francese, polacco, ungherese, romeno, greco. Eravamo in numero insufficiente per apportare loro le nostre cure e il lavoro non era né semplice né facile. Arrivavamo a dimenticare che esisteva un’altra vita da quella fatta dei giorni e delle notti trascorsi al capezzale dei malati e di qualche ora di sonno su un materasso di carta. Il quattro giugno, verso le cinque del mattino, un nome mi catapultò nell’anteguerra: il mio collega che quella notte lavorava per la prima volta nella baracca vicina alla nostra, venne ad annunciarmi che esisteva, tra i malati, un certo Desnos. Quando gli chiedemmo se conosceva il poeta francese Robert Desnos, rispose: «Sì, sì! Robert Desnos, poeta francese, sono io!».

Robert Desnos era come gli altri, smagrito, sfinito, i grandi occhi languidi nelle orbite profondamente infossate, le mani, lunghe e belle, straniere, e già morte sulla coperta. Ma gli occhi brillavano d’altro che di febbre e la sua bocca stupita sorrideva, sorrideva…
Chiamava quest’alba grigiastra il suo «mattino più mattinale», esprimeva la sua gioia di sentire il mio francese non molto meraviglioso, e di smettere di essere un animale numerato per ridiventare il poeta Robert Desnos. Cosa tanto più curiosa in quanto accadeva in un paese straniero, in cui non pensava di incontrare lettori ed amici al di fuori del mondo letterario. Non si lamentava, chiedeva soltanto più da bere.

La conversazione volse alla letteratura, ci raccontava quel che sapeva dei suoi amici, ci interrogava sulla letteratura ceca e si divertiva a immaginare l’uomo e l’opera in base alle risonanze dei nomi dei nostri poeti. Dopo il suo ritorno in Francia, di cui non dubitava,voleva andare in campagna e compiere un lavoro piuttosto fisico. E non è che più tardi, «quando tutto quel che egli avrà visto e vissuto sarà ben maturo in lui», che avrebbe cominciato a considerare di iniziare a scrivere una nuova opera. Ma prima di tutto, bisognava vivere e ci prometteva di essere un altro Desnos «quando verremo a vederlo, un giorno». Del suo lavoro nella Resistenza, non ci parlò che una sola volta, ci confidò che i nazisti non erano venuti a sapere il suo più importante «crimine».

I giorni successivi, facemmo tutto quel che era in nostro potere per alleviare le sue sofferenze fisiche e morali. Cercammo di distrarlo: il più delle volte mi chiedeva di «raccontargli delle storie». E io rievocai i miei ricordi, inventai al bisogno, tentai di evocare un mondo di bellezza, dove è normale essere vivi oggi e domani, dove una parola, un’armonia, un colore possono diventare dei problemi importanti perché il vostro stomaco non vi costringe a pensare alla fame, il vostro dolore alle piaghe, il passo dei nazisti alla morte.
Ascoltava e sorrideva di tempo in tempo, voltava coraggiosamente, e con quella nobiltà che gli è peculiare, la schiena alla miseria. Si mostrava degno, fiero, grande.

Un giorno, gli portai una povera piccola rosa, unica testimonianza della bellezza che avevo potuto scoprire dietro il filo spinato. Amava quel fiore con tutta la sua speranza. Non voleva che la portassi via, benché essa l’indomani fosse avvizzita. Fu incenerita col suo corpo…
Perché tutto era vano. La dissenteria era troppo forte per il suo corpo stremato. Dopo una lunga agonia, l’alba dell’otto giugno sentiva l’ultimo battito del suo cuore.


In Signes du temps, n. 5, 1950. Rieditato in Robert Desnos, Œuvres, a cura di Mairie-Claire Dumas, Paris, Gallimard 1999
[traduzione italiana di Rudy M. Leonelli, per il giorno della memoria, 2009]

domenica 25 gennaio 2009

Giovanni Cesareo: Possiamo ripartire da Conchetta (da: il manifesto)


Giovanni Cesareo
Possiamo ripartire da Conchetta

Avverto una certa aria di rassegnazione, anche se rabbiosa, attorno al violento e vergognoso sgombero di Conchetta. Come se ormai fossimo giunti alla fine di una epoca, lunga bella forte, per molti aspetti unica, e non rimanesse che prenderne atto, purtroppo. Qualcuno lo ha perfino scritto che ormai siamo in un'altra epoca e che non c'è più che coltivare semmai il ricordo del glorioso passato.
E se invece proprio questo sgombero si trasformasse in un nuovo inizio? Se si ricominciasse proprio da qui, opponendosi in tutti i modi alla chiusura di Conchetta? Se si chiamassero a raccolta tutte le forze - vecchie e nuove - per dimostrare che, sia pure in una Milano diversa e una Italia abbuiata, non c'è nessuna fine, ma anzi ci sono modi nuovi di praticare le tradizioni che sono state costruite per decenni e decenni? I simboli hanno sempre avuto un grande valore e Conchetta è un simbolo forte, come è già stato testimoniato su queste pagine.

«Lotta dura senza paura» scriveva ieri su queste pagine Ivan Della Mea, che ha 66 anni. Io ne ho 82, ma ho la stessa inesausta voglia. E se la abbiamo noi, certamente ci sono tantissimi giovani e ragazzini che non saranno da meno. Si tratta, oltre tutto, di una lotta piena di significati, perché Conchetta evoca non soltanto un obiettivo politico ma anche, e forse soprattutto, un obiettivo culturalmente assai alto. Non per caso non si è ancora, ripeto ancora, avuto il coraggio di toccare l'archivio di Primo Moroni, che contiene anche materiali donati da molti di noi perché pensavamo che quello fosse il posto più fecondo per la loro utilizzazione.

La cultura di Conchetta non è, in gran parte, assimilabile ad altre - in primo luogo perché si è sempre fondata sulle relazioni e poi perché ha raccolto i contributi di persone che concepivano la cultura come fondamentale nutrimento della vita, della vita quotidiana di ciascuno. Ricordo, su questo piano, quando, insieme con Franco Fortini, Sergio Bologna, Primo Moroni e un gruppo di altri fondammo Altre Ragioni [altreragioni], il cui titolo fu proposto proprio da Fortini. Fu lì, a Conchetta, che quella rivista nacque ed era naturale che fosse così. E ricordo che quando riuscii a fare invitare Primo Moroni alla trasmissione Parlato Semplice - rubrica della mattina prodotta da Rai Educational - i suoi interventi rappresentarono una riconosciuta novità, una riconosciuta novità culturale per il programma.

Sì, è importante ricordare che Conchetta è stata la sede del Cox 18 di Primo Moroni e che questo ha segnato la sua storia, peraltro costruita anche a fatica da tanti altri, anche prima di lui. Dunque oggi non solo difendere Conchetta ma ricominciare da Conchetta può essere, tra l'altro, il modo giusto per dimostrare che, nonostante tutte le controversie e le sconfitte che conosciamo, la sinistra - la vera sinistra - può tuttora camminare e anzi è capace di rinnovare il suo passo. E come meglio potrebbe farlo se non partendo da un luogo che porta sulle spalle tanto passato ed è al contempo capace di tuffarsi nel futuro?

[da: il manifesto, 25 gennaio 2009]

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Vedi inoltre: Da Conchetta a
CasaPound

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* La foto della libreria Calusca in via Conchetta (1997) è tratta
dal sito dell'Archivio Primo Moroni