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Scritti critici. Saggi, articoli e recensioni di filosofia, politica e storia del presente

venerdì 1 luglio 2016

Due libri sulla Resistenza tradita

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 facciamobreccia


Quella della Resistenza tradita è una storia scomoda e normalmente rimossa dalle narrazioni main stream e dalle celebrazioni istituzionali che hanno fatto sempre un uso strumentale dell’eredità della lotta di Liberazione e dei valori dell’antifascismo, antitetici non soltanto rispetto alla politica di riconciliazione del secondo dopoguerra, ma anche e soprattutto in rapporto agli schemi imposti oggi dai trattati internazionali e dall’Unione Europea.
Ora Valerio Gentili, che fra l’altro coordina le attività dell’Archivio Internazionale Azione Antifascista, ha pubblicato un libro che interroga la storia di quella rimozione:
Valerio Gentili, Volevamo tutto. La guerra del Capitale all’antifascismo: una storia della Resistenza tradita, Roma, Red Star Press, 2016, pp. 144, € 14,00
E torna sui banchi delle librerie, a quarant’anni dalla sua prima edizione, un libro che testimonia quanto quella rimozione abbia inciso nel mantenere invariate, dopo il 1945, le disparità sociali, civili e di genere imposte dal Fascismo, come sottolinea Sandro Mosio su Carmilla:
Anna Maria Bruzzone – Rachele Farina, La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi, prefazione di Anna Bravo, Bollati Boringhieri 2016, pp. 314, € 25,00
Una combattente partigiana, Elsa «Elsinki» Oliva (1921-1994) riassumeva così, nel 1976, quello che era avvenuto dopo la Liberazione:
«L’unità della Resistenza è stata molto strombazzata in questi ultimi tempi, ma è stata molto difficile e molto sofferta. Anche qui ci sono stati attriti e raffiche tra le diverse formazioni […] a Milano, quando c’è stata la sfilata, tra quella moltitudine plaudente e tutti con le coccarde – matti, proprio matti! – pensavo che forse una buona parte erano quelli che ci avevano sparato contro. Alle staffette, nelle sfilate, mettevano al braccio la fascia da infermiera! […] Certo quando c’è stata la smobilitazione hanno dato troppo poco tempo per giustiziare i criminali. Tutt’a un tratto non era più possibile giudicare nessuno. C’è stata una comunicazione: dall’ora tot non si potevano più processare i prigionieri, ma si dovevano consegnare.
Il dopoliberazione è certamente stato molto diverso da come lo pensavo. Il mio rimpianto più grande del dopo è stato quello di non essere morta prima, durante la lotta. Se io ho invidiato qualcuno, non ho mai invidiato i compagni vissuti ma i compagni morti. […] Sono mancate le riforme che dovevano agevolare la grande massa popolare, le agevolazioni sono sempre state per i medesimi, per i ricchi, quelli che oggi portano la camicia beige o azzurra, ma che è sempre la camicia nera di ieri. […] I partigiani venivano spesso falsamente accusati di delitti comuni e bisognava che scappassero per non subire condanne durissime. […] Tutti gli impiegati conservavano il loro posto, anche se erano stati dei fascistoni, e i partigiani erano disoccupati. È stato il periodo più buio della mia vita, il dopoliberazione. Alcuni si sono estraniati proprio allora, perché disgustati di tanta persecuzione» (Bruzzone – Farina, La Resistenza taciuta, pp. 149-154).
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By staffetta – giugno 23, 2016


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martedì 7 giugno 2016

Il revisionismo per Δt tendente a zero

Negli ultimi trent’anni il revisionismo dell’estrema destra europea è sempre stato anzitutto un «revisionismo storico», animato dalla nostalgia del passato nazifascista e applicato perciò a un ampio intervallo di tempo (Δt, leggi «delta ti») tra i fatti e la loro mistificante «revisione».
Ma ogni aspirazione totalitaria ambisce a una manipolazione per Δt tendente a zero.
Mentre, dopo il delitto Matteotti, i Fascisti invitavano alla «pacificazione nazionale», stavano preparando un regime violento, oppressivo e guerrafondaio.
Mentre i Nazisti attuavano lo sterminio di massa degli ebrei europei, pubblicamente negavano di aver mai avuto idee simili e giunsero persino a fare un film di propaganda sul campo di Theresienstadt in cui i prigionieri assistono a concerti, giocano a calcio, lavorano nei giardini delle proprie case e si rilassano al sole.
Mentre si consumava il terribile eccidio di Marzabotto, sul «Resto del Carlino» venivano ufficialmente smentite le voci di un massacro come menzogne prive di ogni fondamento.
Ecco che ora, nel suo tentativo di imitare in piccolo il Fascismo, anche CasaPound si produce in un revisionismo per Δt tendente a zero manipolando in modo sistematico le informazioni di Wikipedia su episodi recenti di squadrismo.
Sono decine gli episodi di violenza neofascista smorzati e poi rimossi in modo minuzioso, attento e preciso per non destare alcun sospetto. Le operazioni vengono effettuate da quella che Gianluca Iannone, presidente di CasaPound, definisce come una «task force di pronto intervento nel mondo di internet». Leggi l’intervento di Dario Lapenta su ECN antifa o su La Meteora.
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By staffetta – giugno 6, 2016

Breviario dell’antifascista 8

La Germania pare che non abbia scrittori comici nel periodo nazista. Questo è un segno grave. La sciagura peggiore che possa capitare a un popolo, che il regime totalitario ha trasformato in marionette, è quella di non accorgersi del suo stato, in una parola di non ridere. Non scoprire il comico negli automatismi della dittatura significa appartenere alla massa degli automi perfetti. La prova del comico a quei tempi era definitiva come quella di stare ritti su un piede per chi ha bevuto troppo vino. Ricordo un mio amico nel quale la sensibilità si era acuita a tal punto da fargli correre seri rischi. Le fotografie di certi grandi personaggi, atteggiati visibilmente a una tronfiezza, a un velleismo, a una romanità di terz’ordine suscitavano in lui un bisogno di ridere profondo e penoso come certi attacchi di tosse o conati di vomito.
Vitaliano Brancati, Il comico nei regimi totalitari (1954)
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By staffetta – giugno 5, 2016
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lunedì 30 maggio 2016

[BO] Un clown fascista in Piazza Galvani

Nel tentativo di vivacizzare una campagna elettorale punteggiata solo di svastiche e razzismo, ecco che l’acida signora FASCISTA Lucia Borgonzoni – ops! non siamo noi ad aver scritto la parola «fascista» col rischio di una querela borgonzoniana!… è stato certamente un hacker… o forse un cracker andato di traverso – ha invitato per un comizio in Piazza Galvani il 28 maggio un ex dirigente dello squadrismo FASCISTA divenuto poi clown di professione e provocatore da talk show, Ignazio La Russa detto «La Rissa», sperando in un po’ di pubblicità elettorale in forma di pittoresche contestazioni.
E lo stesso si ripromette con l’ennesima visita del ducetto Matteo Salvini giovedì prossimo in città per la presentazione di un suo «libro»…
In realtà non c’è alcun dibattito sulla città perché non c’è nulla da dire. Oggi in tutt’Europa neofascisti e neonazisti servono ai ceti dirigenti di ogni colore per ridefinire lo spazio pubblico in chiave di maggior autoritarismo e sfruttamento.
Basti dire che poco prima di finire con la Lega Nord, CasaPound ci aveva provato col PD:incontri pubblici nei circoli dei giovani democratici, indicazioni di voto a favore del PD, foto ricordo tutti insieme, partecipazione di esponenti PD e SEL a dibattiti in sedi neofasciste…
Senza contare il fenomeno dei fasciodem: 1, 2, 3… E Bologna non fa eccezione.
Eia eia alla larga!
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By staffetta – maggio 22, 2016
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martedì 10 maggio 2016

2 agosto: l’ennesimo (e solito) depistaggio di Stato


Negli ultimi giorni la Commissione d’inchiesta sull’omicidio di Aldo Moro ha dichiarato di aver messo le mani su un documento «desegretato», ossia non più coperto dal segreto di Stato, e tuttavia «non divulgabile» e «non trascrivibile», in cui ci sarebbero, a detta di Carlo Giovanardi, rivelazioni «esplosive» sulla strage del 2 agosto.
Di «esplosivo», il 2 agosto 1980, c’è stata solo una bomba neofascista che ha spezzato 85 esistenze e ne ha travolte tantissime solo perché lo Stato voleva riportare ordine e disciplina in un paese che chiedeva più libertà e più giustizia sociale…
Quanto poi alla presunta rivelazione, si tratta della solita, fantasiosa «pista libico-palestinese» già archiviata nel 2015 e che comunque, al di là di tutte le inverosimiglianze, non spiega né il particolare tipo di esplosivo né l’innesco della bomba del 2 agosto. E la colpa poi sarebbe di Gheddafi che, oggi come oggi, non può né smentire né confermare.
Va anche apprezzata la barzelletta della «desegretazione» dei vecchi documenti coperti da segreto di Stato: ora non sono più «segreti», ma sono «non divulgabili» e «non trascrivibili»… Una panacea per tutti i depistaggi passati, presenti e futuri, perché il politico o funzionario di turno potrà richiamarsi a documenti che nessuno può vedere né esibire.
Davvero pare difficile capire come mai politici e funzionari di Stato si ostinino, ancora oggi, a effettuare depistaggi sulle grandi stragi nere del Novecento. Ma il fatto è che proprio la cancellazione delle «stragi di Stato» è diventato, nel corso degli anni, un campo di prova in cui il potere sperimenta fino a che punto è capace di rimodellare il passato a piacimento.
Lo stesso potrebbe dirsi per i gruppuscoli neofascisti. In sé non contano quasi nulla e il massimo che potrebbero fare è ferire o uccidere ogni tanto qualcuno che sia loro sgradito. Ma proprio l’acquiescenza o il favore verso il neofascismo serve alla politica istituzionale per ridefinire lo spazio pubblico di una democrazia sempre più autoritaria.
È anche il caso del romanzo noir del diplomatico fascio-rock Mario Vattani, vicino ai neofascisti di CasaPound, che è stato presentato qualche giorno fa nella prestigiosa sede romana del Circolo degli Affari Esteri, presieduto dallo zio di Vattani, Umberto, anche lui diplomatico di lungo corso ed ex segretario generale del Ministero degli Esteri. Presentare il romanzetto di un neofascista non significherebbe molto, se non fosse un modo per ridefinire gli assetti istituzionali del potere culturale.
Quel che conta non è certo l’arte o la ricerca della verità, ma solo la spinta involutiva e autoritaria che il potere vuole imporre a una società in cui lentamente cresce la coscienza dello sfruttamento e dell’oppressione. E, a tal fine, va bene ogni menzogna, ogni idiozia nazistoide, ogni romanzo d’accatto.
              
   Ora e sempre resistenza!

Tagged with 2 agosto 1980, Carlo Giovanardi, depistaggi, Mario Vattani, 
segreto di Stato
, stragi.
By staffetta – maggio 7, 2016
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sabato 9 aprile 2016

[BO] Per il 25 aprile un corteo unitario e plurale

Dall’assemblea pubblica di mercoledì sera, partecipata da numerose e diverse realtà antifasciste bolognesi, arriva la chiamata per il corteo del 25 aprile che, come l’anno scorso, attraverserà la città da Piazza dell’Unità al Pratello dando voce a tutte le realtà che giorno dopo giorno lottano a Bologna. Leggi il resoconto su Zic.
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By staffetta – aprile 8, 2016http://www.teenagefilm.com/wp-content/uploads/2012/11/000003a7_medium.jpeg
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domenica 13 marzo 2016

Ancora fasciodem


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A Bologna, stando al «Corriere» locale, «il PD chiede il pugno di ferro contro i collettivi universitari» (quel chiede è davvero impagabile!) e l’azzeccagarbugli dem Andrea De Maria paragona la contestazione studentesca contro un docente guerrafondaio che cita Mussolini nientemeno che… alla «dittatura fascista»…
Sono quegli stessi che nel 1977 tacciavano di «fascismo» e «diciannovismo» le lotte operaie e studentesche e che non esitarono a schierarsi con la polizia assassina. E contro i quali migliaia di giovani sono insorti a Bologna il 12 marzo 1977 in una festa di rivolta e di libertà.
Ma sono anche quelli che nel 2016, a Roma, pensano di poter recuperare un ex militante neofascista come assessore alla cultura per il Comune…
Non a torto Umberto Croppi, ex FUAN, ex MSI, ex assessore alla cultura di Gianni Alemanno, si meraviglia che un postfascista dem possa fare notizia:
«Che poi no, scusi, abbia pazienza, ripensandoci: ma in un PD che imbarca chiunque, che tiene dentro tutti, da Verdini ad Alfano, il problema posso essere io?».
Insomma, il PD può tener dentro tutto e tutti, basta che siano piccoli o grandi centri di potere, affari e privilegi.
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By staffetta – marzo 10, 2016

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venerdì 11 marzo 2016

I cannoni seminuovi del professor Panebianco

«Non col burro ma con i cannoni». Questa massima politica recentemente rispolverata dal professor Panebianco ha una sua storia istruttiva, e anzi distruttiva, che merita una postilla a disdoro di tutti quei politicanti e cattedratici che in questi giorni hanno difeso la libertà, per un loro pari, di citare Mussolini senza che voli neanche una mosca. Altrimenti, al minimo ronzio, è «terrorismo» e anzi «dittatura fascista».
Mussolini gridò quella frase nel 1939 per sancire l’entrata in guerra dell’Italia al fianco di Hitler. Ma, si sa, Mussolini era un babbeo privo di un minimo di originalità e aveva copiato il bel motto da Hermann Göring, il numero 2 del Terzo Reich. Ma anche Göring non faceva che ripetere uno slogan coniato nell’ottobre 1936 da Rudolf Hess, il numero 3 del Terzo Reich («cannoni anziché burro!»), come risulta da qui e anche da qui nel passo relativo alla nota 25.
Insomma, la massima guerrafondaia passa dal nazista Hess al nazista Göring, poi dal nazista Göring al fascista Mussolini e infine giunge, ancora seminuova, sotto la sapiente penna del professor Panebianco.
Nel 1938 Bertolt Brecht scrisse una satira tagliente di quello slogan della propaganda nazista, dal titolo Kanonen nötiger als Butter (I cannoni sono più necessari del burro), una poesia che adesso finirebbe probabilmente all’Indice e anzi sul rogo, e l’autore ne ricaverebbe per lo meno un foglio di via, due manganellate e gli improperi dem(enti) di Andrea De Maria:
I cannoni sono più necessari del burro
1.
Il detto celebre del generale Göring
«I cannoni sono più importanti del burro»
è giusto nella misura in cui il governo
ha tanto più bisogno di cannoni quanto meno è il burro di cui dispone
perché ha tanto meno burro
quanto più nemici ha.
2.
Ma per il resto si dovrebbe dire che cannoni sullo stomaco vuoto
non sono cosa da qualsiasi popolo.
Inghiottire solo gas
non deve calmare la sete
e senza mutande di lana
forse il soldato è coraggioso soltanto d’estate.
3.
Quando alle artiglierie finiscono le munizioni agli ufficiali in prima linea è facile
che capitino fori nella nuca.
Forse il podestà Valter Giovannini dovrebbe aprire un fasci… colo su questo Bertolt Brecht per «lesa maestà» e «istigazione all’interruzione di pubblico servizio».
Posted in General.
Tagged with Angelo Panebianco, letteratura, satira.
By staffetta – marzo 11, 2016

Unknown alle 22:15 Nessun commento:
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