lunedì 2 marzo 2009

Dall'auto nera al taxi rosa - Souvenir dell'automobilismo völkisch

Qualche giorno fa, la prima pagina di Repubblica - Bologna ha pubblicato una sorta di annuncio corredato dall'icona di un'auto smagliante di allegri colori, il lancio di un servizio di "taxi rosa" da parte di un noto gruppetto di esperti della cinghia, che in questo modo intendono forse camuffare la loro vera passione sotto una più protettiva cintura di sicurezza.

Un vero "servizio"...




Anche incidenze non intende sottrarsi al compito di immortalare questo "evento", rievocando alcune immagini storiche dell'automobilismo
-->völkisch che, in stretto legame con la costutuzione programmata del "tempo libero" e "ricreativo", fu uno degli assi strategici della politica sociale del III Reich, supportato dalla creazione dell'apposita organizzazione Kraft durch Freude, e tradotto, tra l'altro, nella messa in cantiere di un'appposita vettura KdF.
Dalla campagna di lancio di questa vettura, incidenze ha scelto due immagini in tema.


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vedi anche: ... vulva taxi...


venerdì 27 febbraio 2009

Jacques Prévert: Les prodiges de la liberté

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I prodigi della libertà


Fra i denti di una trappola
La zampa di una volpe bianca
E sangue sopra la neve
Sangue della volpe bianca
Che fugge su tre zampe
Nel sole che tramonta
Con stretta tra i suoi denti
La lepre ancora viva.

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Les prodiges de la liberté


Entre les dents d'un piège
La patte du renard blanc
Et des traces sur la neige
Les traces du renard blanc
Qui s'enfuit sur trois pattes
Dans le soleil couchant
Avec entre les dents
Un lièvre encore vivant.


[trad. it. di Ivos Margoni]

mercoledì 25 febbraio 2009

Stop al fascismo, stop al razzismo, stop al sessismo - Bologna 25/2

Bologna - assemblea pubblica:

Nessuna sede fascista, nessuna ronda!

Stop al fascismo, al razzismo, al sessismo

Mercoledì 25 febbraio 2009


I fatti di sabato mattina nel Quartiere Santo Stefano ci pongono di fronte alla pericolosità di una nuova organizzazione fascista, CasaPound, e l’iniziativa di domenica pomeriggio, indetta da Forza Nuova in via Mattei, ci evidenzia, invece, la modernità del suo intervento politico nella crisi.
Non si tratta di giocare a scimmiottare il passato, né di vedere il nemico più pericoloso di ciò che oggi è, ma di riflettere sullo stato di salute del nostro territorio.
Ci sono tensioni che hanno un nome comune chiamato paura. Paura del presente (la pensabilità del domani è un lusso con la valuta corrente), paura del reale, del vicino, del collega di lavoro (sicuro concorrente). Paura del migrante. Paura del gay. Paura di pensare altro che non sia il privato.
La gestione della sicurezza è contesa tra partiti politici "tradizionali" come la Lega e movimenti di destra eversiva che irrompono nel dibattito e la chiave del loro successo è chi diviene giustiziere.
Abbiamo a che fare con organizzazioni socialmente pericolose che in un periodo di crisi formidabile e nel nuovo contesto normativo inaugurato dal Pacchetto Sicurezza diventano potentemente eversive.
Per questo proponiamo a tutti e tutte coloro che non hanno smesso di pensare e di sognare una città diversa, libera, democratica, antirazzista, senza ronde e senza nuclei razzisti che controllano il territorio di fare una campagna metropolitana comune e condivisa.
E di difendere insieme i compagni che si sono opposti all’arroganza dei picchiatori di Casa Pound.
Mercoledì 25 febbraio
ore 21.00 al TPO
via Casarini 17/5 Bologna

sabato 14 febbraio 2009

Howl - Urlo. Per Cox 18.


Togliete le serrature dalle porte!

Togliete anche le porte
dai cardini!


Allen Ginsberg






Finalmente, il centro sociale Conchetta di Milano è stato nuovamente occupato

"Attualmente - sottolinea un testo degli occupanti: Altroché San Valentino! Il nostro cuore batte per Cox 18 - solo la libreria Calusca e l’archivio Primo Moroni rimangono sigillati, decisione presa per salvaguardare il grande valore culturale lì dentro racchiuso, nei suoi volumi e nei rarissimi materiali che sono la nostra memoria storica e quella dei movimenti, del quartiere Ticinese e di tutta la città".
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Quell'insolita fucina di esperienze e di ricerche ha, tra l'altro, ospitato a più riprese le riunioni del gruppo di discussione della rivista altreragioni, al quale partecipava lo stesso Primo Moroni.

Lungo il decennio di vita della rivista, da varie parti d'Italia, confluivamo al Cox 18 per riunirci, in quel ribollente crocevia di saperi e percorsi che, credo, sarebbe stato impossibile anche soltanto immaginare senza l'apporto dell'intelligenza (direi, quasi, della vivace saggezza) e dell'inesauribile disponibilità all'esperienza di Primo Moroni. Un vero "poliglotta" della trasformazione.


Questa mattina, aprendo la posta elettronica, ho trovato, proveniente da da diverse mailing list, la notizia del lieto evento della riapertura di Conchetta.



Un po' dovunque, oggi, molti cuori battono all'unisono per Cox 18.


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* La foto della riapertura del Conchetta è tratta da Indymedia Lombardia

giovedì 12 febbraio 2009

La cosmopoli di Gramsci (di Giorgio Baratta)




La cosmopoli di Gramsci
antidoto al leghismodi Giorgio Baratta *


Il crollo del socialismo reale e il rigonfio dell'americanismo, la violenza arrogante dell'era Bush e il trionfo dei fondamentalismi che mette in crisi le acquisizioni del postcolonialismo, la globalizzazione economica e mediatico-culturale, ora la crisi, hanno determinato e determinano in varie parti del mondo il risveglio di interesse per il pensiero di Gramsci.
In un senso paradossale, ma non peregrino, il suo modo-metodo di pensare appare per alcuni versi più attuale oggi rispetto al periodo nel quale egli scriveva.
La sostanza internazionale del pensiero di Gramsci e, insieme, il motus - crescendo regionale-nazionale-continentale-mondiale che essa sprigiona, sono la ragione della sua fortuna oggi, diversa da quella di ieri.
Il focus sta nella consapevolezza della mondializzazione della politica a dominanza americana, a fronte della certezza che la filosofia della prassi, animata da un autentico «filosofo democratico» o «pensatore collettivo», delinea o può delineare un orizzonte pratico-teorico nel quale morendo, come muore, il "vecchio", si profila all'orizzonte il "nuovo", anche se per ora, come Gramsci scrive nel Quaderno 3, «non può nascere».
Che cosa fosse e cosa potrà essere questo "nuovo", è il suo, e nostro, sogno di una cosa.
Nel Quaderno 1 Gramsci rivendica, differenziandosi da Lenin e dalla linea di pensiero dell'Internazionale, la fioritura di una nuova fase del capitalismo, che si annuncia attraverso il primato economico e politico degli Stati Uniti e l'egemonia americana/americanista. In questo contesto egli ripropone la questione meridionale - affrontata a livello tutto italiano nelle Tesi del 1926 - in una dimensione internazionale, rispetto alla quale l'emblematico, per l'Italia e l'Europa «mistero di Napoli», si ricollega a tutti i Sud del mondo, in particolare a quei Paesi asiatici, come «l'India e la Cina», ove si presentano il «ristagno della storia e l'impotenza politico-militare». Tuttavia già nel Quaderno 2 Gramsci lumeggia un possibile transito: «Se la Cina e l'India diventassero nazioni moderne, con grandi masse di produzione industriale» e «si sposterà l'asse della politica mondiale dall'Atlantico al Pacifico», che cosa accadrà?
Si capisce bene la prudenza politico-programmatica di Gramsci in un «mondo grande e terribile» che risulta, «specialmente per chi è in carcere, sempre più incomprensibile».
Un punto fermo è l'insistenza, anche metaforica ed espressiva, di Gramsci sulla categoria "mondo", spia della centralità del cosmopolitismo=nuovo internazionalismo nel ritmo del suo pensiero.
Gli studi geo-politici e culturali (ad es. di Boothman, che interverrà sull'Islam a Cagliari) hanno avviato la «filologia vivente» di questa dimensione. Banco di prova di un «moderno cosmopolitismo», a partire dal «vecchio centro», in via di sfaldamento, è, per un verso, la «crisi italiana», per altro la questione europea. Di qui la singolare e problematica, ma efficace espressione: «una nuova cosmopoli europea e mondiale».
A che cosa pensa Gramsci?
Nel Quaderno 9 leggiamo: «Nel Risorgimento, Mazzini-Gioberti cercano di creare il mito di una missione dell'Italia rinata in una nuova Cosmopoli europea e mondiale, ma è un mito puramente verbale e cartaceo».
A fronte di questo cosmopolitismo «tradizionale, gonfio di retorica e di ricordi meccanici del passato», che aspira a modernizzarsi coniugandosi, sia pure da posizioni arretrate, con l'«uomo-capitale», Gramsci ribadisce che «l'espansione italiana è dell'uomo-lavoro non dell'uomo-capitale. Il cosmopolitismo italiano non può non diventare internazionalismo. Non il cittadino del mondo, in quanto civis romanus o cattolico, ma in quanto lavoratore e produttore di civiltà». E' cieco chi non veda in questo passo lungi-mirante un modello passato del ricongiungimento, che il presente quadro politico italiano ci offre, tra le godurie mediatiche dell'«uomo capitale» e i rigurgiti clerical-fascisti di «ricordi meccanici del passato».
Quel che stona con l'oggi è evidentemente la pars costruens , che manca, cioè l'italiano uomo-lavoro produttore di civiltà
Dalla Sardegna all'Italia, all'Europa, al mondo: «l'unificazione del genere umano» - analiticamente la ripresa di ciò che Marx una volta chiamò il «comunismo del capitale», progettualmente la trasformazione del senso comune in comunismo socialista - è un leit-motiv nascosto, a volte affiorante, nelle pieghe di tutti i Quaderni.
Abbiamo parlato dell'Italia. Guardiamo all'Europa, anche qui nella tensione passato-presente. L'"europeismo" di Gramsci è una convinzione fortissima.
Dal quaderno 6: «Esiste oggi una coscienza culturale europea ed esiste una serie di manifestazioni di intellettuali e uomini politici che sostengono la necessità di una unione europea: si può anche dire che il processo storico tende a questa unione e che esistono molte forze materiali che solo in questa unione potranno svilupparsi: se fra x anni questa unione sarà realizzata la parola "nazionalismo" avrà lo stesso valore archeologico che l'attuale "municipalismo"».Il punto delicato, oggi in questione, è il nesso che Gramsci stabiliva tra Europa e Nuova Cosmopoli.
Si registra un paradosso: mai come oggi l'unione europea è apparsa tanto fragile e politicamente inconsistente; mai come oggi, tuttavia, la ricerca di un'alternativa al "nuovo ordine mondiale" "di marca americana" dimostra un bisogno urgente di iniziativa dell'Europa - "potenza di mediazione" - congeniale a quella che Gramsci chiamava «una moderna forma di cosmopolitismo».
La gramsciana dialettica del contrappunto tra forme plurime di appartenenza e comunanza degli individui, ha rappresentato e rappresenta una grande sfida contro la tragica mania identitaria che ha in gran parte caratterizzato, in difetto di prospettive concretamente internazionaliste, la storia del Novecento e di questo inizio di secolo.
Così Gramsci ha potuto ragionare sul valore politico del suo ancoramento alle proprie radici in Sardegna e insieme ha esplicitato l'esigenza di una radicale fuoriuscita dal suo originario «triplice o quadruplice provincialismo» al fine di abbracciare una coscienza, più che nazionale, "europea": coscienza difficile, che non può, né deve chiudersi in se stessa, in un'epoca, come si dice nel Quaderno 2, nella quale «l'Europa ha perduto la sua importanza e la politica mondiale dipende da Londra, Washington, Mosca, Tokyo più che dal continente».
Il nostro Convegno affronta Gramsci e la "sua" Europa fuori dell'Europa: tematizza la presenza dell'Asia e dell'Africa nel suo pensiero, e insieme l'attualità di esso in questi continenti. Sono noti i processi di studio e di uso produttivo di Gramsci in Asia, come dimostrano i Subaltern Studies fondati da Guha in India.
E l'Africa? Il Convegno è una promessa, quale tematizzazione di un argomento certo secondario, ma non irrilevante nei Quaderni. Uno studioso della letteratura senegalese immaturamente scomparso, Werner Glinga, delineò, in una magistrale analisi nel Convegno romano del Cipec del 1987, nel quale fu concepita la IGS, il "triangolo della schiavitù" tra Africa, Europa, America, che Gramsci aveva tenuto presente. Il grande intellettuale nero Cornel West - allora consulente di Jesse Jackson, candidato alternativo a Reagan per la presidenza degli Stati Uniti, così come quest'anno è stato un promotore della candidatura di Obama - mise in guardia, in una videorelazione a quello stesso convegno, dall'uso dell'apocope "afro-americano", sottolinando la necessità, financo linguistica, di lasciare spazio all'eredità africana della nazione americano-statunitense. Certo ancora non sappiamo in che cosa consisterà quella che già che viene chiamata l'era Obama.
Siamo solo agli albori. Tendenzialmente i suoi compiti si possono caratterizzare con l'articolazione: riforma economica, rivoluzione simbolica, mutamento dello scenario internazionale (per non parlare di ecologia): momenti diversi - difficile dire se solidali o in contrasto tra loro - di una medesima problematica, estremamente complessa.
Come si presenterà il volto dell'America e dell'americanismo con Obama?
Che cosa dirà Gramsci?

Giorgio Baratta
* Relazione di apertura del convegno "Gramsci in Asia e in Africa", organizzato dal dipartimento di studi storico-politico internazionali dell'università di Cagliari giovedì e venerdì presso l'aula magna della facoltà di Scienze politiche (via di Sant'Ignazio 78). Sarà presentato anche il videosaggio di Giorgio Baratta e Massimiliano Bomba "Terra Gramsci".

[da Liberazione,10/02/2009]

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info: unica.it


Discriminazioni, persecuzioni e deportazioni

Discriminazioni, persecuzioni, esclusioni

Un'iniziativa oggi a Bologna, presso XM24
dalle ore 18 - Via Fioravanti, 24

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vedi: Marginalia


giovedì 5 febbraio 2009

10/02 - Foibe: revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica



«La storia viene usata per l'oggi, per le esigenze politiche attuali. Si tratta di una campagna di intossicazione delle coscienze con riscritture, reinterpretazioni e falsità belle e buone, funzionali, da una parte, alla mobilitazione nazionalista, alla diffusione di stereotipi sciovinisti e razzisti, assunti ormai anche da buona parte del ceto politico di sinistra; dall'altra, alla criminalizzazione di chi oggi non si piega alle compatibilità del sistema capitalista. Tale campagna si concretizza anche nella legittimazione dei fascisti odierni, che diventano portatori di una ideologia come altre. Una ideologia dell'ordine, della sicurezza, autoritaria, fatta propria da buona parte del ceto politico autodefinitosi democratico. In questi anni molti si sono resi conto del significato della Giornata del Ricordo e molte sono state le iniziative per combattere questa campagna di intossicazione. E’, però, necessario combattere con maggiore efficacia, unendo le forze e le conoscenze. Questo convegno vuole essere un contributo in tal senso, non solo per rintuzzare e sbugiardare le menzogne che vengono propagandate, ma anche per fare un passo avanti per riappropriarci, nella sua interezza, della nostra storia.
»








Ne discutiamo

il 10 febbraio 2009 alle ore 20.30

presso la Sala del Baraccano, via S. Stefano 119, Bologna

presentando gli atti del convegno




Intervengono:


Sandi Volk (Università di Trieste)

Giorgio Riboldi (Comitato promotore del convegno)

Rudy Leonelli (Università di Bologna)

Mauro Raspanti (Centro Furio Jesi - Bologna)




Seguirà dibattito. La cittadinanza è invitata.


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[*] La riproduzione e la trascrizione dello scritto originale del generale Gastone Gambara, comandante dell'XI Corpo d'Armata sono tratte da: fuoriregistro

martedì 3 febbraio 2009

PER UNA BIBLIOTECA PUBBLICA AL SERVIZIO DEL CONFRONTO DELLE IDEE


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APPELLO IN DIFESA DEL DIRITTO DI ESPRESSIONE.

Lo scorso 10 gennaio l’Assessore alla Cultura del Comune di Pisa, a nome dell’Amministrazione comunale, ha deciso di negare l’uso della Biblioteca comunale per la presentazione di un libro che raccoglie gli atti di un convegno nazionale tenutosi nel febbraio 2008 a Sesto San Giovanni (MI).
Prima di entrare nel merito dei contenuti di un convegno di cui si vogliono rendere pubblici gli atti, vorremmo esprimere la nostra profonda perplessità ed inquietudine per un provvedimento che appare, a tutti gli effetti, atto negazione di un diritto elementare: quello della libera espressione delle idee e della ricerca storiografica, in questo caso supportate da storici di fama internazionale.
Censure di questo rilievo e livello sarebbero legittime e possibili, nel nostro paese, se ad essere proposte fossero idee dichiaratamente anticostituzionali, perché di stampo fascista, nazista, xenofobo o discriminatorio verso minoranze etniche o religiose.
Il testo per il quale è stata richiesta la sala della Biblioteca comunale, dal titolo “Foibe, revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica – Atti del convegno Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico”, tratta invece di un evento della storia italiana reso di stridente attualità a causa di una profonda rilettura di quel particolare periodo.
L’Assessore alla Cultura del Comune di Pisa, Silvia Panichi, a nome dell’Amministrazione Comunale, esplicita il diniego della sala con la seguente motivazione: “…Si tratta di un argomento particolarmente doloroso e ancora in via di elaborazione storiografica per cui un analisi troppo netta e orientata rischierebbe di offendere la sensibilità di alcuni, soprattutto in prossimità della data del 10 febbraio, scelta in modo ufficiale come giorno del ricordo”, riferendosi alla Giornata del Ricordo istituita con legge n. 92 del 30.03.04. per l’istituzione del quale è stata evidentemente accettata una elaborazione storiografica.
Le tesi sostenute dal convegno al quale si nega oggi una sala pubblica contestano quella elaborazione storiografica.
Impedire la libera espressione delle idee, in questo caso attraverso un punto di vista storiografico alternativo a quello ufficiale, se fatto nel rispetto dei principi costituzionali e con il rigore scientifico che riconosciamo all’opera, significherebbe operare un vulnus senza precedenti nella storia democratica della nostra città.
I sottoscrittori del presente appello chiedono agli organi politico/istituzionali alla guida del Comune di Pisa di concedere la sala della biblioteca Comunale nel giorno richiesto (5 febbraio c.a.) per la presentazione degli atti di questo importante convegno storico, preservando così il carattere aperto, di palestra delle idee che da sempre ha caratterizzato la nostra città.


Prime adesioni di organizzazioni:

A.N.P.I. Pisa; A.N.P.I. Trieste; Rete dei Comunisti Pisa; Osservatorio sul fascismo; RdB CUB Pisa, Associazione marxista Politica e Classe Pisa; Associazione comunista Pianeta Futuro; Sinistra Critica; circolo agorà Pisa; Confederazione COBAS Pisa; PRC Pisa; PdCI Pisa; PCL Pisa; Verdi Pisa; Associazione Italia Cuba sez. Pisa; Comitato promotore del Convegno sulle "Foibe" tenuto il 9 febbraio '08 a Sesto S. Giovanni (Mi) e della pubblicazione degli Atti raccolti nel libro; Rebeldia, spazio antagonista Newroz; Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus; Associazione/Društvo Promemoria per la difesa dei valori dell’antifascismo e dell’antinazismo/za varovanje vrednot protifašizma in protinacizma - Trieste/Trst;




Prime adesioni individuali:

Giorgio Vecchiani, Presidente A.N.P.I. Pisa; Manlio Dinucci, saggista; Andrea Venturi, consigliere comunale della Rete dei Comunisti a S. Giuliano terme; Cinzia Della Porta, presidente del Circolo agorà; Paola Bernardini, bibliotecaria presso Biblioteca comunale di Pisa; Valter Lorenzi, Rete nazionale Disarmiamoli!; Paolo Alderigi, Associazione per la Sinistra Vicopisano; Daniele Barbieri (Imola); Davide Maldarella, studente di Storia contemporanea c/o Università di Pisa; Bruno Frassinesi, responsabile prov. RdB CUB Pisa; Giuseppe Pagano, studente di Storia c/o Università di Pisa; Diana Settepanella, studentessa di Storia c/o Università di Pisa; Sandro Malloggi, operatore Biblioteca comunale Pisa; Mauro Stampacchia, Docente di Storia del Movimento Operaio presso la fac. Di Scienze Politiche dell’Univ. di Pisa; Maurizio Bini, segreteria provinciale PRC Pisa; Andrea Domenica, Assistant Professor Dept. of Information Engineering (DIIEIT), University of Pisa; Mauro Bennati, tecnico di lab. Fac. Di farmacia; Simonetta Vacca, impiegata; Edoardo Prediletto, studente; Stefania Campetti, impiegata; Silvia Zublena, studentessa; Annalisa Antichi, psicologa; Dino Mosca, Trieste; Gilberto VLAIC, Docente universitario, Trieste; Claudio Venza - docente universitario, Trieste; Jože Pirjevec, docente universitario a Koper-Capodistria ed ex studente della Normale di Pisa; Andrea Bellucci - segretario dll'ANPI di Montelupo Fiorentino; Stanka Hrovatin, presidente Anpi-VZPI provinciale di Trieste; Marina Rossi, storica dell'Istituto regionale per la storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia-Giulia di Trieste; Gigi Bettoli, Spilinburgo (Pn); Rudy M. Leonelli, Bologna.

per adesioni: cpianopisa@alice.it cell. 3296947952



sabato 31 gennaio 2009

Valerio Morucci, l'antifascismo non è un western (da il manifesto)


Valerio Morucci, l'antifascismo
non è un western

di Francesco Raparelli

[da il manifesto, 31 gennaio 2009]


Ci sono alcune pagine di Nietzsche sulla «cattiva coscienza» che più di altre ci aiutano a capire la «questione Morucci», ma i giganti vanno scomodati di fronte alle cose serie e il caso dell’ex-Br (che sarà ospite del centro sociale neofascista Casa Pound) di certo non rientra tra queste. A cercare meglio, dietro la rabbia che immagino abbia colpito molti, c’è una biografia che per i movimenti, quelli di massa, ha avuto poco amore. Meglio i western.

Sono passati solo pochi giorni, dal divieto di Frati, pochi giorni da una questione che ha visto protagonista la Sapienza, Morucci e, suo malgrado l’Onda. Durante le feste natalizie, infatti, un docente di Scienze umanistiche ha deciso di invitare Morucci per parlare degli anni di piombo. Puntuale la replica del Rettore: l’iniziativa è stata vietata e in compenso Rettore e sindaco Alemanno hanno pensato bene di attaccare l’Onda («i trecento criminali»), di riproporre la questione del Papa e della libertà di parola. Il professore si difese chiamando in causa il consiglio poliziesco, Morucci fece finta di nulla, l’Onda rispose al meglio (era il 5 gennaio!). Oggi la musica cambia, a parlare è Iannone che presenta l’iniziativa di Casa Pound (di cui è portavoce), «oasi» del libero pensiero e della democrazia. Casa Pound e Morucci, infatti, sono accomunati da un problema comune e dallo stesso desiderio: interdetti dall’università, il problema; farla finita con «l’antifascismo ideologico», il desiderio. Sul desiderio Casa Pound ha già lavorato sodo in questi anni, con tutti gli strumenti tecnici a sua disposizione: per chi ha la memoria corta basta ricordare le cinte e i bastoni tricolore di Piazza Navona (29 ottobre 2008), quelli che colpivano con forza (altro che ideologia!) studenti e studentesse di non più di sedici, diciassette anni. Parlano le foto, parlano le ricostruzioni più oneste (Curzio Maltese primo fra tutti), parla la verità.

Ma a Morucci interessa poco la verità, tanto che – ci racconta Iannone sul
Corriere della sera di ieri ‒ dopo i fatti del 29 ottobre ha chiamato proprio i giovani di Blocco studentesco e non certo gli studenti dell’Onda per esprimere la sua solidarietà. Sulla Stampa dello scorso maggio stessa cosa: nessuna difesa per gli studenti aggrediti in via De Lollis dai neofascisti di Forza nuova, piuttosto una condanna bipartisan. Verrebbe da diventare scortesi, fortunatamente la vita e la storia di Morucci non parlano più a nessuno. Ci spiace per le sue ambizioni pretesche (Ratzinger è interessato all’acquisto?) e per quanto riguarda i movimenti appartengono ad un’altra era, un’era in cui l’antifascismo è un fatto di realtà, non una patologia da nostalgici.
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vedi inoltre: Quegli esorcisti di CasaPound...

giovedì 29 gennaio 2009

La persecuzione dei neri in Europa sotto il Reich nazista

Nella ricorrenza della giornata della memoria
il Centro Interculturale Zonarelli,
l’Assemblea Antifascista Permanente
e l’Associazione Sopra i Ponti
promuovono l’iniziativa:

LA PERSECUZIONE DEI NERI IN EUROPA
SOTTO IL REICH NAZISTA

La presenza di africani, antillani e afroamericani in Europa al tempo del Reich, vittime di persecuzione, uccisi, sterilizzati o deportati nei lager, a volte per la loro militanza antifascista, ma molto più spesso solo per il colore della loro pelle, è un aspetto ancora poco conosciuto della storia dello sterminio nazista. Il dovere della memoria si impone per le vite e le storie di tutte queste persone.

Sabato 31 gennaio, ore 20,00
presso il Centro Interculturale Zonarelli
Via Sacco 14 – Quartiere San Donato – Bologna

con:

- Proiezione del documentario di Serge Bilé Noirs dans les camps nazis e introduzione ai temi contenuti nel libro omonimo;
- Intervento di LUCA ALESSANDRINI (direttore dell’Istituto storico Parri) su “Il razzismo italiano in epoca fascista”;
- Intervento di ANTAR MOHAMED MARINCOLA su “La storia di Giorgio Marincola, unico partigiano nero della Resistenza italiana”;
- Intervento del Coordinamento Migranti sulle odierne politiche di discriminazione dei diversi e degli stranieri in Italia.

martedì 27 gennaio 2009

À la mémoire de Desnos


Alena Kaluskova Tesarova:

À la mémoire de Desnos
Alla memoria di Desnos

Terezin è uno dei nomi che nessuno, nel nostro paese, saprebbe pronunciare con indifferenza. Durante l’Occupazione, la Gestapo, che affollava ancora troppo le prigioni della capitale, aveva fatto della fortezza una prigione, mentre la città veniva trasformata in ghetto. E migliaia di esseri umani continuavano il loro viaggio verso i tribunali del Reich, verso i campi di concentramento o, più semplicemente, verso la morte se un prode nazi aveva voglia di provare la sua giberna nuova. Verso la fine della guerra, man mano che avanzava il fronte occidentale, lunghe file di prigionieri sfilavano in marce della morte verso le prigioni più a est e anche verso Terezin.
Robert Desnos era tra questi.

Dopo la Rivoluzione di maggio, la città e la fortezza furono trasformati in un immenso ospedale. In ciascuna delle sue baracche sud in cui lavoravo, c’arano quatto file di letti primitivi. All’inizio, il numero degli scheletri, vivi o morti, che combattevano o no contro il tifo, la dissenteria, la tubercolosi ed altre malattie oltrepassava il centinaio in ogni baracca. Si conversava in yiddish francese, polacco, ungherese, romeno, greco. Eravamo in numero insufficiente per apportare loro le nostre cure e il lavoro non era né semplice né facile. Arrivavamo a dimenticare che esisteva un’altra vita da quella fatta dei giorni e delle notti trascorsi al capezzale dei malati e di qualche ora di sonno su un materasso di carta. Il quattro giugno, verso le cinque del mattino, un nome mi catapultò nell’anteguerra: il mio collega che quella notte lavorava per la prima volta nella baracca vicina alla nostra, venne ad annunciarmi che esisteva, tra i malati, un certo Desnos. Quando gli chiedemmo se conosceva il poeta francese Robert Desnos, rispose: «Sì, sì! Robert Desnos, poeta francese, sono io!».

Robert Desnos era come gli altri, smagrito, sfinito, i grandi occhi languidi nelle orbite profondamente infossate, le mani, lunghe e belle, straniere, e già morte sulla coperta. Ma gli occhi brillavano d’altro che di febbre e la sua bocca stupita sorrideva, sorrideva…
Chiamava quest’alba grigiastra il suo «mattino più mattinale», esprimeva la sua gioia di sentire il mio francese non molto meraviglioso, e di smettere di essere un animale numerato per ridiventare il poeta Robert Desnos. Cosa tanto più curiosa in quanto accadeva in un paese straniero, in cui non pensava di incontrare lettori ed amici al di fuori del mondo letterario. Non si lamentava, chiedeva soltanto più da bere.

La conversazione volse alla letteratura, ci raccontava quel che sapeva dei suoi amici, ci interrogava sulla letteratura ceca e si divertiva a immaginare l’uomo e l’opera in base alle risonanze dei nomi dei nostri poeti. Dopo il suo ritorno in Francia, di cui non dubitava,voleva andare in campagna e compiere un lavoro piuttosto fisico. E non è che più tardi, «quando tutto quel che egli avrà visto e vissuto sarà ben maturo in lui», che avrebbe cominciato a considerare di iniziare a scrivere una nuova opera. Ma prima di tutto, bisognava vivere e ci prometteva di essere un altro Desnos «quando verremo a vederlo, un giorno». Del suo lavoro nella Resistenza, non ci parlò che una sola volta, ci confidò che i nazisti non erano venuti a sapere il suo più importante «crimine».

I giorni successivi, facemmo tutto quel che era in nostro potere per alleviare le sue sofferenze fisiche e morali. Cercammo di distrarlo: il più delle volte mi chiedeva di «raccontargli delle storie». E io rievocai i miei ricordi, inventai al bisogno, tentai di evocare un mondo di bellezza, dove è normale essere vivi oggi e domani, dove una parola, un’armonia, un colore possono diventare dei problemi importanti perché il vostro stomaco non vi costringe a pensare alla fame, il vostro dolore alle piaghe, il passo dei nazisti alla morte.
Ascoltava e sorrideva di tempo in tempo, voltava coraggiosamente, e con quella nobiltà che gli è peculiare, la schiena alla miseria. Si mostrava degno, fiero, grande.

Un giorno, gli portai una povera piccola rosa, unica testimonianza della bellezza che avevo potuto scoprire dietro il filo spinato. Amava quel fiore con tutta la sua speranza. Non voleva che la portassi via, benché essa l’indomani fosse avvizzita. Fu incenerita col suo corpo…
Perché tutto era vano. La dissenteria era troppo forte per il suo corpo stremato. Dopo una lunga agonia, l’alba dell’otto giugno sentiva l’ultimo battito del suo cuore.


In Signes du temps, n. 5, 1950. Rieditato in Robert Desnos, Œuvres, a cura di Mairie-Claire Dumas, Paris, Gallimard 1999
[traduzione italiana di Rudy M. Leonelli, per il giorno della memoria, 2009]

domenica 25 gennaio 2009

Giovanni Cesareo: Possiamo ripartire da Conchetta (da: il manifesto)


Giovanni Cesareo
Possiamo ripartire da Conchetta

Avverto una certa aria di rassegnazione, anche se rabbiosa, attorno al violento e vergognoso sgombero di Conchetta. Come se ormai fossimo giunti alla fine di una epoca, lunga bella forte, per molti aspetti unica, e non rimanesse che prenderne atto, purtroppo. Qualcuno lo ha perfino scritto che ormai siamo in un'altra epoca e che non c'è più che coltivare semmai il ricordo del glorioso passato.
E se invece proprio questo sgombero si trasformasse in un nuovo inizio? Se si ricominciasse proprio da qui, opponendosi in tutti i modi alla chiusura di Conchetta? Se si chiamassero a raccolta tutte le forze - vecchie e nuove - per dimostrare che, sia pure in una Milano diversa e una Italia abbuiata, non c'è nessuna fine, ma anzi ci sono modi nuovi di praticare le tradizioni che sono state costruite per decenni e decenni? I simboli hanno sempre avuto un grande valore e Conchetta è un simbolo forte, come è già stato testimoniato su queste pagine.

«Lotta dura senza paura» scriveva ieri su queste pagine Ivan Della Mea, che ha 66 anni. Io ne ho 82, ma ho la stessa inesausta voglia. E se la abbiamo noi, certamente ci sono tantissimi giovani e ragazzini che non saranno da meno. Si tratta, oltre tutto, di una lotta piena di significati, perché Conchetta evoca non soltanto un obiettivo politico ma anche, e forse soprattutto, un obiettivo culturalmente assai alto. Non per caso non si è ancora, ripeto ancora, avuto il coraggio di toccare l'archivio di Primo Moroni, che contiene anche materiali donati da molti di noi perché pensavamo che quello fosse il posto più fecondo per la loro utilizzazione.

La cultura di Conchetta non è, in gran parte, assimilabile ad altre - in primo luogo perché si è sempre fondata sulle relazioni e poi perché ha raccolto i contributi di persone che concepivano la cultura come fondamentale nutrimento della vita, della vita quotidiana di ciascuno. Ricordo, su questo piano, quando, insieme con Franco Fortini, Sergio Bologna, Primo Moroni e un gruppo di altri fondammo Altre Ragioni [altreragioni], il cui titolo fu proposto proprio da Fortini. Fu lì, a Conchetta, che quella rivista nacque ed era naturale che fosse così. E ricordo che quando riuscii a fare invitare Primo Moroni alla trasmissione Parlato Semplice - rubrica della mattina prodotta da Rai Educational - i suoi interventi rappresentarono una riconosciuta novità, una riconosciuta novità culturale per il programma.

Sì, è importante ricordare che Conchetta è stata la sede del Cox 18 di Primo Moroni e che questo ha segnato la sua storia, peraltro costruita anche a fatica da tanti altri, anche prima di lui. Dunque oggi non solo difendere Conchetta ma ricominciare da Conchetta può essere, tra l'altro, il modo giusto per dimostrare che, nonostante tutte le controversie e le sconfitte che conosciamo, la sinistra - la vera sinistra - può tuttora camminare e anzi è capace di rinnovare il suo passo. E come meglio potrebbe farlo se non partendo da un luogo che porta sulle spalle tanto passato ed è al contempo capace di tuffarsi nel futuro?

[da: il manifesto, 25 gennaio 2009]

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Vedi inoltre: Da Conchetta a
CasaPound

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* La foto della libreria Calusca in via Conchetta (1997) è tratta
dal sito dell'Archivio Primo Moroni

martedì 20 gennaio 2009

humor nero: "La sapete quella del campo di concentramento?"

Il Corriere della sera del 18 gennaio, genuflesso, lo ha definito "Silvio show". In visita a Nuoro per un giro preelettorale il presidente del consiglio Silvio Berlusconi non ha saputo resistere alla tentazione di raccontare una barzelletta al pubblico dei sostenitori accorso al suo comizio.
"La sapete quella del campo di concentramento?", ha chiesto. E subito, incalzante: "Un kapò dice: 'Per foi ho una puona notizzia e una meno puona. Metà di foi saranno trasferiti in un altro campo'. A questo punto tutti gridano evviva e chiedono quale sia la notizia cattiva. 'Qvella meno puona è che la parte di foi che sarà traferita è qvella ke va da qui in giù', e nel dire questo segna dalla cintola in giù".

La cronaca non dice dell'accoglienza, immaginiamo esultante, del pubblico alla battuta del capo.
Noi, che i campi di concentramento li abbiamo conosciuti bene, vorremmo sommessamente dire al presidente del consiglio che le sue barzellette concentrazionarie non fanno ridere: fanno pena. E non fanno onore né a lui né al suo governo, tanto più alla vigilia del Giorno della memoria.


da ANED
Associazione nazionale ex deportati politici nei lager nazisti

domenica 18 gennaio 2009

Primo comandamento. Un commento da Fabrizio De André




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Non avrai altro Dio all’infuori di me
,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse venute dall’est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te
E non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
E non mi hanno fatto del male.

Fabrizio De André,
da “Il testamento di Tito”,
La buona novella, 1970

sabato 17 gennaio 2009

i nostri anni, un museo degli orrori (da rosalucsemblog)


Quando in Francia uscì la legge che proibiva l'ostentazione dei simboli religiosi - velo, kippah, crocifisso - nei luoghi pubblici, qui venne accolta con un coro di scandalo.
Eravamo laicisti, noi che ci facevamo venire qualche dubbio.
Ma il dubbio, signori miei, non era mica dovuto al nostro spocchioso considerare superstizione tali ostentazioni.

No, non volevamo appendere Voltaire in luogo del Cristo in Croce, costringer le musulmane a mostrare le cosce in nome della rivoluzione sessuale del '68, corrompere i piccoli ebrei con dei rustici prosciutto e formaggio.

Nossignori: sentivamo - già allora - la preoccupante sensazione che la religione stesse diventando il territorio d'elezione per uno "scontro di civiltà" che ci lasciava a dir poco freddi, essendo i nostri valori ancorati saldamente alla nostra costituzione, che garantisce pari dignità ad ogni fede così come a nessuna fede: ci veniva il dubbio che dovesse essere il meno pubblica possibile, la religione, e che bisognasse stroncare sul nascere e in ogni maniera la tentazione di fare della fede una bandiera, un simbolo divisivo, un'identità politica.

La nostra civiltà, quella che si riconosce nella nostra carta costituzionale e che ha le sue fondamenta non in una inesistente e millantata cultura "giudaico-cristiana" ma nell'illuminismo, garantisce ad ogni religione pari dignità e ad ogni cittadino il diritto di professare quello che più gli aggrada, o di non professare un bel nulla. E se ogni fede ha pari dignità di fronte alla legge, nessuna è più rappresentativa, giusta, accettabile di altre: la fonte della laicità (o del laicismo, chiamatelo come più vi aggrada) è separare la religione della cosa pubblica e renderla un fatto privato. Su questo, riflettevamo noi che avevamo dubbi e un po' di invidia per la laica Francia.

Ma ecco che ora quegli stessi che gridarono - allora - allo scandalo laicista, nei confronti di chi si augurava in una maggiore "privatezza" delle manifestazioni religiose, frignano di paura e si stracciano le vesti di fronte ai mussulmani che pregano davanti alla Madunina ...


[leggi l'articolo completo QUI]

lunedì 12 gennaio 2009

Bertolt Brecht: A mia madre - Meiner Mutter




[A mia madre]


Quando non ci fu più, la misero nella terra.
Sopra di lei crescono i fiori, celiano le farfalle…
Lei era leggera, premeva la terra appena.
Quanto dolore ci volle per farla così leggera!




[Meiner Mutter]


Als sie nun aus war, ließ man in Erde sie
Blumen wachsen, Falter gaukeln darüber hin...
Sie, die Leichte, drückte die Erde kaum
Wieviel Schmerz brauchte es, bis sie so leicht ward!



[trad. it. di E. Castellani]

giovedì 8 gennaio 2009

Partigiani e deportati come le truppe di Salò (di Gemma Contin)

Un progetto di legge, numero 1360, e un colpo di mano che metterà il Parlamento di fronte alla scelta di equiparare i partigiani che combatterono contro il fascismo e il nazismo, contro la guerra praticata da Benito Mussolini a fianco di Adolf Hitler, per la liberazione dell’Italia da un’infame dittatura interna ed esterna, con i miliziani della Repubblica di Salò, le truppe irriducibili che volevano continuare a tenere il Paese a ferro e fuoco, quelli che consegnarono migliaia di ragazzi italiani nelle mani dei rastrellatori tedeschi e gli ebrei del ghetto di Roma, di Venezia, di Torino, di Milano, nelle mani dei loro torturatori e di chi li avrebbe avviati ai lager e ai forni crematori.
Il progetto di legge - firmato in sostanza da parlamentari del "Popolo delle libertà" come Nicola Cristaldi, ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana, o dal vicesindaco di Milano Riccardo De Corato, noti eredi del Fuan, del Movimento sociale italiano e di Alleanza nazionale, ma anche da qualche esponente (che poi ha ritirato la firma) del Partito democratico di dubbia memoria storica come Paolo Corsini, ex sindaco di Brescia, che pure ha scritto il libro Da Salò a Piazza della Loggia ed è stato presidente del suo gruppo in Commissione Stragi - è in discussione ora, al rientro dalle vacanze natalizie, al primo punto dei lavori in corso alla Commissione Difesa della Camera dei deputati, il cui presidente Edmondo Cirielli (sì, proprio lui, anch’egli proveniente dai vertici irpini di An, nonché dall’alta formazione militare dell’Accademia della Nunziatella) ne è anche il relatore. Tanto per dire quale rilievo e importanza venga attribuito a una tale proposta dal centrodestra, più precisamente dall’"ala nera" del centrodestra, suscitando peraltro molti dubbi e distinguo, espressi in Commissione, tra le file della Lega.
Si tratta infatti di un nuovo capitolo di quel processo di omologazione (tutti ugualmente buoni oggi, tutti ugualmente cattivi ieri, o tutti eroi posti sullo stesso altarino), di ricostruzione di una verginità ideologica e di "revisionismo storico", ovvero di riscrittura della realtà storica per come quelli di noi che hanno un po’ più di sessant’anni hanno vissuto e ricordano assai bene e con molto dolore, cui hanno contribuito non poco le prese di posizione, in nome di una presunta "memoria condivisa" e declamata "riconciliazione nazionale", molti rappresentanti "al di sopra di ogni sospetto" del centrosinistra, come l’ex presidente della Camera Luciano Violante ...

[leggi l'articolo completo in Bellaciao]
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NB: L'immagine della resa fascista
è tratta da
Carnia libera