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sabato 11 giugno 2011

Carla Verbano: Sia folgorante la fine - Presentazione, BO 16 giugno


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Nella bocca della fontanella

Quasi ogni notte sogno di essere in strada con Valerio, in un viale alberato: mezzogiorno, estate, una giornata caldissima. C’è una fontanella e lui si avvicina. Alcune volte è più alto della fontanella, altre più basso. Ma sempre, per arrivare all’acqua si sporge e poco dopo si scioglie, Valerio, diventa liquido e scompare giù, nella bocca della fontanella.

«L’inizio deve essere folgorante Carla» mi dicono quelli ai quali racconto del libro.
   Capirai, folgorante, alla mia età.
   Io come inizio ho scelto la cosa più innocua che ci sia, un sogno.
  Perché quando mi sveglio, ogni mattina da trent’anni, voglio una cosa: scendere nella bocca della fontanella.
   E solo una cosa mi ripeto, mentre mi alzo, ogni mattina da trent’anni: sia folgorante la fine, di questa storia.

Carla Verbano


Festivalsocialedellecultureantifasciste 2011
Libera la città   >>

16 Giugno 2011
Presentazione del libro di
Carla Verbano:
Sia folgorante la fine
Rizzoli, 2010

ore 19  Tpo, Via Casarini 17/5 - Bologna

Saranno presenti
l‘autrice Carla Verbano
Luca Blasi (Horus Project Roma)

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venerdì 22 aprile 2011

Franco Bergoglio: Magazzino jazz


Franco Bergoglio

Magazzino jazz




"Raccogliendo questi articoli mi è parso di radunare merci per uno scaffale improbabile.
Solo una parola meticcia e portuale come magazzino, di origini arabe e di casa in decine di lingue, poteva rappresentare questo accatastare casuale sotto l'etichetta jazz.

Magazine in inglese indica quei periodici che contengono gli argomenti più disparati, come questo libro, un bric à brac di personaggi e cianfrusaglie: dischi nello spazio, poeti e pugili, pittori musicofili, collezionisti folli, batteristi visionari, trombettisti in fuga, un Coltrane diverso e un Parker dantesco ..."

domenica 21 novembre 2010

la temuta e sconvolgente efficacia della parola [da: L'internamento di Nietzsche]



“Ma la cultura, caro amico, la nostra cultura… Viviamo in un ambiente così innocente, così vago e irreale … che la violenza e la morte sembrano escluse. Eppure per secoli, per millenni, le parole hanno avuto un senso di minaccia o di salvezza, sono coese tra gli uomini come coltelli. L’idea della cultura che abbiamo ricevuto, qualcosa di molto elevato, ideale, che ha valore per il suo disinteresse, ed esprime soltanto conoscenza … Beh, questa storia non è vera: se si cercano certi testi, che oggi forse sono poco conosciuti, se si vanno a leggere quei libri che sono che sono, per così dire, ancora chiusi nelle biblioteche, che nessuno legge da secoli, e non si bada, caro amico, al senso più prossimo, almeno come noi lo intendiamo, al senso conoscitivo o puramente speculativo … le cose possono apparire sotto una luce diversa, connettersi in modo imprevedibile, sconosciuto, ma ancora dotato di senso. Così ad esempio una discussione letteraria o scientifica può nascondere una condanna a morte, o un ammonimento sinistro: nella discussione compaiono soltanto teorie diverse, ma a poco a poco si capisce, eventualmente da piccoli particolari, da sfumature interpretative, ironiche, polemiche, che ci sono dei condannati e dei condannatori, degli imputati e dei giudici, che il processo in corso è una lotta in cui ciascuno mette in gioco la vita”.

Sorrise e si avvicinò finestra scuotendo la testa, come per limitare l’importanza delle ultime parole.

“Ma non si tratta soltanto di questo. In una civiltà dominata da una religione qualsiasi, le parole non possono essere mutate arbitrariamente, a caso. Nella teoria del diritto del Medioevo, e anche del Cinquecento e del Seicento, le formule si ripetono con poche lentissime variazioni, tutto il contrario dello sproloquio moderno; in questo mondo, in cui da qualche parola ben detta dipende l’assenza o la presenza di Dio, il peso, la gravità, la temuta e sconvolgente efficacia della parola è ancora presente. Che la parola sia divenuta soltanto parola soltanto discorso, è un fenomeno che noi, in fondo abbiamo accettato come cosa ovvia, su cui ci siamo adagiati troppo presto, senza verificare, senza indagare. Capisce cosa voglio dire? Non voglio affatto spiegare le sue ultime vicende; cerco di dirle che lei si trova certamente ancora, tutti ancora ci troviamo, a orientarci in un mondo troppo complesso con strumenti inadeguati”.

Capivo il senso generale del discorso; tuttavia si era creata in me una certa diffidenza. Kleiber diceva cose interessanti ma non tali da costituire per me una specie di rivelazione. Pensavo che questo orientamento derivava in parte dai suoi studi sulle religioni primitive, studi importanti nel loro ambito, ma che non potevano assumere un significato così esteso; mi sembrava inoltre, a tratti,di notare una certa reticenza o riservatezza.

“Capisco il suo imbarazzo – riprese Kleiber sorridendo, e avvicinando il suo viso al mio – Sono sempre i vecchi discorsi, penserà, da mitologo e storico delle religioni. Eppure lei ha vissuto, osservato, subito alcune forme di violenza, si è sentito minacciato: riconosca allora che, se la parola ha un potere reale, modifica in qualche modo la realtà, anche la violenza pura, insensata o incomprensibile, che è una delle caratteristiche più rilevanti della nostra epoca, non potrà isolarsi … o nascondersi. Essa dovrà esprimersi: cioè parlare, giustificarsi, controbattere, argomentare”.


da Guglielmo Forni Rosa

“L’internamento di Nietzsche” (1977)

ora in L’internamento di Nietzsche e altri racconti
Faenza, Moby Dick 2007

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giovedì 3 giugno 2010

Dai diari di Bertolt Brecth: una lettura - studio


Dai diari di Bertolt Brecth




Una lettura-studio tratta in parte dai diari di lavoro di B. Brecth e in parte dall'Antigone scritta dallo stesso Brecth. Nei suoi diari di lavoro spesso egli fa riferimento al momento non solo teatrale ma anche politico, che sta vivendo spesso fa riferimento a Hitler e a questo suo modo di portare un intera nazione verso un punto di non ritorno. Al contempo scrive l'Antigone... o per meglio dire riscrive l'Antigone di Sofocle, la attualizza... la fa diventare moderna per il suo tempo....attraverso un attenta selezione dei pezzi tra i suoi diari e la sua Antigone si è cercato un filo unico che legasse la descrizione reale di quel momento storico così come lo viveva Brecth e una sorta di messaggio segreto anti-nazista del suo pensiero.

con Giorgia Fenzi e Dario Marino
regia:
Danilo de Summa

giovedì 3 giugno
h. 21 - 22,3o
baracca bar, via Barontini 1 - Bologna

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mercoledì 19 agosto 2009

Fernanda Pivano (1917-2009) - una intervista

La pelle d’oca viene, a sentir parlare la Pivano. E capisci che il Fascismo non è solo un capitolo di un libro di storia, e la Beat generation non è solo quello di un libro di letteratura americana.



“Internet è meglio dei brutti libri che pubblicano adesso”
Fernanda Pivano è una traduttrice, nel senso letterale del termine: “colei che trasporta al di là”. Cioè qua, in Italia, dove ha fatto conoscere la letteratura americana, della prima e seconda metà del Novecento, facendocela apprezzare attraverso le sue traduzioni.

E non si è accontentata di studiarli, lei li ha voluti incontrare di persona, e si è voluta far conoscere dagli scrittori che hanno reso mitico un periodo della narrativa americana, tra i quali i leggendari esponenti della Beat generation.

Con la sua testimonianza oculare e i racconti appassionati, ha fatto respirare all'Italia la ventata di libertà che spirava oltreoceano e arrivava nel nostro Paese alimentando il sogno americano nell'Italia del dopoguerra. Ma prima dell'America, di Hemingway, dell'età del Jazz e del jukebox, c'era una studentessa un po' annoiata.

Che cosa sognava Fernanda Pivano seduta tra i banchi del Liceo Classico D'Azeglio di Torino?

Allora ero una ragazzina di una famiglia ancora ricca, non rovinata dai fascisti. Non facevo sogni per il mio futuro, a quei tempi per le donne il futuro era sposarsi e avere dei bambini. Ma io non volevo né sposarmi, né avere figli. Da giovane ero carina, non pensi che ero come ora, e mi facevano la corte. Ma quando ero giovane io ero soprattutto disperata della mia ignoranza.

Un giorno arrivò un supplente...
Nel mio liceo venne a insegnare Cesare Pavese. Era un allievo del professor Augusto Monti, che oltre a lui designò come supplente Norberto Bobbio.

Che cosa voleva dire avere come professore Cesare Pavese?
Era diverso dagli altri: lui ci faceva leggere i canti di Dante e ce li spiegava, gli altri insegnanti ce li facevano solo imparare a memoria. Ricordo, come se fosse ieri, le lezioni su Guinizelli. Lui era talmente innamorato della trasformazione artistica di questo autore che spiegandocelo ci lasciava senza fiato. E io mi sono appassionata, in modo forse sproporzionato, agli autori che Pavese leggeva. Li leggeva ad alta voce, in modo incantevole, fino a farli entrare nel cuore.

È vero che all'esame di maturità non passò lo scritto?
Sì, io e il mio compagno di scuola Primo Levi. Era venuto un professore di provincia, tutto vestito di bianco con un grosso stemma fascista appuntato sulla giacca. I nostri temi avevano un contenuto antifascista.

Questo fatto mi creò una profonda crisi perché io come una scema credevo nella scuola. In quell'occasione imparai a conoscere veramente la scuola italiana.

Dopo la laurea in Lettere con tesi su Moby Dick, lei tradusse l'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, pubblicata da Einaudi nel 1943. Cosa la spinse a farlo?
La passione. Pavese mi aveva dato quattro libri per farmi capire la differenza tra la letteratura americana e la letteratura inglese. Questi libri erano: Addio alle armi di Ernest Hemingway e l'antologia di poesie di Masters, e altri due libri che è inutile citare solo per riempire la pagina di corsivi. A innamorarmi di Hemingway ci ho messo mezzo minuto. Un autore che i nostri professori non seppero accettare. Adesso lei mi dovrebbe chiedere perché mi sono innamorata dell'Antologia di Spoon River. Facciamo finta che me lo abbia chiesto.

Perché nel cinismo che attraversava l'America materialistica di quel tempo offriva fiducia e serenità nell'amore, nella lealtà e nella vita vera. Una fiducia che la situazione di quel periodo ci aveva tolto dalle mani, non dal cuore. Quella non era la vera America.

Cosa possiamo scoprire in quel libro?
Si può scoprire ciò che può aiutare l'anima dei giovani a cavarsela nelle traversie della vita.

Lei una volta ha detto che fu colpita dalla «rivoluzionaria tenerezza» dei versi di Masters. Si può fare una rivoluzione con la tenerezza?
Certo! È una rivoluzione moderna. Io nella violenza non ho mai creduto, seguo il suggerimento buddista.

Signora Pivano, lei non si è accontentata di tradurli. Li ha conosciuti, si è fatta conoscere a loro e ci usciva pure insieme ai mitici Hemingway, Kerouac, Bukowski...
E Fitzgerald! E Fitzgerald!

Era divertente passare il tempo con questi scrittori?
Parlare di divertimento per scrittori impastati di tragedia è difficile. Ci si divertiva poco. Ci si diverte con i padroni di un'osteria, io non ho mai avuto tempo di divertirmi. (A dispetto di ciò, nelle foto che la ritraggono, Fernanda Pivano mostra sempre un volto solare e un sorriso radioso). Ho studiato, studiato, studiato.

Una curiosità: durante la presentazione dell'ultimo libro di Gore Vidal a Milano, lei ha sorseggiato Coca-Cola per tutto il tempo. È una bevanda che le piace particolarmente?
No, è una scelta casuale, per bere qualcosa. È un simbolo dell'America, io ne ho conosciuti di più importanti.

Uno sguardo sulla società di oggi. Oggi i ragazzi non leggono molto nel tempo libero, lei come spiega questo disinteresse?
Quei brutti libri che pubblicano adesso! I ragazzi preferiscono guardare Internet che è fatto molto bene. E quello che i professori fanno a scuola non interessa.

Ma come si fa, allora, a iniziarli alla letteratura?
Guarderei insieme a loro Internet, mi farei guidare da loro, cercando di capire cosa gli interessa. E poi cercherei un autore classico in rete. Internet come fonte d'informazione è straordinario.

[Al momento di salutarsi] Sa, io studio Lettere.

Vivrà senza guadagnare una lira. A meno che non incontri un Pavese.

intervista a cura di A. A., gennaio 2008

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[testo e immagine da gingergeneration.it]

domenica 17 maggio 2009

Jenny Marx a Karl Marx - agosto 1844



Jenny Marx a Karl Marx

a Parigi


Treviri, tra l’11 e il 18 agosto 1844

Non scrivere con troppa stizza e troppa ira. Tu sai quanto più effetto abbiano avuto gli altri tuoi saggi. Scrivi con lucidità ed eleganza oppure con ironia e levità. Ti prego, cuore mio, lascia scorrere la penna sulla carta, anche se talvolta dovesse inciampare e zoppicare e con lei una frase… I tuoi pensieri stanno tuttavia ben diritti come granatieri della vecchia guardia, altrettanto nobili e prodi, e come essi potrebbero dire elle meurt mais elle ne se rend pas [muore ma non si arrende]. Che importanza ha se l’uniforme qualche volta è lenta e non è allacciata tanto rigidamente. Come è gradevole nei soldati francesi l’aspetto disinvolto e leggero. Paragonali ai nostri prussiani. Non ti fanno paura? Allarga la cintura e togliti la cravatta e lo sciaccò; lascia correr i particìpi e colloca le parole come aggrada loro stesse. Un simile esercito non deve poi marciare in perfetto ordine. Ma le tue truppe si apprestano alla battaglia? La fortuna sia col condottiero, col mio nero signore.


Da: Karl e Jenny Marx, Lettere d’amore e d’amicizia,
Roma, Savelli, 1979, p. 78-79,

traduzioni dal tedesco di A. Barbanelli
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venerdì 24 aprile 2009

Bologna 25 aprile: Catilina parla


Nell’ambito delle attività di produzione culturale dell'Assemblea Antifascista Permanente, è in corso la riedizione di un saggio notevole e scintillante sul fascismo, edito “a caldo” nel 1922: La controrivoluzione preventiva di Luigi Fabbri.

Nel 1922 Luigi Fabbri compiva quarantacinque anni, era maestro elementare a Corticella in provincia di Bologna e militante anarchico da oltre vent’anni. La sua voce è anzitutto quella di un testimone che ha visto un’area «rossa» come Bologna e l’Emilia-Romagna diventare, nel volgere di pochi mesi, una roccaforte e anzi la «culla» del fascismo e della reazione antiproletaria. Si tratta di un’inchiesta a tutto campo che dalla cronaca minuta, narrata con gusto vivo del racconto, cerca di risalire alla forma sociale del fascismo come «controrivoluzione preventiva».

Nonostante alla fine del 1922 i fascisti distruggessero le copie ancora invendute del libro, tanto che oggi sopravvivono nelle biblioteche italiane meno di una trentina di esemplari dell’edizione originale, le tesi di quel saggio scritto in fretta negli ultimi tumultuosi mesi del 1921 ebbero fin da subito larga risonanza. Così, mentre il nome di Fabbri cade nell’oblio, il concetto di «controrivoluzione preventiva» attraversa invece per intero la storia intellettuale del Novecento fino a Marcuse e a Debord.

Ma, prima della ristampa de La Controrivoluzione preventiva, abbiamo pensato di portare in giro per Bologna quel testo con una lettura pubblica di vari brani, quelli che raccontano più vivacemente fatti ed episodi della violenza e dell’idiozia fascista (con breve introduzione e intermezzi musicali). Qualcosa a metà tra la presentazione di un libro che ancora non c’è e uno spettacolo di dilettanti.

sabato 25 aprile, alle ore 19
al VAG 61, via Paolo Fabbri 110




Catilina parla

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Letture da
La controrivoluzione preventiva
di Luigi Fabbri


interventi musicali:
Marco Coppi - flauto


leggono:
Antonella, Cristina, Giorgio, Nerio, Rudy



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Bologna culla del fascismo:

I - autunno 1920

II - 21 novembre 1920