Visualizzazione post con etichetta potere/sapere. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta potere/sapere. Mostra tutti i post

sabato 15 giugno 2013

Sandro Mezzadra su P. Macherey, Il soggetto produttivo. Da Foucault a Marx




 Il soggetto produttivo.
 Da Foucault a Marx
 di Pierre Macherey
ed. ombre corte

Sandro Mezzadra
Quella potenza umana ridotta a merce
da: il manifesto,13 giugno 2013

Per organizzare il lavoro si producono «norme», che regolano comportamenti, ma anche limiti e resistenze
«Marx per me non esiste», dichiarò Michel Foucault in un dialogo del 1976 con la redazione della rivista Hérodote. E aggiungeva: «voglio dire questa specie d'entità che s'è costruita attorno a un nome proprio, e che si riferisce ora a un certo individuo, ora alla totalità di quel che ha scritto, ora a un immenso processo storico che deriva da lui». C'è qui una chiave per intendere il rapporto intrattenuto da Foucault con Marx, tema che continua a essere al centro di molti studi e dibattiti (si veda ad esempio il bel libro curato da Rudy Leonelli, Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, Bulzoni, 2010): la radicale distanza di Foucault dal marxismo, inteso come compatto edificio dogmatico, si accompagnava in lui alla diffidenza nei confronti di ogni tentativo di «accademicizzare» Marx, di ridurlo a un «autore» come un altro. Quest'ultima è un'operazione certo legittima, continuava Foucault nell'intervista del 1976, ma equivale a «misconoscere la rottura che lo stesso Marx ha prodotto». Quella rottura nel cui solco Foucault ha continuato per molti versi a pensare - non senza produrre ulteriori rotture, che lo hanno spesso condotto lontano da Marx.

giovedì 13 giugno 2013

L'anarchia selvaggia, di Pierre Clastres - presentazione 17/6, BO


http://nogods-nomasters.com/prestashop/268-large_default/a-sociedade-contra-o-estado-pierre-clastres.jpgNel discorso comune e in quello accademico, con poche eccezioni, viene continuamente rimarcata la convinzione che una società di liber* ed eguali sia sempre più inattuabile o addirittura impossibile. L'utopia, che precisamente significa “qualcosa che non ha luogo” e non “qualcosa di irrealizzabile”, è sepolta sotto i cumuli di macerie dell'etnocentrismo.

L'idea che un gruppo umano possa vivere e convivere in assenza di istituzioni di potere appare generalmente come qualcosa di inattuale, addirittura innaturale. Ed è qui che la ricerca antropologica agisce come meccanismo di disvelamento delle credenze e dei pregiudizi. Perché il potere, inteso nella sua forma di comando/oppressione e obbedienza, non è innato nell'umanità.

Pierre Clastres, antropologo eclettico e figlio intellettuale di Claude Levi-Strauss, ci racconta di comunità che vivono in una “favola”, la cui morale piomba vigorosa e differente: i personaggi non sono il braccio dello Stato, le catene delle istituzioni, il tintinnio delle monete, ma semplici individui privi di cravatta e muniti di un concetto dell'esistente diametralmente opposto a quello della società capitalista.

La loro vita non prevede alcun Dio, Stato, servi o padroni, né l'indigenza antropomorfizzata, ma solo un benessere reale e morale partorito dal rifiuto del dominio economico e politico.


Affinché la diversità non sia vittima di stereotipi e venga incorporata all'interno di una prospettiva sociale versatile,

il Collettivo Autorganizzato Volya presenta il libro 
L'anarchia selvaggia – Le società senza Stato, senza fede, senza legge, senza re, edito da Eleuthera.


Di recentissima uscita, consiste in una raccolta di alcuni studi di Pierre Clastres che verranno presentati da Valerio Romitelli (Dipartimento di Storia, Culture, Civiltà, Unibo) e Rudy Leonelli (Dipartimento di Filosofia, Unibo), con la partecipazione
di
 Nicola Turrini, Marco Tabacchini, Elia Verzegnassi,
 che hanno presentato il libro alla Biblioteca Domaschi - spazio     culturale anarchico di Verona.

      
      Lunedì 17 giugno, ore 17,00
     Facoltà di Scienze Politiche
      Strada Maggiore 45, Bologna




Collettivo autorganizzato Volya

 

giovedì 21 marzo 2013

Robert Castel, cinquante ans de pugnacité sociologique


castel

                              Robert Castel  1933 - 2013

Directeur d’études à l’Ecole des hautes études en sciences sociales (EHESS), Robert Castel, né à Brest en 1933, est mort à Paris, mardi 12 mars, des suites d’un cancer. A juste distance entre Michel Foucault et Pierre Bourdieu, dont il était l’ami, non sans bataille, son œuvre voulait être un diagnostic du temps présent.
Robert Castel, c’était d’abord une silhouette courbée sur sa cigarette, un regard caché sous ses longs sourcils, une présence discrète qui jaugeait longuement son interlocuteur. Il y avait chez lui quelque chose du vieux marin, légèrement méfiant, qui se manifestait par des silences, regard de travers, par une blague pour détendre le sérieux du milieu académique. Car ça le faisait rire, la pose des sociologues ou des historiens. Il devait alors penser à son certificat d’étude, passé à Brest, ou à sa mère lui disant : « A la maison, on manquera jamais de rien, il y aura toujours du vin. » Sous le manteau, il aimait brandir son diplôme d’ajusteur mécanicien, son orientation forcée dans une école technique, la rencontre d’un professeur de mathématique, surnommé Buchenwald, ancien rescapé du camp, qui le somma de quitter le collège fipour faire de la philosophie à Rennes.
…..
La fréquentation de Michel Foucault marque alors ses analyses transversales, notamment par cette démarche généalogique que l’on peut suivre dans Le psychanalysme, l’ordre psychanalytique et le pouvoir (Maspero, 1973) ; L’ordre psychiatrique (Minuit, 1977) ; La société psychiatrique avancée : le modèle américain (avec Françoise Castel et Anne Lovell, Grasset, 1979) ; La gestion des risques (Minuit, 1981).  Le traitement et la prise en charge des malades mentaux sont violemment passés au crible de la critique. Du coup, il entretenait un rapport assez particulier avec la sociologie, réintroduisant le passé « avec ses problèmes qui ne sont jamais dépassés ».
___________________
Tanks:  Clare O'Farrell

martedì 19 marzo 2013

Le pape et les "années de plomb" en Argentine


"François Ier, Argentin et péroniste", sur une affiche à Buenos Aires, le 15 mars.

Le rôle de Jorge Mario Bergoglio, le pape François, pendant la dictature militaire (1976-1983) fait l'objet de controverse depuis plusieurs années à Buenos Aires. A l'origine, le directeur du quotidien progouvernemental Pagina 12, Horacio Verbitsky, avait publié, en 2005, un livre polémique, El Silencio (non traduit), où il dénonce la complicité de l'Eglise catholique argentine avec les militaires.



 Le journaliste accuse en particulier Jorge Bergoglio, qui était à l'époque responsable de la Compagnie de Jésus en Argentine, d'être impliqué dans l'enlèvement de deux jeunes prêtres jésuites qui travaillaient dans un bidonville, en 1976. Torturés pendant cinq mois, Orlando Yorio et Francisco Jalics avaient été remis en liberté et s'étaient exilés. Le premier est mort en 2000, le second vit en Allemagne. Dans un communiqué publié, vendredi 15 mars, sur le site Internet des jésuites en Allemagne, ce dernier déclare qu'il ne peut "prononcer sur le rôle du père Bergoglio dans ces événements". Il indique aussi avoir eu "l'occasion de discuter des événements avec le père Bergoglio qui était entre-temps devenu archevêque de Buenos Aires. Nous avons ensemble célébré une messe publique (...). Je considère l'histoire comme close", a-t-il précisé.

De son côté, le porte-parole du Vatican, le Père Federico Lombardi, a dénoncé "le caractère anticlérical de ces attaques, allant jusqu'à la calomnie et la diffamation des personnes". "La justice l'a entendu une fois et à simple titre de témoin et le père Bergoglio n'a jamais été suspecté ou accusé". "Dans l'élaboration de la demande de pardon, Mgr Bergoglio a déploré les défaillances de l'Eglise argentine face à la dictature", souligne le Vatican.


"TALENTS D'ACTEUR"

Dans un article publié au lendemain de l'élection du pape François, M. Verbitsky, qui est également directeur du Centre d'études légales et sociales, une organisation non gouvernementale de défense des droits de l'homme, a renouvelé ses attaques, qualifiant le nouveau pontife de "populiste conservateur", qui introduira "des changements cosmétiques" au Vatican, "avec ses talents d'acteur". Le même jour, M. Verbitsky publie un courrier électronique de Graciela Yorio dans lequel la sœur du prêtre décédé exprime "son angoisse et sa colère". Selon elle, il aurait "laissé sans protection" les deux prêtres, adeptes de la "théologie de la libération" ...


lire  l'article complet  sur Le Monde

mercoledì 13 marzo 2013

"Valutare e punire " e "Una storia italiana", due presentazioni a BO il 14 marzo



 Libreria delle Moline


Via delle Moline, 3/A
Bologna

tel.: 051 26 29 77


Segnaliamo due interessanti incontri fissati per  il 14 /3  ai quali la Libreria delle Moline collabora quale fornitrice dei volumi in presentazione.



Giovedì 14 marzo 2013
ore 17:00

Aula 4 (Facoltà di Scienze Politiche)
Strada Maggiore 45, Bologna


Valeria Pinto
Valutare e punire.

Una critica della cultura della valutazione
(Cronopio 2012)

interviene con l'autrice
Andrea Cavalletti

L’Università è in crisi ormai palese e forse irreversibile: una crisi avviata dalla Riforma Berlinguer del 1999 (che ha istituito la laurea breve e il sistema dei crediti formativi) e culminata con la devastante Riforma Gelmini, secondo un progetto di “modernizzazione” che, lungo quattordici anni, ha distrutto la didattica degli atenei e tagliato le risorse per la ricerca e per il diritto allo studio. Non si tratta di un fenomeno solo italiano, ma di un mutamento assai più vasto per cui le vecchie forme dello Stato si uniformano sempre più ai poteri privatistico-manageriali.

Di ideologia della valutazione e di critica della cultura della meritocrazia, dei dispositivi di controllo che agiscono nel ridisegnare la società della conoscenza, tratta il libro Valutare e punire.
Valeria Pinto, autrice del testo e docente dell’Università Federico II di Napoli.
Andrea Cavalletti, docente presso l’Università IUAV di Venezia.



*  *  *

Giovedì 14 marzo 2013
ore 17:30

Biblioteca dell'Archiginnasio
Piazza Galvani 1, Bologna

"Una storia italiana"
incontro con
Giambattista Scirè
per la presentazione del libro
Gli indipendenti di sinistra
(Ediesse 2012)

con l'autore sono presenti
Giancarla Codrignani, Raniero La Valle, Federico Stame

introduce: Alberto De Bernardi
coordina Michele Smargiassi

Il fenomeno degli Indipendenti di sinistra, una vicenda finora mai studiata, ma che si intreccia con gli avvenimenti più importanti della storia dell’Italia repubblicana, ha una sua assoluta originalità in Europa e forse nel mondo: non ci sono altri esempi, infatti, di un partito politico, nella fattispecie il Pci, che abbia messo a disposizione tra il 10 e il 15 per cento dei propri seggi per l’elezione di candidati indipendenti, permettendo la costituzione di un gruppo autonomo, scisso da vincoli di appartenenza ideologica e con pieno diritto di dissenso.
Dal Sessantotto a Tangentopoli la Sinistra indipendente rappresenta una pluralità di matrici culturali – socialista (come Lelio Basso, Stefano Rodotà, Gianfranco Pasquino), cattolica (come Mario Gozzini, Adriano Ossicini, Claudio Napoleoni), azionista (come Ferruccio Parri, Carlo Levi, Franco Antonicelli, Altiero Spinelli) – tentando di sintetizzarle in una terza forza alternativa, una sorta di riformismo «militante», che, da sinistra, rivendicava come valori irrinunciabili la libertà, la democrazia, il pluralismo, la laicità, rifiutando sia l’ideologismo e il centralismo democratico del movimento operaio, sia la stretta dipendenza dalla gerarchia ecclesiastica e l’interclassismo democristiano.
La storia della Sinistra indipendente funziona bene da cartina di tornasole della società e della politica italiana degli anni Settanta e Ottanta, ed è stata ricostruita utilizzando i documenti reperiti in importanti archivi storici italiani, le testimonianze scritte dei suoi protagonisti e i racconti di quelli ancora in vita. 

Evento in collaborazione con La Società di Lettura e Istituto Storico Parri Emilia - Romagna
Ingresso libero

martedì 19 febbraio 2013

Althusser, Foucault e la crisi del marxismo. BO 28/02/2013





 Seminario a partire dai libri di Cristian Lo Iacono, Althusser in Italia. Saggio bibliografico (1959-2009), Milano, Mimesis, 2012 e di Fabio Raimondi, Il custode del vuoto. Contingenza e ideologia nel materialismo radicale di Louis Althusser, Verona, Ombre Corte, 2011



  Introduce Manlio Iofrida


Parteciperanno Rudy Leonelli, Cristian Lo Iacono,
Diego Melegari, Fabio Raimondi, Valerio Romitelli.

domenica 27 gennaio 2013

Per il Giorno della Memoria. Ricordo di una grande


Rita Levi Montalcini
  22 aprile 1909 - 30 dicembre 2012
 La testimonianza, il racconto di studi e ricerche
durante la fuga per le leggi razziali.

mercoledì 10 ottobre 2012

La crisi - Gianfranco Manfredi '74



 La crisi è strutturale
 è nata col capitale
 sta dentro al meccanismo d'accumulazione
 il riformismo non sarà una soluzione.
 La crisi è già matura
 e Marx non si è sbagliato
 quando che ci ha insegnato
 a prendere lo Stato.

 Io la crisi la risolvo
 oh parbleu ma come fa!
 Sì la crisi, sì la crisi la risolvo là per là.
 Prendo un fucile
 lo faccio pulire,
 lo punto sulle masse,
 ci aggiungo un po' di tasse
 e il sin...dacato
 lo tiro da un lato
 gli dico in un orecchio
 non rompermi lo specchio!
 Sì ma il gioco non riesce
 tu così tiri a campar
 dalla crisi non si esce per di qua.

mercoledì 3 ottobre 2012

Eric Hobsbawm: ad Antonio Gramsci





«Caro Nino, tu sei morto da 70 anni ma io ti conosco bene, ti conosco bene dai tuoi ritratti, da tutto ciò che ho letto, dagli scrittori e dagli storici che hanno studiato la tua vita e soprattutto da tutte le tue parole.

giovedì 20 settembre 2012

Étienne Balibar: l’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx




Il y a ... bien conversion locale de la violence en formes sociales plus «avancées» de l’exploitation – plus «civilisées», et éventuellement plus «productives». Mais c’est au prix, en fait, de son déplacement ou de sa délocalisation. D’autre part, c’est à ce sujet que Marx propose une analyse de la lutte de classes comme un rapport de force évolutif qu’on peut rétrospectivement considérer comme l’aspect le plus «foucaldien» de son œuvre [*]: le «pouvoir» en effet n’y figure pas comme un terme univoque, référant à une instance qui viendrait de l’extérieur contraindre le processus social, mais plutôt comme le rapport lui même, c’est-à-dire le résultat complexe et instable du conflit qui se déploie dans le temps entre discipline et résistance, techniques d’exploitation de la force de travail humaine (que Marx appelle «méthodes d’extraction du surtravail») qui sont aussi, en un sens, des «techniques de gouvernement», et luttes individuelles ou collectives qui incarnent une forme de liberté dès leurs manifestations le plus élémentaires (et non pas seulement préparent une libération «finale») ...

   E. Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133, «Deuxième conférence. Une violence “inconvertible”? Essai de topique».

sabato 15 settembre 2012

Il razzismo, di Alberto Burgio - Gianluca Gabrielli

Lunedì 17 settembre 2012
ore 18.00

presso la Biblioteca “Walter Bigiavi”
via Belle Arti, 33 - Bologna

presentazione del libro

Il razzismo


 di
Alberto Burgio e Gianluca Gabrielli 

Ediesse, 2012
con gli autori ne parlano

Patrizia Dogliani
e
Sandro Mezzadra


introduce
Giorgio Tassinari


Alberto Burgio, Dipartimento di Filosofia
Gianluca Gabrielli, Insegnante e storico
Patrizia Dogliani, Dipartimento di Discipline storiche antropologiche e geografiche
Sandro Mezzadra, Dipartimento di Scienze Politiche
Giorgio Tassinari, Facoltà di Economia, Dipartimento Scienze Statistiche


mercoledì 27 giugno 2012

K : Karl Marx



E n c i c l o p e d i a
d e l l a
n e o l i n g u a

 
K


Karl Marx
[l’incompatibile]


Un’organizzazione non governativa denominata “Madri bulgare contro la violenza” [sic!] chiede che il busto dell’economista e filosofo Karl Marx venga rimosso dai giardini del “campus”di Economia dell’Università  di Sofia.

Secondo la NGO “è scandaloso che la statua di una persona che predicò la rivoluzione comunista globale e l’abolizione forzata della proprietà privata continui ad esistere in una facoltà in cui si insegna l’economia nazionale e mondiale”.

Il monumento sarebbe “incompatibile con la speranza dei giovani di ricevere una moderna educazione europea ...”
[risic!]
___________



giovedì 7 giugno 2012

Appello per un'Europa democratica: Sosteniamo la sinistra radicale greca



Sosteniamo la sinistra radicale greca 
Appello per un'Europa democratica
 Étienne Balibar, Rossana Rossanda, Michel Vakaloulis


Tutti sanno che, nell'evolversi degli avvenimenti che in tre anni hanno spinto la Grecia nell'abisso, le responsabilità dei partiti al potere dal 1974 sono schiaccianti. Nuova Democrazia e Pasok hanno perpetuato corruzione e privilegi, ne hanno beneficiato e fatto ampiamente beneficiare fornitori e creditori della Grecia, mentre le istituzioni comunitarie guardavano altrove. Potremmo stupirci del fatto che la Ue o l'Fmi, trasformati in baluardi di virtù e di rigore, si impegnino a riportare al potere questi stessi partiti che non hanno più nessun credito, denunciando il «pericolo rosso» incarnato da Syriza, minacciando di tagliare i viveri se le elezioni del 17 giugno confermeranno il rigetto del Memorandum come il 6 maggio scorso. Non soltanto questa ingerenza è in flagrante contraddizione con le regole democratiche più elementari, ma le sue conseguenze sarebbero drammatiche per il nostro avvenire comune. Ci sarebbe una ragione sufficiente per rifiutare, in quanto cittadini europei, di lasciar soffocare la volontà del popolo greco. Ma la situazione è ancora più grave. Da due anni i dirigenti dell'Unione europea, in stretta concertazione con l'Fmi, lavorano per spossessare il popolo greco della sovranità. Con il pretesto del risanamento delle finanze pubbliche e di modernizzare l'economia impongono un'austerità che soffoca l'attività economica, riduce alla miseria la maggioranza della popolazione, smantella il diritto del lavoro. Questo programma di risanamento sul modello neoliberista sfocia nella liquidazione dell'apparato produttivo e nella disoccupazione di massa. Per imporlo, c'è stato bisogno addirittura di uno stato d'emergenza senza equivalenti in Europa occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale: il bilancio dello Stato è dettato dalla troika, il parlamento greco è ridotto a una camera di registrazione, la Costituzione più volte aggirata. La decadenza del principio di sovranità popolare va di pari passo con l'umiliazione di un intero paese. In Grecia è stato toccato il fondo, ma questa deriva non riguarda solo la Grecia. Sono tutti i popoli delle nazioni che la costituiscono ad essere considerati dall'Unione europea alla stregua di entità trascurabili, quando si tratta di imporre un'austerità contraria ad ogni razionalità economica, di combinare gli interventi dell'Fmi e della Bce a favore del sistema bancario, o di imporre dei governi di tecnocrati non eletti.

sabato 21 aprile 2012

Seminario: "Hegel et Nietzsche dans l’Histoire de la folie"

 
Università degli Studi di Bologna


Nel quadro del corso di Filosofia della Storia

( Laurea Magistrale - Erasmus Mundus )

del prof. Manlio Iofrida




il dott. Rudy M. Leonelli

terrà un seminario dal titolo:

Hegel et Nietzsche

dans lHistoire de la folie




 
Il seminario avrà luogo il 23 e 24 Aprile 2012
in Aula E, via Zamboni, n.34, dalle ore 13,30 alle ore 15.

venerdì 25 novembre 2011

" Una sovranità chiamata debito" - di: Étienne Balibar

La messa in discussione delle politiche di austerità è la premessa per contrastare la governance dei tecnocrati di Bruxelles e Francoforte. E potere così rilanciare il processo di unificazione politica del vecchio continente
 
da il manifesto, 25 nov. 2011 *

Che cosa è accaduto in Europa, tra la caduta del governo greco e italiano, e il disastro della sinistra spagnola alle elezioni di domenica scorsa? Una peripezia nella piccola storia dei rimpasti politici che si estenuano a inseguire la crisi finanziaria? Oppure il superamento della soglia nello sviluppo di questa crisi che ha compromesso irreversibilmente le istituzioni e le loro modalità di legittimazione? A dispetto delle incognite, bisogna rischiare un bilancio.

Le peripezie elettorali (quelle che forse ci saranno anche in Francia tra sei mesi) non richiedono grandi commenti. Abbiamo capito che gli elettori giudicano i loro governi responsabili dell’insicurezza crescente nella quale vive oggi la maggioranza dei cittadini dei nostri paesi e non si fanno troppe illusioni sui loro successori. Bisogna però contestualizzare: dopo Berlusconi, si può capire che Mario Monti, almeno in questo momento, batta ogni record di popolarità. Il problema più serio riguarda però la svolta istituzionale. La congiuntura delle dimissioni avvenuta sotto la pressione dei mercati che fanno alzare o diminuire i tassi di interesse sul debito, l’affermazione del «direttorio» franco-tedesco nell’Unione Europea, e l’intronizzazione dei «tecnici» legati alla finanza internazionale, consigliati o sorvegliati dall’Fmi, non può evitare di provocare dibattiti, emozioni, inquietudini e giustificazioni.

Una strategia preventiva
Uno dei temi più frequenti è quello della «dittatura commissaria» che sospende la democrazia al fine di rifondarne la stessa possibilità, nozione definita da Jean Bodin all’alba dello Stato moderno e più tardi teorizzata da Carl Schmitt. Oggi i «commissari» non possono essere militari oppure giuristi, ma sono economisti. È quello che ha scritto l’editorialista de Le Figaro il 15 novembre scorso: «Il perimetro e la durata del mandato (di Monti e di Papademos) devono essere sufficientemente estesi per garantirgli l’efficacia. Ma entrambi devono essere limitati per assicurare, nelle migliori condizioni, il ritorno alla legittimità democratica. Non è concepibile pensare di fare l’Europa sulle spalle dei popoli».

A questa citazione, io ne preferisco un’altra: quello di una rivoluzione dall’alto che, sotto la frusta della necessità (il crollo annunciato della moneta unica), starebbe tentando i dirigenti delle nazioni dominanti e la «tecnostruttura» di Bruxelles e di Francoforte. Sappiamo che questa nozione, inventata da Bismarck, indica un cambiamento della struttura della «costituzione materiale», e quindi degli equilibri di potere tra la società e lo Stato, l’economia e la politica, ed è il risultato di una strategia preventiva delle classi dirigenti. Non è questo che sta accadendo con la neutralizzazione della democrazia parlamentare, l’istituzionalizzazione dei controlli sul bilancio e sulla fiscalità da parte dell’Unione Europea, la sacralizzazione degli interessi bancari in nome dell’ortodossia neo-liberista? Queste trasformazioni sono senz’altro in gestazione da molto tempo, ma esse non erano mai state rivendicate nei termini di una nuova configurazione del potere politico. Wolfgang Schäuble non ha quindi torto quando presenta come una «vera rivoluzione» l’elezione del Presidente del Consiglio Europeo a suffragio universale che conferirebbe al nuovo edificio un alone di democrazia. Salvo che questa rivoluzione è già in corso o, perlomeno, è già stata abbozzata.

martedì 22 novembre 2011

E. Balibar - Union européenne : la révolution par en haut ?

 Étienne  Balibar

Union européenne : la révolution par en haut ?

Liberation 21/11/11

Que s’est-il donc passé en Europe entre la chute des gouvernements grec et italien et le désastre de la gauche espagnole aux élections de ce dimanche ? Une péripétie dans la petite histoire des remaniements politiques qui s’épuisent à courir derrière la crise financière ? Ou bien le franchissement d’un seuil dans le développement même de cette crise, produisant de l’irréversible au niveau des institutions et de leur mode de légitimation ? Malgré les inconnues, il faut prendre le risque d’un bilan.

Les péripéties électorales (comme celle qui se produira peut-être en France dans six mois) n’appellent pas de grands commentaires. On a compris que les électeurs tiennent les gouvernements pour responsables de l’insécurité croissante dans laquelle vit aujourd’hui la majorité des citoyens de nos pays et ne se font pas trop d’illusions sur leurs successeurs (même s’il faut moduler : après Berlusconi, on peut comprendre que Monti, pour l’instant, batte tous les records de popularité). La question la plus sérieuse concerne le tournant institutionnel. La conjonction des démissions sous la pression des marchés qui font monter et descendre les taux d’emprunt, de l’affirmation d’un «directoire» franco-allemand au sein de l’UE, et d’une intronisation de «techniciens» liés à la finance internationale, conseillés ou surveillés par le FMI, ne peut manquer de provoquer débats, émotions, inquiétudes, justifications.

L’un des thèmes les plus fréquents est celui de la «dictature commissariale» qui suspend la démocratie en vue d’en recréer la possibilité - notion définie par Bodin aux aurores de l’Etat moderne et plus tard théorisée par Carl Schmitt. Les «commissaires» aujourd’hui ne peuvent être des militaires ou des juristes, il faut des économistes. C’est ce qu’écrit l’éditorialiste du Figaro le 15 novembre : «Le périmètre et la durée du mandat [de MM. Monti et Papademos] doivent être suffisamment étendus pour permettre l’efficacité. Mais ils doivent, l’un comme l’autre, être limités afin d’assurer, dans les meilleures conditions, le retour à la légitimité démocratique. Il ne faut pas que l’on puisse dire que l’Europe ne se fait que sur le dos des peuples.»

A cette référence, j’en préfère néanmoins une autre : celle d’une «révolution par en haut» que, sous le fouet de la nécessité (l’effondrement annoncé de la monnaie unique), tenteraient les dirigeants des nations dominantes et la «technostructure» de Bruxelles et de Francfort. On sait que cette notion, inventée par Bismarck, désigne un changement de structure de la «constitution matérielle», donc des équilibres de pouvoir entre la société et l’Etat, l’économique et le politique, résultant d’une «stratégie préventive» de la part des classes dirigeantes. N’est-ce pas ce qui est en train de se passer avec la neutralisation de la démocratie parlementaire, l’institutionnalisation des contrôles budgétaires et de la fiscalité par l’UE, la sacralisation des intérêts bancaires au nom de l’orthodoxie néolibérale ? Sans doute ces transformations sont en germe depuis longtemps, mais elles n’avaient jamais été revendiquées au titre d’une nouvelle configuration du pouvoir politique. Wolfgang Schäuble n’a donc pas eu tort de présenter comme une «vraie révolution» à venir l’élection du président du Conseil européen au suffrage universel, qui conférerait au nouvel édifice son halo démocratique. Sauf que la révolution est en cours, ou du moins elle est esquissée.