Visualizzazione post con etichetta materialismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta materialismo. Mostra tutti i post

mercoledì 24 luglio 2013

incontro: A partire da “Classe” di Andrea Cavalletti, 27 luglio - Magione (Perugia)

nel quadro  del

Magione (Perugia)



 Sabato 27 luglio

h. 15:30-19:00


 A partire da un libro:

http://www.italica.rai.it/immagini/libri/cavalletti_classe/copertina.jpg

 “Classe” di Andrea Cavalletti
 (Bollati Boringhieri 2009)


Coordina: Andrea Brazzoduro   



Dialogano:
              Andrea CavallettiChristian De Vito
              Rudy Leonelli e   Franco Milanesi

sabato 15 giugno 2013

Sandro Mezzadra su P. Macherey, Il soggetto produttivo. Da Foucault a Marx




 Il soggetto produttivo.
 Da Foucault a Marx
 di Pierre Macherey
ed. ombre corte

Sandro Mezzadra
Quella potenza umana ridotta a merce
da: il manifesto,13 giugno 2013

Per organizzare il lavoro si producono «norme», che regolano comportamenti, ma anche limiti e resistenze
«Marx per me non esiste», dichiarò Michel Foucault in un dialogo del 1976 con la redazione della rivista Hérodote. E aggiungeva: «voglio dire questa specie d'entità che s'è costruita attorno a un nome proprio, e che si riferisce ora a un certo individuo, ora alla totalità di quel che ha scritto, ora a un immenso processo storico che deriva da lui». C'è qui una chiave per intendere il rapporto intrattenuto da Foucault con Marx, tema che continua a essere al centro di molti studi e dibattiti (si veda ad esempio il bel libro curato da Rudy Leonelli, Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, Bulzoni, 2010): la radicale distanza di Foucault dal marxismo, inteso come compatto edificio dogmatico, si accompagnava in lui alla diffidenza nei confronti di ogni tentativo di «accademicizzare» Marx, di ridurlo a un «autore» come un altro. Quest'ultima è un'operazione certo legittima, continuava Foucault nell'intervista del 1976, ma equivale a «misconoscere la rottura che lo stesso Marx ha prodotto». Quella rottura nel cui solco Foucault ha continuato per molti versi a pensare - non senza produrre ulteriori rotture, che lo hanno spesso condotto lontano da Marx.

venerdì 14 giugno 2013

La radicalità, la funzione dell’intellettuale (M. Foucault)



 ... credo che qui si debba far intervenire il problema della funzione dell’intellettuale. È assolutamente vero che mi rifiuto – quando scrivo un libro – di prendere una posizione profetica, cioè quella di dire alla gente: ecco quello che dovete fare, e anche: questo è bene e questo non lo è. Io dico loro: mi sembra, grosso modo, che siano andate le cose, ma le descrivo in modo tale che le vie di attacco possibili siano delineate. Ma con questo non forzo, non costringo nessuno ad attaccare. Poi, è una questione che mi riguarda personalmente, se voglio, a proposito delle prigioni, degli asili psichiatrici, di questo o di quello, fare un certo numero di azioni; ma dico che l’azione politica appartiene ad un tipo d’intervento del tutto diverso da questi interventi scritti e libreschi, è un problema di gruppi, d’impegno personale e fisico; non si è pronunciata qualche parola, no, la radicalità è fisica, la radicalità è dell’esistenza.
Michel Foucault 
 


da: “Precisazioni sul potere. Risposta ad alcuni critici”
Intervista a cura di Pasquale Pasquino, effettuata Parigi nel febbraio 1978.in aut aut, n. 167-168, settembre-dicembre 1978.


giovedì 4 aprile 2013

Non si nasce donna - Quaderni Viola n. 5


Percorsi, testi e contesti
 del femminismo materialista in Francia



a cura di Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli

« Sesso, razza e sessualità sono evidenze socialmente radicate e ben fondate e, per questo, tanto efficacemente e inerzialmente riprodotte come fossero invarianti sociali, dati di natura. Lo studiare i modi con cui i rapporti sociali diventano talmente solidi da sembrare naturali permette di iscriverle nella storia, aprendo, in tal modo, uno spazio di possibilità perché le cose possano essere altrimenti. »

 vedi inoltre: Marginalia

mercoledì 27 marzo 2013

Karl Marx & Klassenkämpfen : Sometime they come back


TIME: Marx’s Revenge: How Class Struggle Is Shaping the World


La vendetta di Marx. Il Time lo rivaluta:
“È stato un profeta, le sue previsioni si sono avverate”

 

Un lungo articolo del TIME rivaluta Karl Marx. Teorizzò i rischi del capitalismo: impoverimento e conflitti sociali

Il settimanale statunitense dedica una lunga analisi alla rivalutazione delle teorie di Marx, da sempre osteggiate dagli Usa. “Se i politici non praticheranno nuovi metodi per garantire eque opportunità economiche a tutti, i lavoratori di tutto il mondo non potranno che unirsi. E Marx potrebbe avere la sua vendetta”…

                                                                          (leggi tutto  su Reset Italia)

giovedì 14 marzo 2013

Guy Debord, da: Commentari sulla Società dello spettacolo, XXIV


 

. Ci si sbaglia ogni volta che si vuole spiegare qualcosa opponendo la mafia allo Stato: essi non sono mai in rivalità. La teoria verifica con facilità ciò che tutte le dicerie della vita pratica avevano dimostrato troppo facilmente. La mafia non è un'estranea in questo mondo: ci si trova perfettamente a suo agio. Nell'epoca dello spettacolare integrato, essa appare come il modello di tutte tutte le imprese commerciali avanzate.

martedì 19 febbraio 2013

Althusser, Foucault e la crisi del marxismo. BO 28/02/2013





 Seminario a partire dai libri di Cristian Lo Iacono, Althusser in Italia. Saggio bibliografico (1959-2009), Milano, Mimesis, 2012 e di Fabio Raimondi, Il custode del vuoto. Contingenza e ideologia nel materialismo radicale di Louis Althusser, Verona, Ombre Corte, 2011



  Introduce Manlio Iofrida


Parteciperanno Rudy Leonelli, Cristian Lo Iacono,
Diego Melegari, Fabio Raimondi, Valerio Romitelli.

lunedì 14 gennaio 2013

Walter Benjamin: Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell'età del capitalismo avanzato

Walter Benjamin


 Charles Baudelaire
Un poeta lirico
nell
età del capitalismo avanzato


a cura di Giorgio Agamben, Barbara Chitussi e Clemens-Carl Härle
ed. Neri Pozza,Vicenza,   2012

 
Questo libro presenta  in prima edizione mondiale la ricostruzione   ̶­­ resa possibile dai manoscritti benjaminiani ritrovati da Giorgio Agamben nel 1981 nella Biblioteca nazionale di Parigi   ̶ del libro su Baudelaire cui Benjamin aveva lavorato negli ultimi due anni della sua vita, quando, interrompendo la stesura dei Passages di Parigi, decide di trasformare in un’opera autonoma quello che all’inizio si presentava come un capitolo del libro. Attraverso un paziente lavoro di edizione e di montaggio, che alterna testi inediti ad altri già noti (che trovano solo ora la loro collocazione e il loro senso nell’opera complessiva), il libro permette di seguire la genesi e lo sviluppo, nelle varie fasi della sua stesura, del work in progress che  costituisce la summa della tarda produzione benjaminiana. Mentre del libro su Parigi noi abbiamo poco più che lo schedario, Charles Baudelaire, un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato offre  un’immagine articolata e coerente, anche se frammentaria, del laboratorio benjaminiano e del suo metodo compositivo. Sfatando la leggenda di un autore esoterico, il libro ci presenta, nel suo stesso farsi, il modello di una scrittura materialista, in cui non soltanto la teoria illumina i processi materiali della creazione, ma anche questi ultimi gettano una nuova luce sulla teoria. 

lunedì 17 dicembre 2012

Manifestoon: A spectre is haunting ...


The Communist Manifesto illustrated by Cartoons





                          vedi, nel sito MIA, le traduzioni: 
        
 

  &

mercoledì 7 novembre 2012

Bologna - Presentazione del I libro del Capitale, 9 novembre


mercoledì 10 ottobre 2012

La crisi - Gianfranco Manfredi '74



 La crisi è strutturale
 è nata col capitale
 sta dentro al meccanismo d'accumulazione
 il riformismo non sarà una soluzione.
 La crisi è già matura
 e Marx non si è sbagliato
 quando che ci ha insegnato
 a prendere lo Stato.

 Io la crisi la risolvo
 oh parbleu ma come fa!
 Sì la crisi, sì la crisi la risolvo là per là.
 Prendo un fucile
 lo faccio pulire,
 lo punto sulle masse,
 ci aggiungo un po' di tasse
 e il sin...dacato
 lo tiro da un lato
 gli dico in un orecchio
 non rompermi lo specchio!
 Sì ma il gioco non riesce
 tu così tiri a campar
 dalla crisi non si esce per di qua.

giovedì 20 settembre 2012

Étienne Balibar: l’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx




Il y a ... bien conversion locale de la violence en formes sociales plus «avancées» de l’exploitation – plus «civilisées», et éventuellement plus «productives». Mais c’est au prix, en fait, de son déplacement ou de sa délocalisation. D’autre part, c’est à ce sujet que Marx propose une analyse de la lutte de classes comme un rapport de force évolutif qu’on peut rétrospectivement considérer comme l’aspect le plus «foucaldien» de son œuvre [*]: le «pouvoir» en effet n’y figure pas comme un terme univoque, référant à une instance qui viendrait de l’extérieur contraindre le processus social, mais plutôt comme le rapport lui même, c’est-à-dire le résultat complexe et instable du conflit qui se déploie dans le temps entre discipline et résistance, techniques d’exploitation de la force de travail humaine (que Marx appelle «méthodes d’extraction du surtravail») qui sont aussi, en un sens, des «techniques de gouvernement», et luttes individuelles ou collectives qui incarnent une forme de liberté dès leurs manifestations le plus élémentaires (et non pas seulement préparent une libération «finale») ...

   E. Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133, «Deuxième conférence. Une violence “inconvertible”? Essai de topique».

martedì 26 giugno 2012

Karl Marx: Vita nova





La seconda vita di Karl Marx
di Marcello Musto
da l'Unità, 24/6/2012 


Nuovi manoscritti smontano dogmatismi antichi e offrono analisi attuali sulla crisi. Dopo anni di lodi sperticate alla logica di mercato, è molto utile analizzare la sua opera e i suoi appunti

Se la perpetua giovinezza di un autore sta nella sua capacità di riuscire a stimolare sempre nuove idee, si può allora affermare che Karl Marx possiede, senz’altro, questa virtù.

Nonostante, dopo la caduta del Muro di Berlino, conservatori e progressisti, liberali ed ex-comunisti, ne avessero decretato, quasi all’unanimità, la definitiva scomparsa, con una velocità per molti versi sorprendente, le sue teorie sono ritornate di grande attualità. Di fronte alla recente crisi economica e alle profonde contraddizioni che dilaniano la società capitalistica, si è ripreso a interrogare il pensatore frettolosamente messo da parte dopo il 1989 e, negli ultimi anni, centinaia di quotidiani, periodici, emittenti televisive e radiofoniche, di tutto il mondo, hanno celebrato le analisi contenute ne Il capitale.


Nuovi sentieri per la ricerca 
Questa riscoperta è accompagnata, sul fronte accademico, dal proseguimento della nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels, la MEGA². In essa, le numerose opere incompiute di Marx sono state ripubblicate rispettando lo stato originario dei manoscritti e non, come avvenuto in precedenza, sulla base degli interventi redazionali cui essi furono sottoposti. Grazie a questa importante novità e tramite la stampa dei quaderni di appunti di Marx (precedentemente quasi del tutto sconosciuti), emerge un pensatore per molti versi differente da quello rappresentato da tanti avversari e presunti seguaci. Alla statua dal profilo granitico che, nelle piazze di Mosca e Pechino, indicava il sol dell’avvenire con certezza dogmatica, si sostituisce l’immagine di un autore fortemente autocritico che, nel corso della sua esistenza, lasciò incompleta una parte significativa delle opere che si era proposto di scrivere, perché sentì l’esigenza di dedicare le sue energie a studi ulteriori che verificassero la validità delle proprie tesi.

domenica 16 ottobre 2011

I veri moderati - Roma 15 ottobre 2011

La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza » in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza …
Walter Benjamin





martedì 16 novembre 2010

Seminario «Foucault e Marx»

«Io cito Marx senza dirlo, senza mettere le virgolette, e poiché la gente non è capace di riconoscere i testi di Marx, passo per essere colui che non lo cita. Un fisico, quando lavora in fisica, prova forse il bisogno di citare Newton o Einstein? Li usa, ma non ha bisogno di virgolette, di note a piè di pagina o di un’approvazione elogiativa che provi fino a che punto è fedele al pensiero del Maestro. E poiché gli altri fisici sanno quel che ha fatto Einstein, quel che ha inventato, dimostrato, lo riconoscono subito. È impossibile fare storia oggi senza usare una sequela di concetti legati direttamente o indirettamente al pensiero di Marx e senza porsi in un orizzonte che è stato descritto e definito da Marx. Al limite, ci si potrebbe chiedere che differenza ci sia tra essere storico e essere marxista»

Michel Foucault
"Entretien sur la prison : le livre et sa méthode", 1975
tr. it. in Microfisica del potere, 1977, p. 134

*  *   *
Rudy M. Leonelli
Seminario
Foucault e Marx
per il corso del prof. Alberto Burgio
0442 - Storia della filosofia contemporanea
Università degli Studi di Bologna
Dipartimento di Filosofia
A. A. 2010 - 2011


Il seminario si propone di delucidare il rapporto forte intrattenuto dalle ricerche di Michel Foucault con concetti ed analisi di Marx, segnatamente nel campo del sapere storico-politico moderno, soffermandosi su diversi luoghi strategici delle opere dei due filosofi-storici e sull’incessante ripensamento – non esente da rettifiche, spostamenti, specificazioni – di Foucault intorno ai suoi rapporti con Marx.
In questa prospettiva il Corso al Collège de France del 1976 “Bisogna difendere la società” assume un’importanza decisiva: è qui che Foucault esplora il complesso e conflittuale processo di formazione del sapere storico-politico moderno, a partire dal riconoscimento tributato da Marx agli storici francesi della Restaurazione, per analizzare poi le posteriori e divergenti trasformazioni di questo sapere, nel cui campo si iscrive la stessa genealogia di Foucault.
Lungo l’asse di questa dimensione riflessiva considereremo inoltre diversi brani di autori (in prevalenza marxisti) che – dopo Marx e prima del Corso del 1976 – hanno trattato la questione del paradossale emergere della storiografia moderna.e/o dell’interpretazione della storia in termini di lotta di classe come radicale e inattesa trasformazione dell’antica guerra delle “razze”.

Orario e sede del seminario: giovedì, ore 11-13, via Centotrecento 18, aula D
Data di inizio: giovedì 18 novembre 2010

__________________________
Comunicazioni
per i/le frequentanti:

* Il seminario,integrativo del corso di Storia della filosofia contemporanea del Prof. A. Burgio, è opzionale.
Per chi sceglie di includere nell'esame i temi affrontati nel seminario, è prevista una riduzione dei testi della bibliografia d'esame.
Per informazioni più dettagliate rivolgersi al dott. Leonelli.
* Parti integranti di testi discussi al seminario sono disponibili presso la Copisteria Centotrecento, via Centotrecento 19/b, Bologna
Aggiornamenti calendario:
Come comunicato a chi era presente alla scorsa giornata,
il seminario "Foucault e Marx"
NON si terrà giovedì 23 dicembre,

e riprenderà giovedì 13 gennaio 2011,

* * *
Il seminario si concluderà
giovedì 20 gennaio
(ore 11-13 aula D)
.

domenica 17 ottobre 2010

Roberta Cavicchioli su "Foucault-Marx" [per Recensioni Filosofiche]

Leonelli, Rudy (a cura di)
Foucault-Marx. Paralleli e Paradossi.
Roma, Bulzoni, 2010, pp. 146, € 13,00, ISBN 9788878704763

Recensione di Roberta Cavicchioli

in Recensioni Filosofiche,
Numero 53 -
nuova serie - ottobre 2010

Il volume collettaneo, Foucault-Marx. Paralleli e paradossi, sviluppa e ordina gli spunti scaturiti da una giornata di lavori dedicata a Foucault, Marx, marxismi, ospitata dalla Scuola Superiore di Studi Umanistici di Bologna, cinque anni or sono.
Decisi ad esplorare le possibilità di dialogo, contatto e contaminazione fra due approcci critici alla società che si implicano vicendevolmente e, tuttavia, non riescono a sottrarsi a un confronto animato, i sei relatori hanno deciso di riorganizzare i loro interventi. Ad essi si è poi aggiunto un settimo sodale, Etienne Balibar, che, condividendo le premesse dell’impresa, ha messo a disposizione la versione integrale dell'intervista rilasciata a l’Humanité nel ventennale della morte di Michel Foucault .
Come si inferisce facilmente dal contesto, l’oggetto dell'indagine condotta è il rapporto del filosofo francese con l'eredità marxiana, quell'eredità ingombrante che, sovente e con accenti polemici, Foucault lamentava di aver trascurato per dedicarsi a problemi "più cogenti"- un'eredità che trova nella riflessione foucaultiana interpretazioni originali ed esiti sorprendenti.
L'indicazione contenuta nel titolo è forte: non si vuole innescare il gioco delle appartenenze e fare di Foucault un nipote più o meno devoto. Contrastando il persistere di una storia delle idee che tende a produrre un’uniformità fittizia fra gli autori, si cercano le somiglianze di famiglia proprio nella discontinuità e nelle rotture. Il tentativo riesce, almeno nella misura in cui fornisce al lettore uno spaccato della storia dei movimenti culturali afferenti alla Sinistra; riapre problemi interpretativi non secondari circa la ricezione dell’insegnamento marxiano; chiama in causa autori come Gramsci, Lukács, Sartre, Althusser, uscendo dalla logica segregante di un soliloquio di Foucault su Marx.
Eloquente la premessa del curatore, Rudy Leonelli, che, prese le distanze da un'ermeneutica di maniera, invita a procedere per paralleli e paradossi, rintracciando nell'opera foucaultiana i temi e i problemi posti dalla teorizzazione marxiana e marxista, senza omissioni. Esprimendo una posizione non condivisa dalla totalità dei redattori, Leonelli sostiene che Foucault abbia riattivato i percorsi di ricerca marxiani nel senso della “generalizzazione”. Con generalizzazione si allude alla dislocazione di un sapere dal suo contesto di nascita, al quale è inizialmente incorporato, a un altro: rintracciarne esempi probanti, mette in campo una “genealogia della genealogia” e impone di restituire la parola ai testi. Una feconda circolazione di concetti che coinvolge le nozioni di produzione materiale e simbolica, controllo, dominazione, lotta - per citare solo alcune delle anticipazioni marxiane che incontrano in Foucault un’evoluzione sorprendente.
Colpiva Foucault la concezione della guerra come economia generale di armati e non armati: non è un caso che nella costruzione del mito della battaglia perpetua, su cui si diffonde nel corso del 1976, individui la condizione di emergenza di un immaginario politico moderno che fa la sua comparsa nel discorso dei Levellers per trovare una sistematizzazione negli storici della Restaurazione, Thierry e Guizot dai quali lo stesso Marx avrebbe mutuato la categoria della lotta di classe.
Orienta l’analisi degli autori la certezza paradossale che Foucault possa insegnare molto su Marx, naturalmente a patto che si esca dall’alternativa di una micropolitica cripto o anti-marxista. Ed è vero il contrario: il confronto con la tradizione marxista permette di cogliere elementi importanti della strategia politica foucaultiana.
Ne è certo Balibar che, già nel suo La paura delle Masse, (1997), aveva individuato in Marx e Foucault i due maggiori esponenti della politica della trasformazione delle strutture di potere/dominazione. Valutazione, questa, che trova supporto in un esame non superficiale della riflessione marxiana; riducendo il marxismo alla sussunzione dell’individuo nella massa, se ne perde completamente la valenza emancipatoria, l’afflato libertario soffocato nelle epifanie del totalitarismo. Recuperando questa profondità, si arriva a ricomporre la frattura fra la teoria macropolitica delle strutture collettive avanzata da Marx e il pensiero micropolitico, espressione di un individualismo libertario che in Foucault è mitigato dall’influenza esercitata dalla ricerca sociologica.
Alberto Burgio ravvisa nel concetto di contropotere l’elemento che accomuna Foucault a Marx; la collettivizzazione delle resistenze individuali ribadisce la necessità di “non essere governati”, formulata alla “Société française de philosophie” il 27 maggio 1978. È in particolare nei suoi studi in ambito psichiatrico che Foucault arriva a cogliere il rapporto fra la funzione strutturante del modo di produzione e l’emergere di forme di soggettivazione resistenti o alternative all’interno di uno script definito dal potere, mostrando un'evidente prossimità con il metodo marxiano; riconoscere tale prossimità significa, nuovamente, sottrarre Marx a una lettura deterministica ed economicistica. Elargisce tale indicazione di percorso lo stesso Foucault, che abbandona una concezione appropriativa del potere per definirlo in rapporto alla guidance, una capacità di indirizzo essenziale all’integrazione dei subalterni nei disegni delle classi dirigenti, in cui si avverte anche il riferimento all’opera del grandissimo Antonio Gramsci.
Per valutare la sua ricezione al di fuori di una cornice ideologica, Stefano Catucci chiede di “essere giusti con Marx” (p. 45), cui dobbiamo il linguaggio che ancora struttura la nostra riflessione sui rapporti di potere. Opportuna la sua affermazione che mette subito in chiaro le cose: in Marx, Foucault ama il filosofo dell'attualità, il critico implacabile di Ricardo, Smith e Say. Il suo omaggio si arresta dinnanzi all’utopia antropologica di marca ottocentesca, al materialismo dialettico che si autorappresenta, quale scienza esatta. Se a più riprese celebra in Marx l’instauratore di una nuova discorsività, la pietra angolare della scienze storiche, Foucault contesta al marxismo di non saper progettare una reale trasformazione degli apparati statali, trasformazione che richiederebbe di aver compreso come al di sotto dei dispositivi istituzionali ne agiscano altri infimi, quotidiani, che non vengono toccati dalle rivoluzioni e dagli avvicendamenti interni al Palazzo d’Inverno.
L’ammirazione di Foucault si applica piuttosto al materialismo storico, quale interpretazione della storia che considera determinante il modo di produzione, e mira al rinnovamento della vita materiale. Pretendendo alla scientificità, il marxismo si fa parte dei dispositivi di normalizzazione, diventa monopolio dell'Accademia, dei partiti, dello Stato. Tale l’impressione di Guglielmo Forni Rosa che tiene a sottolineare come l’atteggiamento di Foucault rispetto all’opera marxiana risenta dell’eterogeneità del panorama dei marxismi a lui contemporanei, restii al dialogo o antagonisti fra loro, (p.61: “Bisogna distinguere il comunismo francese e internazionale degli anni Cinquanta, gli incroci esistenzialisti di marxismo e fenomenologia husserliana, il materialismo storico e dialettico, con tutti i tentativi di costruire una filosofia della storia, un'evoluzione lineare per grandi momenti storici, estranea al pensiero di Marx”). Un antagonismo che si proietta all’esterno, perché l’egemonia delle correnti marxiste non imbavaglia le tante anime presenti nella Sinistra: socialisti, libertari, personalisti, in quegli anni, si fanno estensori di sperimentazioni autonome.
In quel solco, Manlio Iofrida schizza il ritratto di un Foucault giovane, combattuto fra la psichiatria fenomenologica di Binswanger influenzata da Heidegger, e il polo rappresentato dal marxismo ortodosso del PCF. Un’oscillazione che si palesa nelle due opere giovanili pubblicate nel 1954, Maladie mentale et psychologie, in cui si respira l'influenza del contrastato maestro Althusser, e Introduzione a Sogno ed esistenza dello stesso Binswanger, in cui si avverte il suo legame con la tradizione tedesca mediata dall'esperienza surrealista. Non è un caso che del surrealismo Foucault salvi proprio il poeta René Char, leggenda della Resistenza, cui tributava un'ammirazione incondizionata, anche per la sua contestatissima amicizia con Heidegger.
Offre un ottimo esempio della ricchezza di un’interpretazione posizionale e non dogmatica, Marco Enrico Giacomelli, deciso a mostrare le intersezioni fra la lezione foucaultiana e l'operaismo italiano. Il riferimento culturale è all’esperienza della con-ricerca di Danilo Montaldi, agli interventi di Raniero Panzieri, all’opera di Tronti e Alquati che porranno le basi per la ricezione di Foucault, anche elaborando alcune categorie analitiche originali atte ad interpretare, nel segno del dominio diffuso e individualizzato, le trasformazioni della società italiana, al culmine del suo processo di industrializzazione. Sulle pagine di “Quaderni Rossi” e “Classe operaia” riecheggiano molti temi contigui al pensiero micro-politico. Prova di tale sensibilità una significativa ricezione dell’opera foucaultiana, letta e discussa nei circoli e sulle pagine delle riviste o magari tradotta, come nel caso della versione italiana di Microfisica del potere, pubblicata già nel 1977.
.

sabato 25 settembre 2010

Alain Badiou, Piccolo pantheon portatile



Enzo Di Mauro

Badiou, tombe a orologeria




Da Derrida a Deleuze, da Foucault ad Althusser, da Lacan a Canguilhem e Cavaillès, queste quattordici orazioni funebri di Alain Badiou si propongono quasi come un'intifada del pensiero in nome e per conto degli ultimi materialisti.



Come in ogni altro libro di Alain Badiou, anche nel Piccolo pantheon portatile (Il Melangolo, a cura di Tommaso Ariemma, traduzione di Luisa Bosi, pp. 142, € 15, 00) – un titolo che parrebbe lezioso se non venisse inteso in maniera letterale e trasparente – si mantengono bene in vista i segni di una indomabile passione per il reale, qui semmai illuminati da una temperatura emotiva altissima. Virilmente introiettato il lutto, l'acuto sentimento di perdita che ne anima le pagine e ne determina l'andatura si trasforma d'un sol colpo in gesto militante, in lampo di pensiero, in netto e risentito starsene nel campo aspro e seminato a pietre, chiuso a ogni orizzonte di conciliazione, precluso a ogni patto con chiunque si erga a campione della presunta «innocenza » (in verità un'impostura criminale) delle democrazie parlamentari e dei regimi liberali. Poiché, quella del filosofo nato a Rabat settantatré anni fa, è qui un'intifada in nome e per conto dei maestri, degli interlocutori, dei contraddittori e dei compagni di strada che se ne sono andati via per sempre, lasciando vuoto il paesaggio combattente dopo quell'estremo lembo di secolo – diciamo, all'incirca, l'arco di tempo che andò dal 1960 al 1980 – in cui s'accesero gli ultimi fuochi del materialismo e, in senso lato, del pensiero critico e radicale più irriducibile.

Resta quello, per Badiou, un lascito lanciato nel futuro, sebbene un trentennio di restaurazione lo abbia come posto in sonno, in attesa di attivo riutilizzo. Ebbene: se soltanto il sommo Bossuet non avesse messo il suo stile al servizio del potere e dei potenti, lo zelo politico all'autore gli avrebbe consentito senza rimorsi di intitolare il suo libro, assai semplicemente, Orazioni funebri. Ma resta quello il modello, quella l'intenzione per i quattordici epicedi dedicati ad altrettante figure centrali della filosofia francese. È un libro a suo modo straordinario, di quelli che solo a un sopravvissuto è dato di scrivere o di ordinare.

Si tratta di articoli a volte molto brevi, in altri casi di testi (conferenze o saggi) più esaustivi e distesi – in entrambi i casi composti quasi sempre a caldo, sotto l'effetto della commozione, dell'improvvisa mancanza. Non si tratta tanto di frequentare la morte da vicino («se la filosofia ha un qualche compito, è quello di allontanare il calice delle passioni tristi, di insegnarci che la pietà non è un sentimento onesto, né il lamento è la ragione di aver ragione, né il vittimismo è ciò a partire da cui articolare il nostro pensiero”), quanto piuttosto di rendere onore a ciò che resta dei processi di verità così raggrumati nel percorso pensante di quelle vite. Di ognuna di esse Badiou coglie il punto nevralgico, gli inciampi, le fratture, l'ambito del discorso più prossimo e prezioso al tempo a venire.Ma pure a muoverlo agisce un sentimento arioso e verticale, come egli annota nel concludere l'introduzione: «Fui legato ad alcuni da amicizia, con altri ebbi qualche discussione. Ma sono felice di dire qui, in barba agli intrugli che vogliono farci ingoiare oggi, che questi quattordici filosofi scomparsi li amo tutti, ebbene sì. Sì, li amo».

Quanto vi è di avventuroso in tale piegatura intima e sentimentale appare facile intuire. Letture, discussioni, apprensioni, battaglie – tutto confluisce nella formazione di un intellettuale come Badiou, così stretto al respiro del suo tempo e al tratto di Novecento che gli è toccato in sorte di attraversare e che, al finire di esso, egli ha avvertito l'urgenza e la necessità di indagarne il significato in una serie di seminari svolti al Collège international de philosophie negli anni tra il 1998 e il 2001(Il secolo è stato poi pubblicato da Feltrinelli nel 2006). Già lì, nello spazio aperto del suo Novecento, oltre agli omaggi, commoventi per il lettore, a Osip Mandel'štam, Jean Genet, Paul Celan, Pessoa, Brecht , Malevic, troviamo i maestri e i compagni di viaggio a lui più prossimi, molti dei quali in teoria dolente formano la costellazione resistente del suo piccolo pantheon.

Allora eccola la compagine dei senza paura: Jacques Lacan (1901-1981), Georges Canguilhem (1904-1995) e Jean Cavaillès (1903-1944), Jean Paul Sartre (1905-1980), Jean Hyppolite (1907-1968), Louis Althusser (1918-1990), Jean François Lyotard (1924-1998), Gilles Deleuze (1925-1995), Michel Foucault (1926-1984), Jacques Derrida (1930-2004), Jean Borreil (1938-1992), Philippe Lacoue-Labarthe (1940-2007), Gilles Châtelet (1945-1999) e Françoise Proust (1947-1998). È questa la linea di una ricerca materialistica, eretica quanto eterogenea, che ha investito o almeno sforato di sé la pratica dell'agire politico che più ha coinvolto e interessato Badiou, e in proposito basterà leggere, senza essere particolarmente né specialmente votati alla filosofia, l'opera sua per ritrovarne ovunque sparsi i nomi e le idee. Tra le cose notevoli, qui – dove, tra l'altro, quando è il caso, non si trascura il ritratto e persino l'aneddotica più curiosa – spicca ad esempio la rivendicazione tutta in positivo dell'ultimo Lacan, il più criticato dalla vulgata giornalistica, nella cui estrema pratica clinica invece, e proprio a partire dal cruciale assioma secondo il quale non bisogna cedere di un solo millimetro rispetto al proprio desiderio, si farà più stringente l'indagine intorno al rapporto col reale e alla dialettica del soggetto («per un marxista francese contemporaneo, Lacan ha la stessa funzione che aveva Hegel per un rivoluzionario tedesco del 1840»).

Ma poi per ognuno vi è un tratto che si prova a definirlo, a riassumerlo, a storicizzarlo, a glorificarlo in uno stemma imperituro. Sartre, a cui il diciottenne Badiou deve intanto l'iniziazione «a ogni delizia filosofica», è il compagno d'azione e di idee con i suoi trent'anni «di puntuale militanza nella rivolta, di equilibrata metamorfosi di posizioni, di colpi bene assestati» e il cui peso nella storia letteraria può paragonarsi a quello di Voltaire, di Rousseau e di Victor Hugo, «scrittori, questi, che non cedono». O la «singolarità esistenziale » di Hyppolite, «traghettatore » di Hegel in terra di Francia (mirabile, anche per i tedeschi, la sua traduzione della Fenomenologia della spirito), e poi «organizzatore, nel senso di colui che recluta, che sa porre le domande migliori e stringere alleanze anche con persone molto lontane da lui», lettore insonne, fumatore imbattibile fino all'autocombustione. E, ancora, Althusser, per il quale «le questioni del pensiero provengono dallo scontro, dalla linea del fronte, dai rapporti di forza. Il chiodo della rue d'Ulm mal si accordava sia con il tempo della meditazione sia con quello del ritiro. Lì non esisteva che il tempo dell'intervento, circoscritto, agitato, come precipitato verso una fine ineluttabile. L'altro tempo, infinito, era quello del dolore. Purtroppo».

Ma ciò che forse indica il senso vero e l'anima del pantheon di Badiou è la lettura sovrapposta o a incastro di Canguilhem e di Cavaillès, il cui perimetro viene circoscritto nella breve, intensissima monografia del primo dedicata al secondo e intitolata Vita e morte di Jean Cavaillès, pubblicata nel 1976. Quella vita e quella morte camminano tenendosi per mano. Il giovane filosofo e matematico che militò nella Resistenza e che venne torturato e assassinato dai nazisti ad Arras diventa l'emblema, limpido e insieme misterioso, di un punto di contatto, comunque invincibile, che possiamo chiamare etica dell'azione. Appunto: tombe risolute e temerarie quelle che ci consegna Badiou. Imbottite di esplosivo.

da Alias n. 38 del 25 settembre 2010


_______________________________________



Petit panthéon portatif

Ceux qui, aux alentours de 1965, avaient entre vingt et trente ans, ont alors rencontré un nombre exceptionnel de maîtres dans le champ de la philosophie. Les anciens comme Sartre, Lacan ou Canguilhem, étaient encore en pleine activité ; d'un peu plus jeunes, comme Althusser, déployaient leur œuvre, et toute une génération, les Deleuze, Foucault, Derrida, entrait dans l'arène.
Tous ces maîtres, aujourd'hui, sont morts. La scène philosophique, largement peuplée d'imposteurs, est autrement composée, ne tirant sa consistance que de ceux, jeunes et moins jeunes, qui, les formulant à neuf dans leur propre langue, savent être fidèles aux questions qui nous animèrent il y a quarante ans. Je crois juste de rassembler les analyses et hommages qu'au long des années, quand ils disparaissaient, j'ai consacrés à ceux à qui je dois la signification, toujours inhumaine autant que noble et combattante, du mot «philosophie». Je n'ai pas toujours eu avec ces contemporains capitaux des rapports simples et sereins : la philosophie, comme le dit Kant, est un champ de bataille. Mais, considérant aujourd'hui les innombrables «philosophes» médiatiques, je puis dire que j'aime tous ceux dont je parle dans ce livre. Oui, je les aime tous.