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mercoledì 5 ottobre 2011

Il Tribunale Foucault Sullo Stato Della Psichiatria (1998)




Tra il primo ed il due di maggio 1998, la Libera università di Berlino, insieme all'Associazione Irren-Offensive (l'Offensiva dei Folli), organizza a Berlino, presso il teatro Volksbuhne, un Tribunale Internazionale sullo stato della psichiatria. Il Tribunale e' intitolato a Michel Foucault, il filosofo francese autore della Storia della follia nell'età classica. La difesa e l'accusa sono costituite da accademici ed esperti, la giuria da un "gruppo di svitati".

Con un Epilogo di Thomas Szasz.


Producer: Irren Offensive / Libera Universita' di Berlino
Sponsor: http://www.oism.info
Audio/Visual: sound, color
Language: IT (Italian)

lunedì 20 giugno 2011

Gianni : "E' una questione di gusto ..."

E libereremo la nostra Bologna. In città faremo una festa che non finirà mai…

ricordando l'autore della frase scelta come esergo del
Festival sociale delle culture antifasciste 2011,
ri
produciamo la memoria  dedicata a questo giovane partigiano,
dal
Museo Virtuale della Certosa
[curata da Nazario Sauro Onofri]




Giovanni B. Palmieri, "Gianni"

Giovanni Battista Palmieri, nome di battaglia "Gianni", da Giovanni Giuseppe e Nerina Pietra; nato il 16 dicembre 1921 a Bologna; ivi residente nel 1943. Studente in Medicina all'università di Bologna. Richiamato alle armi nel 1941, frequentò la scuola allievi ufficiali degli alpini di Aosta, dove la vita era talmente monotona che, in una lettera alia madre, arrivò a scrivere "Io invidio di cuore quelli fra noi che hanno il diritto di andare al fronte: almeno loro faranno dei sacrifici forse molto piu grandi di questi, ma avranno anche delle soddisfazioni". Fu congedato prima di ricevere i gradi per cui potè riprendere gli studi e dimostrare le sue grandi doti intellettuali. Tutti i suoi insegnanti gli preconizzarono una brillante carriera professionale. Quando venne nuovamente chiamato alle armi dalla RSI, nella primavera 1944, non si presentò e venne dichiarato disertore. Per le insistenti preghiere della famiglia non potè aggregarsi subito, com'era suo desiderio, a una formazione partigiana. "Gianni - ha scritto il padre - non si sarebbe mai lasciato prendere dai nazisti e neppure dai repubblichini: piuttosto si sarebbe dato alla macchia". Nel periodo in cui fu sfollato a Monte San Pietro non collaborò, ma ebbe contatti con la brigata Stella rossa Lupo, e forse si sarebbe aggregato a quella formazione, se nel frattempo gli eventi bellici non avessero mutato la situazione per cui si nascose, provvisoriamente, a Bologna nell'abitazione di un amico di famiglia e quindi nei sotterranei dell'Istituto del radio all'ospedale Sant'Orsola, del quale suo padre era direttore. Per questo motivo potè seguire da vicino la vicenda che portò alla razzia, da parte dei tedeschi, di metà della dotazione di radio dell'istituto. Dopo la consegna del radio a Mario Bastia il 27 luglio 1944, decise di non seguire il padre a Firenze, ma di restare. Resistendo alle implorazioni del padre, scelse di non partire. Il 24 luglio fu ospitato nell'abitazione di Gino Onofri, alla quale facevano capo le staffette che tenevano il collegamento tra la città e le brigate Giustizia e Libertà che operavano sull'Appennino tosco-emiliano. Per l'arresto di una staffetta non potè raggiungere nè la Iª brigata Giustizia e Libertà Montagna, che operava nell'Alta Valle del Reno, nè la 2ª brigata Jacchia Giustizia e Libertà, operante nella valle del Sillaro e comandata da Gilberto Remondini, suo compagno di studi. II 29 luglio lasciò Bologna con Romeo Giordano diretto a Imola per aggregarsi alla 36ª brigata Bianconcini Garibaldi nell'Alta Valle del Santerno. Entrò a far parte del servizio sanitario della brigata diretto da Giordano, pur partecipando attivamente a tutti i combattimenti che la formazione sostenne nell'estate-autunno. In uno di questi, verso la metà di settembre, restò ferito a un piede e dovette fare ricorso alle cure di un agricoltore che molti anni prima aveva seguito, ma non concluso gli studi in medicina. II 15 settembre la brigata venne divisa in 4 battaglioni, in vista di quella che si riteneva l'imminente insurrezione partigiana. Alcuni reparti avrebbero dovuto dirigersi verso Imola, altri verso Bologna e altri ancora a sud per andare incontro alle truppe alleate. Fu aggregato al battaglione di Guerrino De Giovanni, con destinazione Bologna. Il 26 settembre, durante una sosta in una casa colonica a Cà di Guzzo in localita Belvedere (Castel del Rio) il battaglione, passato il giorno prima sotto il comando di Umberto Gaudenzi, venne circondato da paracadutisti e SS tedeschi. Dopo aver resistito per tutta la notte, infliggendo gravi perdite al nemico, la mattina del 28 i superstiti riuscirono, sia pure a costo di dure perdite, ad aprirsi un varco e a mettersi in salvo. Quando venne invitato a lasciare la posizione e a tentare la sortita, rispose: "Il mio combattimento è qui, fra i miei feriti e io non li abbandono fintanto che ne vedo uno respirare". Quando i tedeschi riuscirono a penetrare nella casa colonica, quasi completamente smantellata dai mortai, gli fecero curare i loro feriti. Poi lo invitarono a raggiungere il comando della brigata per proporre uno scambio: avrebbero risparmiato i civili trovati nella casa, se una ventina di partigiani si fossero consegnati. Si recò in una casa colonica, distante un paio d'ore a piedi, dove sino al giorno prima aveva avuto sede il comando della brigata, ma la trovò vuota. Quando tornò a Cà di Guzzo, vide i corpi inanimati dei partigiani feriti e dei civili. Erano stati uccisi con un colpo alla nuca da un maresciallo delle SS. Solo le donne erano state risparmiate. II giorno stesso, anche perchè le artiglierie alleate avevano cominciato a battere la posizione, i tedeschi abbandonarono Cà di Guzzo. Lo portarono con loro, forse per continuare a fargli curare i feriti. Alcuni giorni dopo, quando gli alleati liberarono la zona, il suo cadavere venne trovato in un bosco, in località Le Piane a pochi chilometri di distanza. Si ritiene che sia stato torturato e ucciso il 30 settembre 1944. Pochi giorni prima, quando la brigata era stata divisa, quasi presagisse la sorte che lo attendeva, aveva sentito l'esigenza di salutare Luciano Bergonzini - con il quale aveva stretto una fraterna amicizia - consegnandogli questa lettera che resta il suo testamento spirituale. "Caro Luciano, mi e parsa giusta la decisione del comandante Bob di dividere la Brigata in quattro battaglioni d'assalto e di passare all'offensiva su Bologna e Imola. Penso, però, e la cosa mi addolora, che non tutti ci ritroveremo dopo la battaglia. E' inutile illudersi: sarà dura, molto dura e i fatti ci metteranno ancora una volta alla prova. Al di là di queste montagne, si dice, c'è la libertà Io personalmente ne dubito. Sarebbe meglio dire che vi sarà la libertà se noi sapremo esserne i portatori e se riusciremo a trasferire nelle città e in tutto il paese i principii di lealtà e di amicizia che qui abbiamo saputo istituire e difendere. E poi, te lo dico con tutta franchezza, io ho paura che questa nostra libertà si disperda nei compromessi e nelle lotte politiche non sempre pulite: le notizie che a tal proposito si hanno dal sud mi intristiscono; mi sembra che si rimettano i destini della libertà nelle mani di coloro che al fascismo non hanno opposto che una ben miserevole resistenza! So che tu sei fiducioso ed ottimista. Discutevo di queste cose con Bergami* e anche lui, da bravo comunista, vedeva tutto un avvenire di civiltà e di pulizia: avremmo dovuto riparlarne ancora; ma poi, come tu sai, il mortaio gli ha squarciato la testa proprio alla fine della battaglia della Bastia. Non lo dimenticherò mai. Ma ora ci sono i problemi dell'immediato domani e converrà pensare a quelli. Ritorneremo all'attacco, questo è l'importante. E libereremo la nostra Bologna. In citta faremo una festa che non finirà mai e cacceremo via di torno gli attesisti e i vili. Quelli che non hanno preso posizione sono i veri e permanenti nemici della libertà: basterà un niente per farli ridiventare fascisti. So che molti miei amici di ieri saranno fra questi e la cosa mi avvilisce. II tempo stringe. Anch'io avrò la mia arma: una fiammante rivoltella tedesca che Giorgio, il nostro mitragliere, ha recuperato dopo uno scontro nella strada. Mi aveva offerto anche un paio di scarpe tedesche quasi nuove, ma io le ho rifiutate. E' una questione di gusto: non voglio pestare questa terra con le scarpe tedesche! Preferisco continuare con i miei vecchi, e una volta elegantissimi scarponi di Aosta, anche se ormai fanno acqua di sopra e di sotto. Ci rivedremo? Lo spero tanto. E ora, caro Luciano, ti abbraccio. I primi si sono gia avviati e cantano ancora quell'inno anarchico che a me piace tanto e che so che ti irrita. Addio. Gianni". Riconosciuto partigiano dal 20 aprile 1944 al 30 settembre 1944. Il suo nome e stato dato a una strada di Bologna e a un plotone di ex partigiani delle brigate 36ª e 62ª che, dopo il passaggio del fronte, si erano arruolati nel gruppo Legnano. In località Croda da Lago di Cortina d'Ampezzo gli è stato intestato un rifugio alpino del CAI. L'università di Bologna gli ha conferito la laurea honoris causa in medicina. Gli è stata concessa la medaglia d'oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: "Studente universitario del 6° anno di medicina, volontariamente si arruolo nella 36ª Brigata Garibaldina, assumendo la direzione del servizio sanitario. Durante tre giorni di aspri combattimenti contro soverchianti forze tedesche, si prodigò incessantemente ed amorevolmente per curare i feriti, e quando il proprio reparto riuscì a sganciarsi dall'accerchiamento nemico, non volle abbandonare il suo posto e, quale apostolo di conforto, conscio della fine che l'attendeva, restò presso i feriti affidati alle sue cure. Ma il nemico sopraggiunto non rispettò la sublime altezza della sua missione e barbaramente lo trucidò. Esempio fulgido di spirito del dovere e di eroica generosità." Cà di Guzzo (Romagna), 30 settembre 1944.

lunedì 28 febbraio 2011

Reading Michel Foucault in the Postcolonial Present - Bologna, 3-4 marzo 2011


A Symposium
Bologna, Italy, March 3-4, 2011

Hosted by the University of Bologna  - Funded by the Finnish Academy


.
Facoltà di Scienze Politiche


Sala Poeti - Palazzo Hercolani

Strada Maggiore 45

Bologna





Neoliberalism is superficially understood as a theory of political economic practices proposing that human well-being can best be advanced by the development of entrepreneurial freedoms within an institutional framework characterized by private property rights, individual liberty, unencumbered markets, and free trade.


Less understood, however, is how its claims to be able to develop wealth and freedom became correlated with claims to develop the prosperity and security of life itself. Life, in the form of species existence, rather than human nature, has progressively emerged as a singularly important a priori for liberal political economy


Neoliberalism breaks from earlier liberalisms and traditions of political economy in so far as it pursues the development of economic profitability and prosperity not just with practices for the development of the human species, but with the life of the biosphere.


These correlations of economy, development, freedom, and life in and among neoliberal regimes of practice and representation comprise some of the foundations of its biopolitics.

As this symposium will explore, we cannot understand how liberalism functions, most especially how it has gained the global hegemony that it has, without addressing how systematically the category of life has organized the correlation of its various practices of governance, as well as how important the shift in the very understanding of life, from the human to the biospheric, has been for changes in those practices.

Today it is not simply living species and habitats that are threatened with extinction, and for which we must mobilize our care, but the words and gestures of human solidarity on which resistance to biopolitical regimes of governance depends.

A sense of responsibility for the survival of the life of the biosphere is not a sufficient condition for the development of a political subject capable of speaking back to neoliberalism. What is required is a subject responsible for securing incorporeal species, chiefly that of the political, currently threatened with extinction, on account of the overwrought fascination with life that has colonized the developmental as well as every other biopoliticized imaginary of the modern age.

While Foucault’s thought has been inspirational in diagnosing this condition of the postcolonial age, his works have too often failed to inspire studies of political subjectivity. Instead they have been used to stoke the myth of the inevitability of the decline of collective political subjects, describing an increasingly limited horizon of political possibilities, and provoking a disenchantment of the political itself. In contrast this symposium will excavate the importance of Foucault’s work for our capacities to recognise how this debasement of political subjectivity came about, particularly within the framework of the discourses and politics of "development", and with particular attention to the predicaments of postcolonial peoples.

Why and how it is that life in postcolonial settings has been depoliticized to such dramatic effect? And, crucially, how can we use Foucault to recover the vital capacity to think and act politically in a time when the most basic expressions of thought and human action are being targeted for new techniques of control and governance?

The immediacy of these themes will be obvious to any one living in the South of the world. But within the academy they remain heavily under-addressed. In thinking about what it means to read Michel Foucault today this symposium will address some significant questions and problems. Not simply that of how to explain the ways in which postcolonial regimes of governance have achieved the debasements of political subjectivity they have.

And certainly not that of how we might better equip them with the means to suborn life more fully. But that of how life itself, in its subjection to governance, can and does resist, subvert, escape and defy the imposition of modes of governance which seek to remove it of those very capacities for resistance, subversion, flight, and defiance.

This symposium will be the second in a series, the first having been held in Calcutta in September 2010, "The Biopolitics of Development: Life, Welfare and Unruly Populations". As was established there, the formulation of and response to these questions and problems remains open.

The political reception of Foucault’s thought is not monolithic and the debates provoked among the participants at the Calcutta event are far from settled. Hence the demand for a second symposium, this time in Bologna.

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martedì 8 febbraio 2011

Testamento biologico. Saldi di fine stagione - BO, 9 Febbraio 2011




Rete Laica Bologna
vi invita a
TESTAMENTO BIOLOGICO
SALDI DI FINE STAGIONE

La maggioranza di centrodestra s’appresta ad approvare in Parlamento una legge liberticida e incostituzionale contro il testamento biologico. Temiamo, purtroppo, col sostegno di parti consistenti delle opposizioni. Parlamentari nominati dalle segreterie di partito e che nessun cittadino ha avuto la possibilità di scegliere saranno lo strumento con cui si vieterà ai singoli di decidere come morire, ognuno secondo la propria insindacabile idea di dignità. Sulla pelle degli uomini e delle donne avverrà l’indegno scambio tra Trono e Altare, tra Governo e Vaticano. Scambio che fa arrossire di vergogna e che grida vendetta. Per discuterne assieme, per individuare strategie di resistenza e di cambiamento, vi invitiamo a partecipare a questo importante incontro.

Mercoledì 09 Febbraio 2011  Ore 18.00
Chiesa Evangelica Metodista
Via Venezian 3, Bologna
 
[vedi mappa]


intervengono
Carlo Flamigni
Comitato Nazionale per la Bioetica
Corrado Melega
Ginecologo, già presidente Commissione Regionale Nascite
On. Marco Cappato
segretario Associazione radicale Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica
Katia Zanotti
Rete Laica Bologna
Michel Charbonnier
pastore valdese
modera
Paolo Soglia
direttore Città del Capo – Radio Metropolitana

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sabato 15 gennaio 2011

O cara moglie

Ivan Della Mea

O cara Moglie

[1966]

 
O cara moglie, stasera ti prego,
dì a mio figlio che vada a dormire,
perché le cose che io ho da dire
non sono cose che deve sentir.

Proprio stamane là  sul lavoro,
con il sorriso del caposezione,
mi è arrivata la liquidazion,
m'han licenziato senza pietà.

E la ragione è perché ho scioperato
per la difesa dei nostri diritti,
per la difesa del mio sindacato,
del mio lavoro, della libertà .

Quando la lotta è di tutti per tutti
il tuo padrone, vedrai, cederà ;
se invece vince è perché i crumiri
gli dan la forza che lui non ha.

Questo si è visto davanti ai cancelli:  
noi si chiamava i compagni alla lotta,
ecco: il padrone fa un cenno, una mossa,
e un dopo l'altro cominciano a entrar.

O cara moglie, dovevi vederli
venir avanti curvati e piegati;
e noi gridare: crumiri, venduti!
e loro dritti senza piegar.

Quei poveretti facevano pena
ma dietro loro, là sul portone,
rideva allegro il porco padrone:
l'ho maledetto senza pietà .

O cara moglie, prima ho sbagliato,
dì a mio figlio che venga a sentire,
ché ha da capire che cosa vuol dire
lottare per la libertà  
ché ha da capire che cosa vuol dire
lottare per la libertà.
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info: il Deposito

mercoledì 19 maggio 2010

G. W. F. Hegel: la sproporzionata ricchezza di alcuni cittadini



Quanto la sproporzionata ricchezza di alcuni cittadini sia pericolosa anche per la più libera forma di costituzione, e sia in grado di distruggere la libertà stessa, lo mostra la storia negli esempi di un Pericle ad Atene, dei patrizi a Roma, la cui rovina il minaccioso influsso dei Gracchi e di altri cercò invano di impedire con proposte di leggi agrarie, e dei Medici a Firenze; e sarebbe importante ricercare quanta parte del rigoroso diritto di proprietà si debba sacrificare alla durevole forma di una repubblica. Al sistema del sanculottismo* in Francia si è forse fatto torto quando si è voluto cercare soltanto nella rapacità la fonte della maggiore uguaglianza della proprietà cui esso mirava.


[*] Allusione ai radicali di sinistra nella Rivoluzione francese, detti "sanculotti" (senza culotte) perché invece della culotte, i calzoni al ginocchio che portavano gli aristocratici, portavano calzoni lunghi

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da G. W. F. Hegel, Frammenti di studi storici, (1797-1802)
cit. in G. W F. Hegel, Detti memorabili di un filosofo,
a cura di Nicolao Merker, Editori Riuniti, Roma 1986
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mercoledì 8 luglio 2009

La libertà finisce quando inizia la paura - Reggio Emilia 11 luglio


... Arrendetevi illusi: legge contro i poveri non contro la mafia, norme contro chi sopravvive non contro chi specula, agevolazioni per le boutique e ordinanze contro chi vuole vivere il centro storico come bene comune gratuito...



[leggi il testo completo in: Io non ho paura - R.E.]

giovedì 2 luglio 2009

Appello contro il ritorno delle leggi razziali in Europa



Alla cultura democratica europea
e ai giornali che la esprimono

Le cose accadute in Italia hanno sempre avuto, nel bene e nel male, una straordinaria influenza sulla intera società europea, dal Rinascimento italiano al fascismo.
Non sempre sono state però conosciute in tempo.
In questo momento c’è una grande attenzione sui giornali europei per alcuni aspetti della crisi che sta investendo il nostro paese, riteniamo, però, un dovere di quanti viviamo in Italia richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica europea su altri aspetti rimasti oscuri. Si tratta di alcuni passaggi della politica e della legislazione italiana che, se non si riuscirà ad impedire, rischiano di sfigurare il volto dell’Europa e di far arretrare la causa dei diritti umani nel mondo intero.
Il governo Berlusconi, agitando il pretesto della sicurezza, ha imposto al Parlamento, di cui ha il pieno controllo, l’adozione di norme discriminatorie nei confronti degli immigrati, quali in Europa non si vedevano dai tempi delle leggi razziali.
È stato sostituito il soggetto passivo della discriminazione, non più gli ebrei bensì la popolazione degli immigrati irregolari, che conta centinaia di migliaia di persone; ma non sono stati cambiati gli istituti previsti dalle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti.
Con tale divieto si impedisce, in ragione della nazionalità, l’esercizio di un diritto fondamentale quale è quello di contrarre matrimonio senza vincoli di etnia o di religione; diritto fondamentale che in tal modo viene sottratto non solo agli stranieri ma agli stessi italiani.
Con una norma ancora più lesiva della dignità e della stessa qualità umana, è stato inoltre introdotto il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarità amministrativa, di riconoscere i figli da loro stesse generati. Pertanto in forza di una tale decisione politica di una maggioranza transeunte, i figli generati dalle madri straniere irregolari diverranno per tutta la vita figli di nessuno, saranno sottratti alle madri e messi nelle mani dello Stato. Neanche il fascismo si era spinto fino a questo punto. Infatti le leggi razziali introdotte da quel regime nel 1938 non privavano le madri ebree dei loro figli, né le costringevano all’aborto per evitare la confisca dei loro bambini da parte dello Stato.
Non ci rivolgeremmo all’opinione pubblica europea se la gravità di queste misure non fosse tale da superare ogni confine nazionale e non richiedesse una reazione responsabile di tutte le persone che credono a una comune umanità. L’Europa non può ammettere che uno dei suoi Paesi fondatori regredisca a livelli primitivi di convivenza, contraddicendo le leggi internazionali e i principi garantisti e di civiltà giuridica su cui si basa la stessa costruzione politica europea.
È interesse e onore di tutti noi europei che ciò non accada.
La cultura democratica europea deve prendere coscienza della patologia che viene dall’Italia e mobilitarsi per impedire che possa dilagare in Europa.
A ciascuno la scelta delle forme opportune per manifestare e far valere la propria opposizione

Against the Reintroduction of Race Laws in Europe

To European democratic public opinion and the press that keeps it informed

Events in Italy have always – for better or worse – had an extraordinary influence on the whole of European society, from the Italian Renaissance to Fascism.
But, all too often, Europe has not become aware of these events in time.
There is currently a great deal of attention in major European newspapers on some aspects of the crisis that has engulfed our country. But we believe that it is our duty – the duty of all those living in Italy – to inform European public opinion on other alarming aspects that have not elicited such interest, such as the draft legislation proposed by the Italian Government, called the “Security Decree”. If it is not prevented, this legislation runs the risk of disfiguring the image of Europe and dealing a severe setback to human rights worldwide.
The Berlusconi Government, using security as a pretext, has imposed on our Parliament – over which it has total control – the adoption of laws discriminating against immigrants, laws the likes of which we had not seen in this country since the passing of the Fascist Race Laws.
The victim of the discrimination has changed: it is no longer the Jews but the undocumented migrant population, hundreds of thousands of people. But the discriminating measures have not changed: if passed, these new laws may, for example, forbid mixed marriages.
Such a prohibition would prevent a person from exercising a fundamental right, the right to marry without constraints of an ethnic or religious nature. The victims of discrimination would be denied this right simply on the basis of their nationality. Not to mention the fact that Italians would equally be denied their right to marry the person of their choice.
Another norm contained in the decree – even more abusive of human rights and dignity – is the prohibition for foreign women lacking permits (an administrative offence) to recognize their children at birth. Thus, the children born to “undocumented” foreign women, by virtue of a political decision by a temporary majority, shall be for their entire lives the children of unknown parents, they may be removed from their own mothers at birth and placed under the care of the State.
Not even Fascism had gone that far! The Race Laws introduced by the Regime in 1938 did not subtract children from their Jewish mothers, nor did they induce the mothers to abort rather than have their children confiscated by the State.
We would not be addressing European public opinion if the gravity of these measures were not such that it transcends national boundaries, calling for a reaction by all those who believe in our shared humanity. Europe cannot accept that one of its founding members regresses to primitive levels of social organization, contradicting international law and the very principles upon which the European political union is based.
It is in the interest of all of us that this not happen. It would dishonour us all.
European democratic public opinion must become aware of the disease ravaging Italy and act swiftly so that it does not spread further.
We are confident that each one of you will choose an effective way to demonstrate your opposition.

Roma, June, the 29th 2009


Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Dacia Maraini,
Dario Fo,
Franca Rame, Moni Ovadia,
Maurizio Scaparro, Gianni Amelio




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Per firme adesioni: Micromega/Repubblica

venerdì 27 febbraio 2009

Jacques Prévert: Les prodiges de la liberté

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I prodigi della libertà


Fra i denti di una trappola
La zampa di una volpe bianca
E sangue sopra la neve
Sangue della volpe bianca
Che fugge su tre zampe
Nel sole che tramonta
Con stretta tra i suoi denti
La lepre ancora viva.

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Les prodiges de la liberté


Entre les dents d'un piège
La patte du renard blanc
Et des traces sur la neige
Les traces du renard blanc
Qui s'enfuit sur trois pattes
Dans le soleil couchant
Avec entre les dents
Un lièvre encore vivant.


[trad. it. di Ivos Margoni]

mercoledì 1 ottobre 2008

Didala Ghilarducci: Lettera aperta a Spike Lee

9 novembre 2007 (a: Anpi Barona, Milano)

Cari amici di Milano permettetemi di farvi conoscere quello che ho scritto al regista americano circa le scene girate da lui a sant'Anna di Stazzema per un film sulla Buffalo. Come forse saprete anche dalla stampa c'è il dubbio che per "esigenze di copione" il regista abbia creato nella sceneggiatura qualche aggiustamento alla ricostruzione storica della strage ormai appurata anche dal tribunale militare, riprendendo suggestioni che in qualche modo attribuivano alla presenza di partigiani in paese la spinta a compiere il criminale gesto del massacro di tanti innocenti.Un saluto da amica.

Didala Ghilarducci, segretaria Anpi di Viareggio.




Lettera aperta
al regista Spike Lee

Gentile regista, mi chiamo Didala Ghilarducci. Sono una vecchia partigiana. Mio marito, Chittò, fu ucciso dai nazisti sui monti versiliesi alcune settimane dopo la strage di Sant'Anna di Stazzema, in quel terribile agosto del '44. Mi sono risolta a scriverle perché quello che leggo sui giornali a proposito del film che lei sta girando mi fa sentire il cuore pesante come un macigno. Pare infatti che nel film si avvalori la falsa tesi che la strage venga compiuta a causa della ricerca di partigiani presenti in paese. E' una falsa tesi che i detrattori della Resistenza hanno sempre sostenuto per dare ai partigiani la colpa di quella strage.Tutte queste voci che si rincorrono sul contenuto delle scene girate a Sant'Anna, se possono poco turbare lei, danno agli uomini ed alle donne della Resistenza italiana una dolorosa inquietudine.So che lei è un grande regista, so che nei sui film è riuscito sempre a raccontare drammi, dolori ed oppressioni che ci hanno emozionato ed hanno fatto crescere la coscienza civile anche qui in Europa. Di questo soprattutto le sono grata. Ho lottato una vita per la democrazia, i diritti civili e la libertà che non posso non trovarmi accanto a chi combatte e denuncia ingiustizie e sopraffazioni.Proprio per questo vorrei essere altrettanto brava da poterle non solo spiegare, ma farle sentire in qualche modo, perché ogni finzione, ogni aggiustamento di quanto avvenuto a Sant'Anna di Stazzema mi pare, ci pare, inaccettabile. Quando le persone, una comunità, hanno vissuto un lutto così profondo e traumatico, comprenderà che conservino sul tema una sensibilità esasperata dal dolore che brucia ancora la carne a distanza di sessant'anni. Nel raccontare la sua storia, una storia importante non solo per il suo Paese, lei ha scelto di fermarsi su quella piccola piazza davanti alla chiesa, a Sant'Anna. Una piazza che io, come altri, ho visto nel suo orrore reale ed inenarrabile nel '44. Il vento può aver portato tra i boschi e verso il mare la cenere di quel rogo, ma l'angoscia, il pianto e il sangue restano aggrumati là e resteranno là nel tempo e nelle nostre coscienze di uomini e donne. Se lei, gentile regista, si soffermerà in questo pensiero allora capirà come non sia possibile in quella piazza raccontare un'altra morte. Non lo possiamo fare per le vittime, non lo possiamo fare per quei ragazzi e quelle ragazze della Resistenza rimasti sui monti insieme a loro a ricordarci per sempre l'orrore della guerra e il prezzo altissimo della libertà. Se togliamo loro la storia, allora li priviamo del senso della loro morte. E questo non è possibile in quella piazza. In un'altra ricostruita altrove, ma non lì. Non riesco ad immaginare che per raccontare una storia di diritti e di persone si finisca per sottrarre la propria storia ad altre vittime.Ecco, gentile regista, le ho aperto il cuore nella speranza che in qualche modo da lei possa giungere una risposta che ci faccia comprendere che il senso del faticoso cammino di impegno civile, di riconciliazione che come comunità e persone abbiamo ricercato e percorso in questi sessant'anni, non sarà disperso.
Didala Ghilarducci


[dal sito ANPI Barona]