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martedì 8 febbraio 2011

Testamento biologico. Saldi di fine stagione - BO, 9 Febbraio 2011




Rete Laica Bologna
vi invita a
TESTAMENTO BIOLOGICO
SALDI DI FINE STAGIONE

La maggioranza di centrodestra s’appresta ad approvare in Parlamento una legge liberticida e incostituzionale contro il testamento biologico. Temiamo, purtroppo, col sostegno di parti consistenti delle opposizioni. Parlamentari nominati dalle segreterie di partito e che nessun cittadino ha avuto la possibilità di scegliere saranno lo strumento con cui si vieterà ai singoli di decidere come morire, ognuno secondo la propria insindacabile idea di dignità. Sulla pelle degli uomini e delle donne avverrà l’indegno scambio tra Trono e Altare, tra Governo e Vaticano. Scambio che fa arrossire di vergogna e che grida vendetta. Per discuterne assieme, per individuare strategie di resistenza e di cambiamento, vi invitiamo a partecipare a questo importante incontro.

Mercoledì 09 Febbraio 2011  Ore 18.00
Chiesa Evangelica Metodista
Via Venezian 3, Bologna
 
[vedi mappa]


intervengono
Carlo Flamigni
Comitato Nazionale per la Bioetica
Corrado Melega
Ginecologo, già presidente Commissione Regionale Nascite
On. Marco Cappato
segretario Associazione radicale Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica
Katia Zanotti
Rete Laica Bologna
Michel Charbonnier
pastore valdese
modera
Paolo Soglia
direttore Città del Capo – Radio Metropolitana

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venerdì 4 febbraio 2011

«Compagno»

Dobbiamo confessare che  non siamo stati sorpresi dalla  notizia che il Paese ormai noto al grande pubblico per il  ruolo svolto dal popolare letto di Putin (repentinamente giunto al top delle cronache italiane e internazionali), "ha cancellato dal suo vocabolario il termine tovarish [compagno], la parola più pronunciata [in Russia] per quasi 80 anni ...".

Perché,  per noi (è un'altra storia), il termine compagno/a, non va perdendo  senso, ma - al contrario - riesce a ritrovarlo, a rinnovarlo:


 Mario Rigoni Stern
Perché dovete chiamarmi compagno
lettera all'Anpi, gennaio 2007


Cari Compagni,
sì, Compagni, perché è un nome bello e antico che non dobbiamo lasciare in disuso; deriva dal latino “
cum panis” che accomuna coloro che mangiano lo stesso pane.
Coloro che lo fanno condividono anche l’esistenza con tutto quello che comporta: gioia, lavoro, lotta e anche sofferenze.

È molto più bello Compagni che “Camerata” come si nominano coloro che frequentano lo stesso luogo per dormire, e anche di “Commilitone” che sono i compagni d’arme.

Ecco, noi della Resistenza siamo Compagni perché abbiamo sì diviso il pane quando si aveva fame ma anche, insieme, vissuto il pane della libertà che è il più difficile da conquistare e mantenere.

Oggi che, come diceva Primo Levi, abbiamo una casa calda e il ventre sazio, ci sembra di aver risolto il problema dell’esistere
e ci sediamo a sonnecchiare davanti alla televisione.


All’erta Compagni!

Non è il tempo di riprendere in mano un’arma ma di non disarmare il cervello sì, e l’arma della ragione è più difficile da usare che non la violenza.

Meditiamo su quello che è stato e non lasciamoci lusingare da una civiltà che propone per tutti autoveicoli sempre più belli e ragazze sempre più svestite.

Altri sono i problemi della nostra società: la pace, certo, ma anche un lavoro per tutti, la libertà di accedere allo studio, una vecchiaia serena; non solo egoisticamente per noi, ma anche per tutti i cittadini. Così nei diritti fondamentali della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.

Vi giunga il mio saluto, Compagni dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
e Resistenza sempre.

Vostro
Mario Rigoni Stern
 
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da:  Patria indipendente (Anpi), 27 luglio 2008

giovedì 13 gennaio 2011

A : Africana [troppo]

E n c i c l o p e d i a
d e l l a
n e o l i n g u a
.
A
Africana [troppo]


Il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, lancia l’allarme: Milano è troppo “africana”, in tre giorni ci sono tre cortei di africani, come fossimo il Maghreb.

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fonte: blitz quotidiano

mercoledì 12 gennaio 2011

Appello: a sostegno delle lotte dei giovani nel Maghreb e contro il liberismo...


A sostegno delle lotte dei giovani nel Maghreb

e contro il liberismo che nega il futuro



un appello
da Alberto Burgio e Salvatore Palidda



Le rivolte esplose in quasi tutte le città della Tunisia e dell’Algeria
e prima anche del Marocco nascono dalle stesse motivazioni che hanno provocato le lotte dei giovani a Londra come in Italia, in Francia e altrove.

Le conseguenze delle scelte liberiste sono dappertutto le stesse: accentuazione dell’asimmetria di potere e della distanza fra ricchezza e povertà, corruzione e protervia di poteri reazionari se non di tipo apertamente mafioso, erosione dei diritti fondamentali, negazione del futuro della società e quindi in primo luogo dei giovani. Puntando all’arricchimento immediato di pochi – da Cameron a Sarkozy, da Berlusconi a Ben Ali, da Bouteflika alla cerchia di potere del re del Marocco – il liberismo favorisce soltanto gli affari privati dei più forti e distrugge i servizi pubblici e quindi ogni prospettiva vivibile. I regimi tunisino e algerino stanno minacciando il bagno di sangue approfittando dell’appoggio dei governi francese e italiano e di altri europei. In Algeria e in Tunisia la polizia e l’esercito sparano persino sulle persone andate ai funerali degli assassinati. La gravità della situazione è rivelata dalla stessa Ue costretta a chiedere il cessate il fuoco dopo le decine di morti e le varie centinaia di feriti. Il rischio di un bagno di sangue è alto.

Per parte nostra ci impegniamo a sostenere queste lotte come quelle per la difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori con ogni sorta di iniziative nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università e nei quartieri, e organizzando anche un effettivo sostegno ai militanti maghrebini che rischiano la feroce persecuzione anche con metodi mafiosi. Che in tutte le università e le fabbriche europee ci si mobiliti a fianco delle rivolte nel Maghreb


Aderisci all'appello inviando una e-mail a:
rivoltenelmaghreb@gmail.com





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venerdì 1 ottobre 2010

Alberto Burgio: La radice profonda del razzismo in Europa


Alberto Burgio
La radice profonda del razzismo in Europa
il manifesto, 1 ottobre 2010
È una buona cosa che, sullo sfondo della persecuzione razzista dei rom in Francia, si sia aperta una riflessione teorica sul razzismo. È tutt'altro che scontato che se ne sappia abbastanza (su ciò che lo produce e lo alimenta e, prima ancora, su ciò che il razzismo è) per reagire all'altezza dei suoi devastanti effetti attuali e potenziali. Gli interventi di Étienne Balibar e Jacques Rancière sul manifesto hanno fatto luce su aspetti rilevanti. Il primo si è incentrato sul nesso tra cittadinanza ed esclusione, mettendo in risalto come esso operi anche nel quadro dell'Europa comunitaria; il secondo ha insistito sulla natura artificiale (non spontanea) di un razzismo frutto dell'iniziativa di «imprenditori politici».

Entrambi condividono una prospettiva politico-centrica e meriterebbero un approfondimento: in particolare Rancière sembra sbarazzarsi troppo precipitosamente della scaturigine sociale della paura (e del risentimento) che l'intervento politico alimenta e incanala contro gruppi umani rappresentati come pericolosi. Ma lo spazio è tiranno e, piuttosto che dedicarlo a un confronto interno, conviene utilizzarlo per ampliare lo spettro della discussione, prospettando un'ipotesi differente e complementare, incentrata sulle dinamiche sociali responsabili della produzione di stereotipi inferiorizzanti: un'ipotesi per dir così socio-centrica.

Quando parliamo di razzismo siamo soliti pensare ai margini della società o a popolazioni straniere. Il razzismo appare al senso comune una faccenda riguardante gli «altri», i «diversi» (o i «devianti»), insomma non-persone abitanti la periferia (fisica o morale) delle nostre metropoli. Naturalmente questo modo di pensare ha le sue buone ragioni. Oggi le «razze» (poco importa se rinominate con termini meno impresentabili come «etnie» o «culture») sono in primo luogo i migranti, variamente considerati invasori, nemici, delinquenti naturali, terroristi potenziali, barbari e così via connotando. Oppure sono i rom (e i sinti), cioè gli «zingari». O ancora gli ebrei (checché se ne dica, resiste il pregiudizio che li configura come una «razza»). In una parola, minoranze a vario titolo percepite come estranee al corpo (sano) della collettività. Come eccezioni (patologiche) rispetto alla norma e alla normalità. Tuttavia, se non vogliamo rimanere prigionieri del razzismo, non possiamo limitarci a sfogliare il catalogo dei gruppi umani trasformati in «razze», dobbiamo anche chiederci a che scopo il razzismo li «razzizza».

Con ogni probabilità, l'obiettivo è legittimare trattamenti discriminatori e persecutori che possono arrivare sino allo sterminio. La violenza che difficilmente la società accetterebbe di subire, appare tollerabile (motivata e giusta) se colpisce un gruppo raffigurato come portatore «per natura» di uno stigma morale. Quella violenza è percepita come legittima difesa poiché è messa in relazione alle caratteristiche perverse attribuite a quel gruppo. In una parola, il razzismo è la fabbrica delle identità negative, un operoso cantiere antropologico che, producendo stereotipi (cioè letteralmente creando le «razze»), sforna ininterrottamente argomenti utili a giustificare la violenza che una parte della società scarica su altre componenti più deboli e a vario titolo subordinate.

Se le cose stanno così, lo sguardo dovrebbe disinteressarsi del dito (gli argomenti specifici - tutti, indistintamente, pretestuosi - addotti dal razzista di turno) e rivolgersi alla luna che esso indica, cioè alla radice profonda di questa violenza. Dovrebbe cercare la fonte «strutturale» dell'insaziabile fame di discriminazione che ossessiona la nostra società, poiché soltanto così è possibile capire perché da due o tre secoli a questa parte l'occidente capitalistico non può fare a meno di inventare «razze» inferiori, parti infette dei corpi sociali che meritano di essere cauterizzate o addirittura amputate. E soltanto adottando questa prospettiva si può capire perché il razzismo torna sistematicamente in auge nelle fasi acute di crisi economica e sociale, quando le dinamiche riproduttive esasperano la propria connotazione gerarchica, mobilitando un surplus di violenza e di brutalità.

Il punto è che la «razza inferiore» (quella di chi - stando alle mitologie razziste - ruba o stupra per incoercibili propensioni «naturali» o è «per natura» refrattario alla civilizzazione) incarna e mette in scena non soltanto le ragioni della propria discriminazione, ma anche, soprattutto, la legittimità del discriminare come meccanismo generale della relazione sociale. Certo, la violenza che si scatena contro i rom cacciati via da una palude infestata dai topi all'altra, evitati come appestati sugli autobus e sui treni e finalmente deportati oltre confine nel nome della sicurezza e sanità del corpo sociale, è diversa da quella che gli italiani (o i francesi) doc - quanti tra loro lavorano sotto padrone o nemmeno riescono a trovare un lavoro - sono costretti a subire. Questi ultimi sono (ancora) protetti da qualche diritto. Ma un denominatore comune c'è, e consiste nel dipendere dall'arbitrio altrui. Per questo è importante che assistano alla cacciata dei rom, spettacolo estremamente istruttivo che rammenta (e rappresenta come una condizione inemendabile) la loro radicale subalternità.

Che cosa imparano, a guardar bene, da questo spettacolo che colpisce ai margini della società ma si rivolge al grosso della popolazione, alle «genti meccaniche» cui non è toccata la buona sorte di illustri natali? Apprendono la terribile lezione della modernità: la loro condizione di homines œconomici, di individui soli, costretti a combattere, a proprio rischio e pericolo, la guerra quotidiana degli egoismi individuali. Ciò che il razzismo si incarica di portare a termine mettendo in scena il destino degli ultimi è, in altre parole, l'atomismo sociale e lo sradicamento della solidarietà, fattore antimoderno per antonomasia, incompatibile con lo scatenamento degli «spiriti animali» del capitalismo.

In questo senso - per quanto paradossale ciò possa apparire - se vogliamo capire quale ruolo il razzismo giochi sulla scena europea (e perché esso svolga ancora una funzione così importante), è indispensabile leggere correttamente vicende come quelle di Pomigliano e di Melfi, nelle quali il padrone dichiara in modo esplicito di voler negare qualsiasi diritto a chi per sopravvivere è costretto a vendere il proprio tempo di vita. Gli operai debbono tornare ad essere cose, levarsi dalla testa di essere persone e, soprattutto, membri di un soggetto collettivo. E affinché intendano la musica, niente è più utile del mostrare loro che fine fanno quelli con i quali la buona società si arrabbia per davvero.

Ma se la sorte riservata ai margini serve a educare il centro, allora il problema è la reazione del centro. Non si tratta di stabilire se il razzismo sia o meno spontaneo, certo che non lo è. Il punto è che il razzismo sarà senso comune, benché inculcato dall'alto, finché i corpi sociali assimileranno docilmente la lezione che esso impartisce: la fondatezza delle gerarchie sociali, la legittimità della violenza che esse decretano, la moralità della riduzione a cose dei subordinati. Oggi, esattamente come nel secolo scorso, il problema chiama dunque in causa proprio gli «uomini comuni», spesso complici, più o meno inconsapevoli, della violenza razzista.

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sabato 18 settembre 2010

Étienne Balibar: Rom, questione comune


La condizione dei rom testimonia l’esistenza di «una traccia durevole delle persecuzioni nella storia europea». L’Europa può cancellarla.



Dal punto di vista dei rom, il processo di unificazione europea ha di sicuro aperto delle possibilità di comunicazione nella comunità finora inesistenti e ha dato la possibilità di reclamare i propri diritti in modo più efficace e legittimo. Ma non ha modificato la configurazione di base della persecuzione, o addirittura può aver dato ad essa una nuova dimensione. Si tratta di una storia affascinante: quello che era ampiamente invisibile è diventato visibile e un'intera parte della storia d'Europa diventa comprensibile. Ed è una questione vitale per il futuro dell'Europa: essa non può essere costruita sull'esclusione, non è un Impero. Ufficialmente, presenta se stessa come uno spazio per la realizzazione dei diritti democratici e del benessere comune delle sue popolazioni. In pratica, conquisterà legittimità nelle menti e nei cuori dei cittadini (una cosa più difficile di quanto immaginato all'inizio) soltanto se comporterà un avanzamento verso istituzioni più democratiche e una cultura di maggiore - e non di minore - solidarietà. Sotto questo punto di vista, la persecuzione dei rom in Europa, trasmettendosi da un Paese all'altro in un processo di emulazione negativa come nel passato, non è un problema che riguarda ogni paese separatamente, ma è un problema "comune", un problema "comunitario".

Affrontandolo in questo modo - e lavorando contro le proprie inclinazioni - gli europei eliminerebbero non solo una fonte di conflitti interni e di violenza che può diventare insopportabile, ma costruirebbero una comune cittadinanza. Inoltre reclamando i loro diritti, elevando il discorso dal livello culturale a quello civile, trovando gli interlocutori istituzionali e gli alleati di cui hanno bisogno tra la popolazione, i rom di tutta Europa conquisterebbero un'integrazione che ci riguarda tutti, collettivamente. Non essendo un esperto di storia e sociologia rom, ma in quanto cittadino europeo e filosofo che ha lavorato su altri aspetti dell'esclusione e sul loro impatto sullo sviluppo della democrazia, vorrei affrontare le tre principali questioni in discussione.

La prima riguarda l'esclusione e la cittadinanza e la loro trasformazione a livello paneuropeo. I rom sono privi di alcuni diritti di base in molti paesi europei e nello spazio europeo, malgrado il fatto che siano cittadini europei, essendo di pieno diritto cittadini degli stati membri. Questi diritti di base includono il diritto di circolazione, di residenza, di lavoro, il diritto alla scuola, alla salute e alla cultura. I rom sono costretti a risiedere in determinate aree, dalle quali del resto possono anche venire arbitrariamente espulsi. Sono definiti o come "nomadi" o come cittadini che provengono da determinati paesi. Sono a priori considerati come delinquenti o come una popolazione pericolosa. Non vengono mai ammessi o sono ampiamente sottorappresentati nella maggior parte delle professioni, sia manuali che intellettuali (con tassi di disoccupazione che toccano i massimi). È inutile dire che questo riguarda anche gli impieghi pubblici. Questo fenomeno è illegale o legale, con la scusa di norme e di accordi interstatali che riguardano l'igiene, la previdenza sociale, le politiche per l'occupazione e le norme culturali. Hanno luogo su uno sfondo di una persistente estrema violenza "popolare", che è alimentata anche da gruppi neofascisti e da bande criminali, solo verbalmente condannati da molti stati membri dell'Unione europea. Solo i più vergognosi pogrom diventano una notizia per la stampa nazionale o internazionale.

La costruzione dell'Ue ha avuto degli effetti estremamente contraddittori. Ha prodotto una categorizzazione dei rom a livello europeo, dal momento che per la Ue sono stati considerati un "problema" nel loro stesso diritto a farne parte. Questo è uno scalino preliminare nella nuova razzializzazione dei rom. Li mette nella stessa categoria dei "migranti" di origine extracomunitaria, in un quadro generale che ho definito come l'emergente apartheid europeo, il lato oscuro dell'emergenza di una «cittadinanza europea». La differenza proviene dal fatto che i "migranti" (e i discendenti di migranti) sono visti come un altro esterno, mentre gli tzigani come un altro interno. Ciò d'altronde rafforza il vecchio stereotipo del nemico interno, che ha effetti sanguinosi.

Malgrado gli enormi cambiamenti storici e sociali - specialmente dopo la seconda guerra mondiale e la fine della guerra fredda - che hanno portato l'Europa molto lontana dal proprio passato, questo fenomeno è testimone di una traccia durevole delle persecuzioni nella storia europea. È inevitabile la comparazione con il caso, di cui si è parlato molto di più, della persecuzione di un "gruppo razziale" nella storia europea, cioè gli ebrei. I due "gruppi paria" sono stati il bersaglio congiunto del genocidio nazista (come altre popolazioni "devianti"). Rappresentano casi completamente diversi di traiettoria religiosa ed economica, ma - è importante sottolinearlo - entrambi hanno svolto un ruolo centrale nello stabilire delle connessioni tra diverse culture europee (specie nel campo artistico, nel caso degli tzigani) incarnando l'elemento "cosmopolita" senza il quale le culture "nazionali" restano isolate e sterili.

Questo mi porta a prendere in considerazione una seconda questione, che riguarda più specificamente le tendenze di razzializzazione in Europa. Alcuni anni fa mi ero chiesto se bisognasse ammettere che esiste un razzismo o neo-razzismo "europeo" che avrebbe avuto, rispetto alla costruzione "sopra-nazionale", la stessa relazione di complementarità ed eccesso che il razzismo tradizionale (antisemitismo, razzismo coloniale, ecc) aveva con lo stato-nazione e le classiche costruzioni imperialiste. Bisogna essere molto prudenti a proporre questo tipo di ipotesi. Nondimeno, ci sono dei fenomeni inquietanti che possono dare credito a questa ipotesi, ponendo i rom nella scomoda posizione di caso test. In conclusione, possiamo dire che l'unificazione dell'Europa ha reso la razzializzazione del "problema tzigano" più visibile, perché mostra l'evidente contraddizione con la tendenza generale e ufficiale verso il superamento dei pregiudizi etnici e nazionali sulla quale è costruita la "nuova Europa". Da questo punto di vista, ci sono almeno tre fenomeni che mi paiono rilevanti:

1. La tendenza delle nazioni europee a proiettare sui rom i pregiudizi verso altre nazioni. Per esempio, la stampa francese è più attenta a riferire dei pogrom che hanno luogo in Italia o in Ungheria, o delle discriminazioni in Romania, ma resta quasi silenziosa sul modo in cui i comuni in Francia respingono i "nomadi" dal loro territorio, o sul modo in cui la polizia di frontiera francese espelle cittadini rumeni e bulgari per alimentare le statistiche ufficiali, pur sapendo benissimo che, in quanto cittadini europei, essi torneranno al più presto.

2. Arriviamo al fenomeno della costruzione del capro espiatorio e, più precisamente, al modo in cui le "nazioni" europee si considerano ufficialmente l'un l'altra come membri di una stessa comunità. Dopo aver superato le antiche ostilità, esse restano nei fatti piene di mutuo risentimento e sospetto reciproco - cosa che, fino ad un certo punto, dipende dal fatto che la costruzione europea è rimasta in mezzo al guado. Questo risentimento e sospetto reciproco tende a venire proiettato verso gruppi "devianti". I rom sono come una nazione in eccesso in Europa, che si distingue per l'odio che suscita non solo perché travalica i confini ma anche perché incarna l'archetipo delle popolazioni senza stato, che fanno resistenza alle norme di territorializzazione e di normalizzazione culturale (per ironia della sorte, sotto molti aspetti, questa singolarità è essa stessa frutto delle persecuzioni).

3. Questo problema, come sappiamo, diventa eccezionalmente acuto quando vengono prese in considerazione le relazioni tra Europa occidentale ed Europa dell'est. Il fatto che i regimi di tipo sovietico in Europa dell'est durante la guerra fredda, in paesi che hanno anche un'importante popolazione rom, avessero combinato una politica coercitiva e normativa con programmi di integrazione economica, ha comportato la definizione di "protégés del socialismo" in paesi dove (per quanto tempo ancora?) la maggioranza della popolazione vede l'ammissione alla Ue come la strada più rapida verso la liberalizzazione economica e sociale. Nell'altra metà del continente, i paesi occidentali e la loro opinione pubblica li percepiscono come la perfetta illustrazione della povertà e della deregulation con le quali l'Ue sfida i vecchi membri. In entrambi i casi, sono rigettati e visti più come "orientali" che come veramente europei.

Se la relegazione dei rom nella condizione di comunità senza stato prosegue (de facto più che de jure: vivono, certo, sotto la giurisdizione degli stati, ma sono visti sia come inadatti che ostili ad entrare nella costruzione di uno stato moderno), cosa che ci riporta all'origine della loro discriminazione, essa rivela al tempo stesso i limiti della costruzione della sfera pubblica in Europa. Essa può essere paragonata a uno statalismo senza stato. Questa situazione poco chiara, combinata con altri fattori, tende ad esacerbare varie forme di razzismo popolare, in particolare sotto la forma dell'ossessione della sicurezza. Dall'altro lato, ha portato alla creazione di una piuttosto densa rete di istituzioni e organizzazioni che hanno a vedere con la "questione rom" a livello europeo. Alcune di queste organizzazioni ed iniziative governative possono favorire lo sviluppo di una coscienza autonoma e di una pratica civile nella comunità rom, mentre altre tendono a ridurli allo stato di un gruppo sotto controllo, protetto e piazzato sotto sorveglianza. Questo dilemma, secondo me, porta a prendere in considerazione un altro problema cruciale, che riguarda le vie dell'emancipazione proposte alle popolazioni rom in Europa. Parlando da un punto di vista astratto, ci sono due strade, come in altri casi simili. Una può essere definita "maggioritaria" e comporta la richiesta della fine dell' "eccezione", il riconoscimento dei diritti di base che, di principio, appartengono ad ogni cittadino. L'altra può essere definita "minoritaria" e si basa su un crescente senso di identità e di solidarietà tra le popolazioni rom, attraverso i confini nazionali, che porta verso una maggiore autonomia culturale e, di conseguenza, verso una maggiore visibilità come gruppo "quasi nazionale" che lotta contro l'esclusione all'interno di un'Europa multi-nazionale.

La prima strada dipende soprattutto dai passi avanti più generali sui diritti umani e da un ritorno a politiche sociali che riescano ad arginare la corrente neo-liberista, mentre la seconda dipende dalla capacità di utilizzare il discorso e le istituzioni dell'Unione europea affinché i rom arrivino a costruirsi una voce autonoma. Nessuna delle due strade è facile, né probabilmente sufficiente. Sarà responsabilità dei rom stessi articolare una combinazione efficace. Ma è anche nostra responsabilità - e nostro interesse - in quanto democratici europei, aiutarli in questo processo, lottando contro il risorgere del razzismo in mezzo a noi, inventando un'Unione migliore.


* Questo testo è una rielaborazione, per gentile concessione di Étienne Balibar, dell'introduzione al volume «Romani Politics in Contemporary Europe» (Palgrave ed. dicembre 2009), una raccolta di saggi sulla questione dei rom e l'Europa a cura di Nando Sigona e Nidhi Trehan. La traduzione è stata curata da Anna Maria Merlo.

da: il manifesto, 18.09.2010

giovedì 19 agosto 2010

Del "senso dello Stato" [da Senza Soste]

Cossiga, quando la sovranità
non appartiene al popolo

...

È buffo che nei necrologi bipartisan dedicati a Cossiga si metta in evidenza soprattutto il suo senso dello Stato. Perché Cossiga, a differenza di tanti che oggi lo commemorano, non si è mai posto il problema di nascondere il suo disprezzo per lo Stato di diritto e ha sempre rivendicato apertamente il suo ruolo in quelle strategie occulte ed “eversive” (tecnicamente parlando) che dalla Liberazione in poi hanno costituito la vera struttura portante della Prima e della Seconda Repubblica ...

Strategie con un obiettivo chiaro e semplice: quello di impedire che in Italia la volontà popolare potesse mettere in pericolo gli equilibri politici voluti dai veri padroni del Paese e detentori della sovranità reale.

A Cossiga va dunque riconosciuto almeno un merito: quello di aver mostrato con chiarezza che nelle cosiddette democrazie occidentali i diritti civili e politici sono solo un simulacro che copre i reali rapporti di forza: “la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi”, scriveva Michel Foucault capovolgendo il famoso motto di Clausewitz.

I fatti di cui Cossiga è stato protagonista sono notissimi ...

leggi l'articolo completo in Senza Soste

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mercoledì 19 maggio 2010

G. W. F. Hegel: la sproporzionata ricchezza di alcuni cittadini



Quanto la sproporzionata ricchezza di alcuni cittadini sia pericolosa anche per la più libera forma di costituzione, e sia in grado di distruggere la libertà stessa, lo mostra la storia negli esempi di un Pericle ad Atene, dei patrizi a Roma, la cui rovina il minaccioso influsso dei Gracchi e di altri cercò invano di impedire con proposte di leggi agrarie, e dei Medici a Firenze; e sarebbe importante ricercare quanta parte del rigoroso diritto di proprietà si debba sacrificare alla durevole forma di una repubblica. Al sistema del sanculottismo* in Francia si è forse fatto torto quando si è voluto cercare soltanto nella rapacità la fonte della maggiore uguaglianza della proprietà cui esso mirava.


[*] Allusione ai radicali di sinistra nella Rivoluzione francese, detti "sanculotti" (senza culotte) perché invece della culotte, i calzoni al ginocchio che portavano gli aristocratici, portavano calzoni lunghi

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da G. W. F. Hegel, Frammenti di studi storici, (1797-1802)
cit. in G. W F. Hegel, Detti memorabili di un filosofo,
a cura di Nicolao Merker, Editori Riuniti, Roma 1986
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martedì 10 novembre 2009

A tutti i firmatari della petizione per i diritti dei migranti in Libia - To all the signatories of the petition for the rights of migrants in Lybia


A tutti i firmatari della petizione per i diritti dei migranti in Libia.

Martedì 10 novembre 2009.

Nel giorno in cui il Ministro Maroni torna a Tripoli per festeggiare il disumano successo del trattato con il dittatore libico, annunciando che presto altre 3 motonavi italiane saranno fornite alla polizia di Gheddafi per rinforzare controlli e respingimenti.
Nel giorno in cui un'altra barca di esseri umani rischia di essere lasciata in balia del mare o restituita alla violenza e all'arbitrio della polizia libica.
Noi non rinunciamo alla necessità della denuncia e consegniamo agli uffici di rappresentanza in Italia di Parlamento Europeo e Commissione Europea, con la presenza di UNHCR,le 18.000 firme raccolte per chiedere:
- un' inchiesta internazionale sulle modalità di controllo dei flussi migratori in Libia in seguito agli accordi bilaterali con il Governo Italiano
- una missione umanitaria in Libia per verificare la condizione delle persone detenute nelle carceri e nei centri di detenzione per stranieri

Lo faremo insieme ai protagonisti del film nel pomeriggio di martedi 10 novembre 2009.
Filmeremo e fotograferemo l'incontro e pubblicheremo le immagini sul sito.
Poi alle 18.00 vi invitiamo tutti al CINEMA AQUILA a Roma per la
PRESENTAZIONE del dvd+libro di "COME UN UOMO SULLA TERRA" con proiezione speciale del film.

In attesa che prima o poi anche i destinatari italiani della petizione, i Presidenti di Camera e Senato, accettino di accogliere la nostra delegazione in rappresentanza dei 18.000 firmatari che chiedono il rispetto e la tutela di miglaia di esseri umani.

Grazie a tutti voi.


To all the signatories of the petition for the rights of migrants in Lybia

Tuesday 10th of November 2009

While the Italian Ministry Maroni goes again to Tripoli to celebrate the inhuman success of the alliance with the Lybian dictator.
While he is announcing that other 3 italian militar ships will be furnished to the Lybian police to stop the migrants trips.
While another boat is risking to be abandoned in the middle of the sea or to be forced to return into the Lybian violence.

We don't give up the necessity of the denounce:
we will deliver to the Representative Office in Italy of European Parliament and European Commission, with the presence of UNHCR the 18.000 signatures of the petition which asks:
- to promote the establishment of an independent, international committee of enquiry to investigate the procedure for the control of migratory flows in Libya, under the terms of the bilateral agreement with the Italian Government.
- to rapidly send an international humanitarian mission to Libya to verify the conditions of detainees in the prisons and the detention centres for foreigners ...

Thanks to everybody.

domenica 30 agosto 2009

30 Agosto: Niente da festeggiare


30 Agosto
Un anno di amicizia Italia-Libia
NIENTE DA FESTEGGIARE
Un anno di violazioni e violenze ai danni di migliaia di migranti africani.


Continua la raccolta di firme per la petizione di “Come un uomo sulla terra” e Fortress Europe, con la quale si chiede l’avvio di due missioni in Libia, una d’inchiesta e una umanitaria, per verificare le condizioni dei migranti nei centri di detenzione e deportazione. Già in 15.000 hanno firmato.


In occasione della visita di Silvio Berlusconi a Tripoli, gli autori e la produzione di Come un uomo sulla terra, il documentario che da un anno dà voce alle testimonianze dei migranti africani vittime degli accordi italo-libici, rilanciano in collaborazione con Fortress Europe la petizione per avviare delle missioni istituzionali nei centri di detenzione in Libia.
La petizione è rivolta ai Parlamenti Italiano ed Europeo, alla Commissione Europea e all’UNHCR ed ha già raccolto on line e su carta quasi 15000 firme.

Ad un anno di distanza dalla firma dell’accordo tra Italia e Libia, le motivazioni a sostegno delle richieste contenute nella petizione sono ancora più urgenti. Le notizie succedutesi negli ultimi mesi, in particolare dopo la svolta radicale avviata dai respingimenti voluti dal Ministro Maroni, danno conferma della necessità di avviare misure di controllo sulle modalità con cui lo Stato Libico gestisce, su richiesta e con finanziamenti italiani, la detenzione e la deportazione di migliaia di donne e uomini africani. Ormai si conoscono le condizioni disumane di detenzione, le violenze anche mortali della polizia libica e l’assoluta mancanza di tutela di diritti umani fondamentali, tra cui il diritto d’asilo.
Questa situazione ha fatto sì che a chiedere missioni di verifica siano non solo organizzazioni internazionali come UNHCR, ma anche alte cariche istituzionali come il Presidente della Camera Gianfranco Fini e il Presidente del COPASIR Francesco Rutelli, oltre a vari esponenti dei gruppi parlamentari di opposizione. Prendiamo atto con favore di queste posizioni e uniamo le nostre voci a quelle dei firmatari della petizione, affinché queste missioni siano finalmente possibili.

Oggi, in questa giornata in cui ci sembra non ci sia proprio niente da festeggiare, chiediamo a tutti gli italiani che credono nella tutela dei diritti umani e nella costruzione di una civiltà democratica migliore, di firmare la petizione entro il 13 settembre attraverso il sito del film: http://comeunuomosullaterra.blogspot.com.

Noi ci impegniamo a consegnare ufficialmente le firme ai destinatari entro la fine del mese di settembre, organizzando per l’occasione un momento di confronto serio, convinti che sia ormai non solo necessario ma anche possibile avviare al più presto missioni di verifica e di inchiesta in Libia.

Autori e Produzione “Come un uomo sulla terra”.

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giovedì 13 agosto 2009

Razzismo di Stato: un attacco neufeudale

Bossi e il razzismo di stato,
un attacco neofeudale all'unità

di Alberto Burgio
il manifesto, 12 agosto 2009




Ormai è chiaro a tutti che la Lega guida il governo con mano sicura e chiarezza d’intenti. Varato (complice l’«opposizione») il federalismo fiscale, incassato il reato di immigrazione clandestina e istituite le ronde, è tornata al primo amore: la disunità d’Italia, il dagli al terrone parassita. Ieri la metafora gentile era il tricolore nel cesso. Oggi sono l’esame di dialetto, la purezza anagrafica dei dirigenti scolastici, il boicottaggio dell’anniversario della prima Unità. E le gabbie salariali, alle quali i nostri capitani d’industria e lo statista di palazzo Chigi hanno subito concesso il benestare. Il punto è sempre quello: sancire la superiorità dei padani e la non redimibile inferiorità dei sudici, parenti ai migranti.

Non è pura propaganda. Non è solo guerra di nervi dentro il governo, lucrando sulla debolezza del «consumatore finale». E non si tratta nemmeno soltanto di quattrini, che pure evidentemente c’entrano, sia col federalismo, sia con le gabbie e con la distruzione del contratto collettivo nazionale. La posta è più alta, ma si ha l’impressione che pochi lo intendano.

Stiamo sottovalutando gli effetti (intellettuali e morali oggi, politici e materiali domani) della sistematica picconatura dell’unità nazionale. In un Paese di recentissima e squilibratissima unificazione. In un quadro politico privo di argini al dilagare della destra. In un paesaggio sociale devastato dalla crisi e dall’emarginazione del movimento operaio. In un contesto culturale regredito (dove il senso comune è calibrato dai reality, dai centri commerciali e dal gossip): gli insulti razzisti di Bossi e dei suoi all’Italia e al Mezzogiorno sono percepiti come il nulla-osta per giudizi e comportamenti distruttivi senza limiti.

Si prepara un autunno amaro per milioni di poveri vecchi e nuovi. Ma ai poveri del nord si concede ora una nuova via di fuga: non solo qualche spicciolo in più in un tessuto economico un po’ meno arretrato, ma anche la soddisfazione di fargliela finalmente pagare a quei pezzenti del sud, fannulloni e ignoranti, usi a vivere a sbafo a carico del nord alacre e operoso.

Difficile dire dove possa portare la distruzione del senso di appartenenza a una comunità nazionale. Ma si deve sapere che nulla è scontato e nulla impossibile. Chi, trent’anni fa, avrebbe immaginato di dover fare i conti nuovamente col razzismo di Stato?

Non c’è niente di naturale nell’idea di essere uguali e niente di irreversibile nella sua faticosa acquisizione. Dopo due decenni di sistematica sottovalutazione del pericolo della destra, sarebbe il caso, ora, di fare molta attenzione. Lo diciamo a quella parte della sinistra che sa distinguere tra lo Stato e la sua degenerazione nazionalista, che conosce la funzione progressiva (socialmente unificante) dello Stato costituzionale e può quindi decifrare l’attacco neofeudale della destra all’unità nazionale. Rifletta e corra ai ripari, prima che sia troppo tardi.


venerdì 17 luglio 2009

La mitica ambiguità delle leggi che non possono essere "trasgredite" (Walter Benjamin)



Dove si stabiliscono confini, l'avversario non viene semplicemente distrutto; anzi, anche se il vincitore dispone della massima superiorità, gli vengono riconosciuti certi diritti. E cioè, in modo demonicamente ambiguo, pari diritti: è la stessa linea che non deve essere superata dai due contraenti. Dove appare, nella sua forma più temibile e originaria la stessa mitica ambiguità delle leggi che non possono essere "trasgredite", e di cui Anatole France dice satiricamente che vietano del pari ai ricchi e ai poveri di pernottare sotto i ponti.


Walter Benjamin, Zur Kritik der Gewalt (1920-1921),
trad. it. Per la critica della violenza
in Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di Renato Solmi, Torino, Einaudi, 1962.




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immagine da Sucardrom

mercoledì 8 luglio 2009

La libertà finisce quando inizia la paura - Reggio Emilia 11 luglio


... Arrendetevi illusi: legge contro i poveri non contro la mafia, norme contro chi sopravvive non contro chi specula, agevolazioni per le boutique e ordinanze contro chi vuole vivere il centro storico come bene comune gratuito...



[leggi il testo completo in: Io non ho paura - R.E.]

martedì 19 maggio 2009

Come un uomo sulla terra

"Respingere i migranti in Libia

è come se i pompieri

riportassero dentro ad un incendio

le vittime dell'incendio stesso"

La deriva razzista del Governo Italiano che in questi giorni avvia disumani respingimenti in Libia e approva a colpi di fiducia il ddl sicurezza, non può lasciarci indifferenti.


Cosa fa realmente la polizia libica?

Cosa subiscono migliaia di uomini e donne africane?

E perché tutti fingono di non saperlo?





AulaC in collaborazione con Progetto Asilo presenta:

"Come un uomo sulla terra"

di Riccardo Biadene, Andrea Segre, Dagmawi Ymer

Giovedì 21 Maggio 09

Ore 16 @ AulaC

Strada Maggiore 45 - Bologna


Un film sulle brutalità con cui la Libia controlla i flussi migratori su richiesta e grazie ai finanziamenti e alla connivenza di Italia ed Europa

Per maggiori info sul documentario visita il sito:

Come un uomo sulla terra

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giovedì 12 febbraio 2009

Discriminazioni, persecuzioni e deportazioni

Discriminazioni, persecuzioni, esclusioni

Un'iniziativa oggi a Bologna, presso XM24
dalle ore 18 - Via Fioravanti, 24

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vedi: Marginalia


martedì 3 febbraio 2009

PER UNA BIBLIOTECA PUBBLICA AL SERVIZIO DEL CONFRONTO DELLE IDEE


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APPELLO IN DIFESA DEL DIRITTO DI ESPRESSIONE.

Lo scorso 10 gennaio l’Assessore alla Cultura del Comune di Pisa, a nome dell’Amministrazione comunale, ha deciso di negare l’uso della Biblioteca comunale per la presentazione di un libro che raccoglie gli atti di un convegno nazionale tenutosi nel febbraio 2008 a Sesto San Giovanni (MI).
Prima di entrare nel merito dei contenuti di un convegno di cui si vogliono rendere pubblici gli atti, vorremmo esprimere la nostra profonda perplessità ed inquietudine per un provvedimento che appare, a tutti gli effetti, atto negazione di un diritto elementare: quello della libera espressione delle idee e della ricerca storiografica, in questo caso supportate da storici di fama internazionale.
Censure di questo rilievo e livello sarebbero legittime e possibili, nel nostro paese, se ad essere proposte fossero idee dichiaratamente anticostituzionali, perché di stampo fascista, nazista, xenofobo o discriminatorio verso minoranze etniche o religiose.
Il testo per il quale è stata richiesta la sala della Biblioteca comunale, dal titolo “Foibe, revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica – Atti del convegno Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico”, tratta invece di un evento della storia italiana reso di stridente attualità a causa di una profonda rilettura di quel particolare periodo.
L’Assessore alla Cultura del Comune di Pisa, Silvia Panichi, a nome dell’Amministrazione Comunale, esplicita il diniego della sala con la seguente motivazione: “…Si tratta di un argomento particolarmente doloroso e ancora in via di elaborazione storiografica per cui un analisi troppo netta e orientata rischierebbe di offendere la sensibilità di alcuni, soprattutto in prossimità della data del 10 febbraio, scelta in modo ufficiale come giorno del ricordo”, riferendosi alla Giornata del Ricordo istituita con legge n. 92 del 30.03.04. per l’istituzione del quale è stata evidentemente accettata una elaborazione storiografica.
Le tesi sostenute dal convegno al quale si nega oggi una sala pubblica contestano quella elaborazione storiografica.
Impedire la libera espressione delle idee, in questo caso attraverso un punto di vista storiografico alternativo a quello ufficiale, se fatto nel rispetto dei principi costituzionali e con il rigore scientifico che riconosciamo all’opera, significherebbe operare un vulnus senza precedenti nella storia democratica della nostra città.
I sottoscrittori del presente appello chiedono agli organi politico/istituzionali alla guida del Comune di Pisa di concedere la sala della biblioteca Comunale nel giorno richiesto (5 febbraio c.a.) per la presentazione degli atti di questo importante convegno storico, preservando così il carattere aperto, di palestra delle idee che da sempre ha caratterizzato la nostra città.


Prime adesioni di organizzazioni:

A.N.P.I. Pisa; A.N.P.I. Trieste; Rete dei Comunisti Pisa; Osservatorio sul fascismo; RdB CUB Pisa, Associazione marxista Politica e Classe Pisa; Associazione comunista Pianeta Futuro; Sinistra Critica; circolo agorà Pisa; Confederazione COBAS Pisa; PRC Pisa; PdCI Pisa; PCL Pisa; Verdi Pisa; Associazione Italia Cuba sez. Pisa; Comitato promotore del Convegno sulle "Foibe" tenuto il 9 febbraio '08 a Sesto S. Giovanni (Mi) e della pubblicazione degli Atti raccolti nel libro; Rebeldia, spazio antagonista Newroz; Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus; Associazione/Društvo Promemoria per la difesa dei valori dell’antifascismo e dell’antinazismo/za varovanje vrednot protifašizma in protinacizma - Trieste/Trst;




Prime adesioni individuali:

Giorgio Vecchiani, Presidente A.N.P.I. Pisa; Manlio Dinucci, saggista; Andrea Venturi, consigliere comunale della Rete dei Comunisti a S. Giuliano terme; Cinzia Della Porta, presidente del Circolo agorà; Paola Bernardini, bibliotecaria presso Biblioteca comunale di Pisa; Valter Lorenzi, Rete nazionale Disarmiamoli!; Paolo Alderigi, Associazione per la Sinistra Vicopisano; Daniele Barbieri (Imola); Davide Maldarella, studente di Storia contemporanea c/o Università di Pisa; Bruno Frassinesi, responsabile prov. RdB CUB Pisa; Giuseppe Pagano, studente di Storia c/o Università di Pisa; Diana Settepanella, studentessa di Storia c/o Università di Pisa; Sandro Malloggi, operatore Biblioteca comunale Pisa; Mauro Stampacchia, Docente di Storia del Movimento Operaio presso la fac. Di Scienze Politiche dell’Univ. di Pisa; Maurizio Bini, segreteria provinciale PRC Pisa; Andrea Domenica, Assistant Professor Dept. of Information Engineering (DIIEIT), University of Pisa; Mauro Bennati, tecnico di lab. Fac. Di farmacia; Simonetta Vacca, impiegata; Edoardo Prediletto, studente; Stefania Campetti, impiegata; Silvia Zublena, studentessa; Annalisa Antichi, psicologa; Dino Mosca, Trieste; Gilberto VLAIC, Docente universitario, Trieste; Claudio Venza - docente universitario, Trieste; Jože Pirjevec, docente universitario a Koper-Capodistria ed ex studente della Normale di Pisa; Andrea Bellucci - segretario dll'ANPI di Montelupo Fiorentino; Stanka Hrovatin, presidente Anpi-VZPI provinciale di Trieste; Marina Rossi, storica dell'Istituto regionale per la storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia-Giulia di Trieste; Gigi Bettoli, Spilinburgo (Pn); Rudy M. Leonelli, Bologna.

per adesioni: cpianopisa@alice.it cell. 3296947952