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sabato 28 febbraio 2015

Grecia: forzare i limiti del capitalismo per combattere l'austerity - di  Étienne Balibar, Sandro Mezzadra

 


E. BALIBAR - S.MEZZADRA

giovedì 26 febbraio 2015 15:04




È dunque vero che alla fine, come titolano molti giornali in Italia e in Europa, Atene ha ceduto all'Eurogruppo (la Repubblica), compiendo il primo passo verso il ritorno all'austerity (The Guardian)? È cominciata la «ritirata» di Syriza, come sostengono molti leader della stessa sinistra interna del partito greco?
È presto per formulare un giudizio complessivo e fondato sugli accordi definiti all'interno della riunione dell'Eurogruppo di venerdì [ndr: 20 febbraio 2015]: molti aspetti tecnici, ma di grande importanza politica, saranno resi noti soltanto nei prossimi giorni. Vorremmo tuttavia provare a suggerire un diverso metodo di analisi dello scontro che non ha soltanto contrapposto il governo greco alle istituzioni europee, ma ha anche mostrato più di una crepa all'interno di queste ultime. Sulla base di quali criteri dobbiamo giudicare l'azione di Tsipras e Varoufakis, misurandone l'efficacia? È questa la domanda che ci interessa porre.
Vale la pena di ripetere che lo scontro aperto dalla vittoria di Syriza alle elezioni greche si svolge in un momento di crisi acuta e drammatica in Europa. Le guerre che marcano a fuoco i confini dell'Unione Europea (a est, a sud, a sudest), le stragi di migranti nel Mediterraneo non sono che l'altra faccia dei processi in atto di scomposizione dello spazio europeo, che la crisi economica ha accelerato in questi anni e che destre più o meno nuove, più o meno razziste e fasciste cavalcano in molte parti del continente. In queste condizioni, le elezioni greche e la crescita di Podemos in Spagna hanno aperto una straordinaria occasione, quella di reinventare e riqualificare a livello europeo una politica radicale della libertà e dell'uguaglianza.

Forzare i limiti del capitalismo
Dietro l'apertura di questa occasione ci sono, tanto in Grecia quanto in Spagna, le formidabili lotte di massa contro l'austerity. Ma lo sviluppo di queste lotte, nella loro diffusione «orizzontale», si è trovato di fronte limiti altrettanto formidabili: la posizione di dominio del capitale finanziario all'interno del capitalismo contemporaneo e l'assetto dei poteri europei, modificato da quella che abbiamo definito una vera e propria «rivoluzione dall'alto» nella gestione della crisi.
Il punto è che, non appena Syriza è riuscita a innestare sull'orizzontalità delle lotte un asse «verticale», portandone le rivendicazioni e il linguaggio fin dentro i palazzi europei, si è immediatamente trovata di fronte quegli stessi limiti. Si è scontrata con l'assetto attuale dei poteri europei e con la violenza del capitale finanziario. Sarebbe davvero ingenuo pensare che il governo greco, che un singolo Paese europeo (anche di maggior peso demografico ed economico della Grecia) possa spezzare questi limiti.
Se ce ne fosse stato ancora bisogno, quanto è accaduto in questi giorni dimostra chiaramente che non è sulla base di una semplice rivendicazione di sovranità nazionale che una nuova politica della libertà e dell'uguaglianza può essere costruita. I «limiti» di cui si è detto, tuttavia, ci appaiono oggi in una luce diversa rispetto a qualche mese fa. Se le lotte ne avevano mostrato l'insostenibilità, la vittoria di Syriza, la crescita di Podemos e la stessa azione del governo greco cominciano ad alludere alla realistica possibilità di superarli. Era evidente, e lo aveva chiarito tra gli altri lo stesso Alexis Tsipras, che non sarebbe stata sufficiente una semplice affermazione elettorale per fare questo. Si tratta di aprire un processo politico nuovo, per costruire e affermare materialmente una nuova combinazione, una nuova correlazione di forze in Europa.
Diceva Lenin che ci sono situazioni in cui bisogna cedere spazio per guadagnare tempo. Se applichiamo questo principio, opportunamente modificato, alla valutazione degli «accordi» di venerdì scorso possiamo forse scommettere (con l'azzardo che è costitutivo di ogni politica radicale) sul fatto che il governo greco abbia ceduto «qualcosa» per guadagnare tempo e per guadagnare spazio. Ovvero, per distendere nel tempo l'occasione che si è aperta in Europa nella prospettiva, resa possibile anche dalle prossime scadenze elettorali in Europa (a partire dalla Spagna, ma non solo), che altri «spazi» vengano investiti e «conquistati» dal processo politico nuovo di cui si diceva.
Questo processo politico, per avere successo nei prossimi mesi, non potrà che articolarsi su una molteplicità di livelli, combinando lotte sociali e forze politiche, comportamenti e pratiche diffuse, azione di governo e costruzione di nuovi contropoteri in cui si esprima l'azione dei cittadini europei. In particolare, nel momento in cui riconosciamo l'importanza decisiva di un'iniziativa sul terreno istituzionale quale quella che Syriza ha cominciato a praticare e Podemos concretamente prefigura, dobbiamo anche essere consapevoli dei suoi limiti.
In un lungo articolo (a suo modo straordinario), pubblicato nei giorni scorsi dal Guardian («How I became an erratic Marxist»), Yanis Varoufakis ha mostrato di avere una consapevolezza molto precisa di questi limiti. Fondamentalmente, ha affermato, quel che un governo può fare oggi è cercare di «salvare il capitalismo europeo da se stesso», dalle tendenze auto-distruttive che lo attraversano e minacciano di aprire le porte al fascismo. Ciò che in questo modo è possibile è conquistare spazi per una riproduzione del lavoro, della cooperazione sociale meno segnata dalla violenza dell'austerity e della crisi - per una vita meno «misera, sgradevole, brutale e breve».
Non è un governo, insomma, a potersi far carico della materiale apertura di alternative oltre il capitalismo. Leggendo a modo nostro l'articolo di Varoufakis, possiamo concludere che quell'oltre (oltre il salvataggio del capitalismo europeo da se stesso, in primo luogo) indica il «continente» potenzialmente sconfinato di una lotta sociale e politica che non può che eccedere la stessa azione di governi come quello greco e ogni perimetrazione istituzionale. È all'interno di quel continente che va costruita la forza collettiva da cui dipende quello che sarà realisticamente possibile conquistare nei prossimi mesi e nei prossimi anni. E il terreno su cui questa forza deve essere organizzata ed esercitata non può che essere l'Europa stessa, nella prospettiva di contribuire a determinare una rottura costituente all'interno della sua storia.

Il blocco di Francoforte
La mobilitazione convocata dalla coalizione Blockupy a Francoforte per il 18 marzo, il giorno dell'inaugurazione della nuova sede della Bce, acquista da questo punto di vista una particolare importanza. È un'occasione per intervenire direttamente nello scontro in atto a livello europeo (e dunque per sostenere l'azione del governo greco), andando oltre una generica contestazione dei simboli del capitale finanziario, della Bce e delle tecnostrutture «post-democratiche» di cui ha parlato Jürgen Habermas.
Ma è anche un momento di verifica delle forze che si muovono in quell'«oltre» senza consolidare il quale (è uno dei paradossi del nostro tempo) la stessa azione di governi e partiti che si battono contro l'austerity è destinata all'impotenza.

(23 febbraio 2015)
                                  ___________
                                  da: globalist.it


lunedì 1 dicembre 2014

Marx & Foucault. Lectures, usages, confrontations. Colloque International Nanterre-Paris 18-20 Déc. 2014 [ARCIVE




 



Jeudi 18 décembre


Foucault lecteur de Marx

Université Paris Ouest Nanterre La Défense
Bât. B, salle des conférences

.
Matin : 9h00-12h30
Ouverture : Christian Laval, Luca Paltrinieri, Ferhat Taylan
Présidence : Emilie Hache09h30-10h00 Christian Laval (CIPh/Sophiapol, Paris Ouest Nanterre La Défense)

« La productivité du pouvoir »


10h00-10h30 Rudy Leonelli (Università di Bologna) : « Foucault lecteur du Capital »


10h30-10h45
Discussion

Pause

11h00-11h30 Jason Read (University of Southern Maine) :
« Being Productive: Work and Subjectivity in Marx and Foucault »


11h30-12h00 Alberto Toscano (Goldsmiths, London) :
« Of Sub-Powers and Surplus-Profits: Money, Capital and Class-struggle in Foucault »


12h00-12h30
Discussion

.
Après-midi 14h15-18h
Présidence : Mathieu Potte-Bonneville
14h15-14h45 Jean-François Bert (IRCM, Université de Lausanne) :
« Cartographier les marxismes avec Foucault : les années 1950 et 1960 »


14h45-15h15 Manlio Iofrida (Università di Bologna) :
« Michel Foucault entre Marx et Burckhardt : esthétique, jeu, travail »


15h15-15h45 Roberto Nigro (CIPh/ZHDK Zurich)
: « …Communiste nietzschéen. L’expérience Marx de Foucault »


15h45-16h15
Discussion

Pause

16h30-17h00 Ferhat Taylan (CIPh/Université Bordeaux III) :
« La place de Marx : des Mots et les Choses à La Société punitive »


17h00-17h30 Hervé Oulc’hen (BelPD-COFUND, Université de Liège) : 
« Stratégie et praxis : Foucault et Sartre lecteurs des enquêtes historiques de Marx »


17h30-18h
Discussion Discussion.

lunedì 12 maggio 2014

Étienne Balibar : Du marxisme althussérien aux philosophies de Marx

Postface à l’édition allemande de "La Philosophie de Marx"

http://extranet.editis.com/it-yonixweb/IMAGES/DEC/P3/9782707133892.jpg

Etienne Balibar, Marx’s Philosophie, Mit einem Nachwort des Autors zur neuen Ausgabe, übersetzt und eingeleitet von Frieder Otto Wolf, b_books, Berlin 2013. Il s’agit de la traduction de La Philosophie de Marx, collection « Repères », Editions La Découverte, 1993 (nouvelle édition 2001). 



C’est pour moi une heureuse surprise, mais aussi un très grand plaisir, de voir paraître en allemand mon petit livre de 1993 sur « La philosophie de Marx », traduit et préfacé par mon vieil ami Frieder Wolf, dont j’admire le travail et avec qui je dialogue depuis si longtemps. Je l’avais écrit à la demande de François Gèze, Directeur des Editions La Découverte, et d’un collègue aujourd’hui disparu, Jean-Paul Piriou, économiste et syndicaliste, qui avaient fondé la collection « Repères » pour servir à la formation des étudiants en sciences humaines dans un esprit de critique des orthodoxies dominantes et d’ouverture des frontières entre les disciplines. Bien entendu, l’idée de l’éditeur était aussi que ces ouvrages, écrits autant que possible dans un style accessible, sans jargon mais sans simplification exagérée, pourraient être utiles à un lectorat plus large. Vingt ans plus tard, je crois pouvoir dire sans prétention que ces différents objectifs ont été raisonnablement atteints, aussi bien dans l’espace francophone (où le volume a été réédité plusieurs fois) qu’à l’étranger (où plusieurs traductions sont toujours en circulation). Je ne regrette donc pas l’effort que j’avais fourni en quelques semaines de travail intensif pour rassembler et résumer, dans un espace strictement limité a priori, ce que je pensais avoir appris au cours des trente années précédentes à propos des « objets » de la pensée philosophique de Marx, de ses modalités et des problèmes qu’elle recouvre. Cet effort a permis, semble-t-il, à différents groupes de lecteurs, débutants ou non, d’entrer dans l’univers intellectuel de Marx par une porte déterminée, en leur donnant les moyens d’en discuter la pertinence. Et il m’a permis à moi de formuler les clés d’interprétation que j’avais longtemps recherchées, en les confrontant à celles d’autres lecteurs de mon époque.
Mais vingt ans c’est une longue période. Le monde a changé - ce monde social que la fameuse Onzième Thèse de Marx sur Feuerbach demandait de « transformer », et pas simplement d’ « interpréter ». J’ai moi-même changé (pour ne rien dire des autres philosophes de ma génération). Est-ce que j’écrirais aujourd’hui ce petit livre de la même façon ? Telle est en somme la question que me pose Frieder Wolf au nom des lecteurs à venir de ce livre dans l’espace germanophone, en même temps qu’il propose une magistrale contextualisation de mes intentions et de mes propositions.
La réponse est évidemment non. Je ne l’écrirais plus ainsi. Mais la réponse est aussi que je ne suis pas certain d’être capable, aujourd’hui, de produire une synthèse de ce genre, alors même que, depuis les années 90, je n’ai jamais cessé de revenir aux textes de Marx : pour éprouver leur efficacité dans le traitement de diverses questions philosophiques et politiques (citons sans ordre : l’économie de la violence et l’ambivalence de ses effets, les transformations de la subjectivité et de la puissance d’agir induites par la mondialisation capitaliste, les conflits internes de l’universalisme, la fonction administrative et idéologique des frontières, les perspectives de la citoyenneté transnationale, la crise du sécularisme européen et de sa variante française, la laïcité…) ; et pour chercher, en retour, quelles virtualités ces questions d’actualité peuvent nous faire découvrir dans la pensée de l’auteur du Manifeste communiste et du Capital … Sans doute, je pourrais procéder à de nombreux enrichissements et rectifications, mais il est probable que l’effet produit serait une bien plus grande dissémination des thèmes et des problèmes, et que je ne réussirais plus aujourd’hui à inventer, comme je l’avais fait en 1993, un fil conducteur permettant de les relier entre eux au service d’une question unique ...

                                   
                                              leggi il testo completo nel sito del CIEPFC
  
                                    
                                                  

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domenica 9 febbraio 2014

Dall’antropologia filosofica all’ontologia sociale e ritorno - di Étienne Balibar

Dall’antropologia filosofica all’ontologia sociale e ritorno: che fare con la sesta tesi di Marx su Feuerbach?

marx-feuerbach
di ETIENNE BALIBAR


È in uscita per Mimesis “Il Transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni”, una raccolta di studi sulla questione del transindividuale curata da Etienne Balibar e Vittorio Morfino. Qui, per gentile concessione dei curatori, anticipiamo lo stesso saggio di Balibar, in cui il filosofo francese conduce un’analisi particolareggiata del significato filosofico della Sesta Tesi di Marx su Feuerbach.

eterotopie-balibar-morfino-transindividualeLe Tesi su Feuerbach[1], un insieme di 11 aforismi a quanto pare non destinati alla pubblicazione in questa forma, sono state scritte da Marx nel corso del 1845 mentre stava lavorando al manoscritto dell’Ideologia tedesca, anch’esso non pubblicato. Sono state scoperte più tardi da Engels e da lui pubblicate con alcune correzioni (non tutte prive di significato), come appendice al suo pamphlet Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1886)[2]. Sono considerate largamente una delle formulazioni emblematiche della filosofia Occidentale, talvolta comparate con altri testi estremamente brevi ed enigmatici che combinano una ricchezza apparentemente inesauribile con uno stile enunciativo da manifesto, che annuncia un modo di pensare radicalmente nuovo come il Poema di Parmenide o il Trattato di Wittgenstein. Alcuni dei suoi celebri aforismi hanno guadagnato a posteriori lo stesso valore di un punto di svolta in filosofia (o, forse, nella nostra relazione con la filosofia) come, per esempio dei già citati Parmenide e Wittgenstein rispettivamente: «tauton gar esti noein te kai einai »[3], «Worüber man nicht sprechen kann, darüber muss man schweigen»[4], ma anche lo spinoziano «ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum»[5] il kantiano «Gedanken ohne Inhalt sind leer, Anschauungen ohne Begriffe sind blind»[6] etc.
In tali condizioni è ovviamente allo stesso tempo estremamente allettante e imprudente avventurarsi in un nuovo commento. Ma è anche inevitabile far ritorno alla lettera delle Tesi, esaminando la nostra comprensione della loro terminologia e proposizioni, nel momento in cui decidiamo di valutare il posto occupato da Marx (e di una interpretazione di Marx) nei nostri dibattiti contemporanei. È ciò che vorrei fare ­­­– almeno in parte – in questo testo, con riferimento ad una discussione in corso sul significato e gli usi della categoria di ‘relation’ e ‘relationship’ (entrambi possibili equivalenti del tedesco Verhältnis), le cui implicazioni vanno dalla logica all’etica, ma in particolare implicano una sottile – forse decisiva – sfumatura che separa un’‘antropologia filosofica’ da un’‘ontologia sociale’ (o, una ontologia dell’‘essere sociale’, come Lukács, tra altri, direbbe). Questo scopo conduce in modo del tutto naturale a sottolineare l’importanza della Tesi 6, che recita (nella versione originale di Marx):
Feuerbach löst das religiöse Wesen in das menschliche Wesen auf. Aber das menschliche Wesen ist kein dem einzelnen Individuum inwohnendes Abstraktum. In seiner Wirklichkeit ist es das ensemble der gesellschaftlichen Verhältnisse.
Feuerbach, der auf die Kritik dieses wirklichen Wesens nicht eingeht, ist daher gezwungen: 1. von dem geschichtlichen Verlauf zu abstrahieren und das religiöse Gemüt für sich zu fixieren, und ein abstrakt – isoliert – menschliches Individuum vorauszusetzen. 2. Das Wesen kann daher nur als ‘Gattung’, als innere, stumme, die vielen Individuen natürlich verbindende Allgemeinheit gefaßt werden.
Ed ecco una traduzione italiana classica:
Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana. Ma l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali.
Feuerbach, che non penetra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto:
1.  Ad astrarre dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé, ed a presupporre un individuo umano astratto – isolato.
2.  L’essenza può dunque essere concepita soltanto come ‘genere’, cioè come universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente.
Tra i molti commentari che sono stati dedicati a queste proposizioni (e in particolare alle prime tre proposizioni), selezionerei quelli di Ernst Bloch e Louis Althusser, che mettono in luce posizioni esattamente antitetiche[7]. Per Bloch, il cui commento dettagliato, parte del suo magnum opus Das Prinzip Hoffnung, fu pubblicato in un primo tempo separatamente nel 1953[8], le Tesi includono la piena costruzione del concetto di praxis rivoluzionaria, presentata come la parola d’ordine (Losungswort), che oltrepassa l’antitesi metafisica di ‘soggetto’ e ‘oggetto’, ‘pensiero filosofico’ e ‘azione politica’. Esse esprimo l’idea cruciale che la realtà (sociale) in quanto tale è ‘mutabile’ (veränderbar) poiché la sua nozione completa non indica solo situazioni date o relazioni derivanti da un processo compiuto (cioè il presente e il passato), ma implica anche sempre già l’oggettiva possibilità di un futuro o una novità (novum), cosa che né il materialismo classico né l’idealismo hanno mai ammesso. Per Althusser, che si sofferma sulle Tesi come un sintomo di una rivoluzione teorica (o ‘rottura epistemologica’) attraverso cui Marx avrebbe lasciato cadere una lettura umanistica, fondamentalmente feuerbachiana, del comunismo, per adottare una problematica scientifica (non-ideologica) delle relazioni sociali e delle lotte di classe come motore della storia, esse meritano una lettura (alquanto controintuitiva) che mostra le ‘nuove’ idee come forzatura di un vecchio linguaggio per esprimere (o piuttosto annunciare, anticipare) una teoria che, fondamentalmente, non ha precedenti, ma le cui implicazioni sono ancora a venire (l’esempio principale di questa ermeneutica di concetti forzati, internamente inadeguati, è la lettura althusseriana della praxis come nome filosofico di «un sistema articolato di pratiche sociali»). È interessante notare che sia il commentario di Bloch che quello di Althusser implicano una forte sottolineatura dello schema temporale di un ‘futuro’ oggettivamente incluso nel presente come una possibilità dirompente – con la differenza che per Bloch questo schema caratterizza la storia, mentre per Althusser caratterizza la teoria o il discorso[9]  ...
                          
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giovedì 14 novembre 2013

Metamorfosi di Marx (1994)






                                          Rudy M. Leonelli
 
        in altreragioni, n.3, 1994
        su:

Étienne Balibar,
 La philosophie de Marx
La Découverte, Paris 1993


Con questo “piccolo” libro, Étienne Balibar si propone di «comprendere e far comprendere perché si leggerà ancora Marx nel XXI secolo: non soltanto come un momento del passato, ma come un autore ancora attuale, per le questioni che pone alla filosofia e per i concetti che le propone» 1, e di fornire al contempo uno strumento per orientarsi nei testi di Marx e nei dibattiti che suscitano. La formulazione del primo (principale) obiettivo non è semplicemente un pronostico, ma un performativo, essendo l’eventuale sparizione di una teoria non «un destino, ma l’effetto di un rapporto di forze»2.
  «Molto nuova e così antica – scrive Derrida – la congiura sembra al tempo stesso potente e, come sempre, inquieta, fragile, angosciata. Il nemico da scongiurare (conjurer), per i congiurati (conjurés) si chiama certo il marxismo. Ma si ha ormai paura di non riconoscerlo più. Si trema di fronte all’ipotesi che grazie a una di queste metamorfosi di cui Marx ha tanto parlato (“metamorfosi” fu per tutta la sua vita una delle sue parole preferite) un nuovo “marxismo” non abbia più la figura sotto la quale sotto la quale ci si era abituati a identificarlo e a metterlo in rotta. Non si ha forse più paura dei marxisti, ma si ha paura di certi non-marxisti che non hanno rinunciato all’eredità di Marx, paura dei cripto-marxisti, degli pesudo- o dei para- marxisti che sarebbero pronti a dare il cambio sotto dei tratti o delle virgolette che gli esperti angosciati dell’anticomunismo non sono allenati a smascherare»3.
 Credo – è il compito che vorrei assegnate a queste note – che sia possibile rilevare l’apertura di un nuovo spazio per la filosofia: un rientro esplicito di Marx (in nessun caso un semplice “ritorno a”) che, fuori e contro la sempre più insicura “euforia trionfante” della democrazia liberale, permetterà di pensare altrimenti: il tempo, i conflitti, le possibilità di resistenza e di trasformazione. La scrittura dovrebbe, in questa congiuntura, avvicinarsi al movimento di un sismografo: registrare, con un tratto minimo, uno spostamento più grande. E segnare alcune rilevazioni provvisorie: i sintomi, ancora dispersi, delle modificazioni di territori non uniformi, ma interessati da un generale processo di cambiamento.
 Per Balibar, la chiusura del ciclo storico in cui il marxismo ha funzionato come dottrina d’organizzazione apre inedite possibilità di leggere Marx: «Liberati da un’impostura, guadagniamo un universo teorico» 4. La negazione dell’esistenza di una “dottrina” filosofica marxista non dissolve le determinazioni né sfocia su un pensiero “debole”; consente al contrario di delimitare i concetti, di sottolinearne le tensioni e gli spostamenti interni, di costruire un diagramma delle biforcazioni e delle “rettifiche”, dei possibili luoghi di dissidio e linee di fuga.: una prospettiva ai limiti del marxismo che cerca di cogliere, insieme, ciò che nel pensare – non solo “con”, ma anche eventualmente “contro” Marx – è ancora marxiano 5.
  Leggendo Marx nella congiuntura, notiamo che Marx stesso «ha scritto nella congiuntura»; i suoi concetti solo ad un tempo rigorosi e «incompatibili con la stabilità delle conclusioni». La possibilità di un approccio di questo tipo è evidentemente data dal fatto che nel marxismo, e in particolare nel marxismo degli anni Sessanta e Settanta, di sono prodotti avvenimenti, aperture, spostamenti che, retroagendo sui testi di Marx, hanno irreversibilmente modificato il modo in cui possiamo leggerli. C’è un rapporto forte tra questo Marx «filosofo dell’eterno ricominciamento» 6 e «una caratteristica significativa dei concetti “althusseriani”: questi concetti sono sempre già “autocritici”. Contengono sempre già un elemento di negazione che li mette in pericolo, che fa vacillare il loro senso nel momento stesso in cui pretendono al più grande rigore. Contengono dunque in anticipo, un elemento che si oppone al fatto che il loro uso, il loro sviluppo, sfoci nell’univocità di una teoria “infine trovata”. Sono così sin dalla loro origine, un modo discorsivo di porsi essi stessi in disequilibrio, di assicurarsi contro la sicurezza di una “tesi” nel momento in cui la si sostiene» 7. In modo più specifico: la precedente problematizzazione, da parte di Balibar, del concetto di rottura epistemologica in Althusser, tesa a sottolinearne il carattere di rottura continuata, al tempo stesso irreversibile e incompiuta 8, presiede direttamente a questo attraversamento della «totalità aperta» 9 degli scritti di Marx, come tracciato costellato da ripetute oscillazioni, punti di crisi, focolai di instabilità. Questo andamento sismico o scismatico della teoria non è semplicemente uno “svolgimento” interno ad essa, ma l’effetto della sua costante messa in tensione con altre pratiche, della sua “programmatica” implicazione in congiunture storiche.
  Quanto alla congiuntura attuale, – in cui il libro si iscrive – il marxismo «è oggi una filosofia improbabile. Ciò attiene al fatto che la filosofia di Marx è nel corso del lungo e difficile processo di separazione dal “marxismo storico”, che deve attraversare tutti gli ostacoli accumulati da un secolo di utilizzazione ideologica. Ora, non si tratta per essa di ritornare al suo punto di partenza, ma al contrario di imparare dalla sua propria storia e  di trasformarsi nel corso della traversata. Chi vuole filosofare oggi in Marx non viene soltanto dopo di lui, ma dopo il marxismo: non può accontentarsi di registrare la cesura provocata da Marx, ma deve anche riflettere sull’ambivalenza degli effetti che essa ha prodotto – sui suoi sostenitori come sui suoi avversari»10.
  Ma, se l’impossibilità di «funzionare come impresa di legittimazione» è indicata come «una condizione quanto meno negativa» della vitalità del marxismo, sarà la condizione positiva a decidere della rilevanza presente e a venire di Marx. Essa «dipende dalla parte che i concetti di Marx giocheranno nella critica di altre impresa di legittimazione»11.

domenica 16 giugno 2013

Repetita iuvant


Étienne Balibar:

L’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx

L’aspetto più  «foucaultiano» dell’opera di Marx

trad. dal francese  di Rudy M. Leonelli

 

C'è ... certo conversione locale della violenza in forme sociali più «avanzate» dello sfruttamento – più «civilizzate», ed eventualmente più «produttive». Ma ciò avviene di fatto al prezzo del suo spostamento o della sua delocalizzazione. D’altra parte, è su questo soggetto che Marx propone un'analisi delle lotte di classe come un rapporto di forza evolutivo che possiamo retrospettivamente considerare come l’aspetto più «foucaultiano» della  sua opera [*]: il «potere» in effetti non vi figura come un termine univoco, riferito ad un'istanza che verrebbe dall’esterno a costringere il processo sociale, ma piuttosto come il rapporto stesso, vale a dire dire il risultato complesso e instabile del conflitto che si dispiega nel tempo tra disciplina e resistenza, tecniche di sfruttamento della forza  lavoro  umana (che Marx chiama «metodi di estrazione del pluslavoro»  [Mehrwert (fr. surtravail)] che sono anche, in un certo senso, delle «tecniche di governo», e lotte individuali o collettive che incarnano una forma di libertà sin dalle loro manifestazioni  più elementari (e non soltanto preparano  una liberazione «finale») ... 
 
da: E. Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133,  «Deuxième conférence. Une violence “inconvertible”? Essai de topique». 


____________________

[*]  Foucault stesso l'ha riconosciuto. Vedi in particolare il suo riferimento al «Libro II del Capitale» in  «Les mailles du pouvoir» [1981], Dits et écrits, Gallimard, 1994, t. IV, p.186-187). Questo «lapsus calami» di Foucault è sfortunatamente perpetuato da molti dei  de suoi commentatori: si tratta in realtà del tomo II dell’edizione di Marx  correntemente utilizzatoall'epoca in Francia (Le Capital in 8 volumi, Éditions Sociales, 1960), dunque verosimilmente del capitolo del Libro I su «la manifattura», che  è anche una delle fonti essenziali in Sorvegliare e  et punire. Questo errore  è stato rettificato e spiegato da Rudy M. Leonelli in «Fonti marxiane in Foucault», in  «Altreragioni», n° 9, 1999.

giovedì 23 maggio 2013

Étienne Balibar: Lezione gramsciana 2013, Bologna 23 maggio h. 17 (reminder)

Europa, nazioni:

 il popolo mancante e la crisi di legittimità


Lezione Gramsciana 2013 Lezione gramsciana 2013 
giovedì 23 maggio
ore 17.00
Sala convegni
Fondazione Gramsci via Mentana 2
Bologna

Lezione di
Étienne Balibar
 Discussants
Nadia Urbinati, Columbia University
Sandro Mezzadra, Università di Bologna


____________
more info: qui
 

mercoledì 20 marzo 2013

Étienne Balibar: « Un racisme sans races »

  Un racisme sans races



Relations : Y a-t-il continuité ou rupture entre le racisme d’hier et celui d’aujourd’hui qui a banni le mot race ?
  


Étienne Balibar : Il y a nécessairement des continuités essentielles, d’abord parce que les modes de pensée ou de représentation qui s’enracinent dans les sentiments d’appartenance et dans les images de la communauté n’évoluent que très lentement, mais surtout parce que – contrairement à ce que mes précédentes remarques pourraient donner à penser – le racisme n’est pas simplement un phénomène psychologique; il a toujours une base institutionnelle. Il m’est arrivé de dire que tout racisme est un « racisme d’État » : c’est peut-être tordre le bâton exagérément dans l’autre sens. J’avais en vue la façon dont se développait en France l’idéologie de la « préférence nationale », autour de laquelle la droite et l’extrême-droite ont échangé une partie de leurs discours et de leurs électorats ; mais je crois quand même que tout racisme est inscrit dans des institutions et dans les « effets pathologiques » plus ou moins accentués liés à leur fonctionnement.

venerdì 30 novembre 2012

Citoyen Balibar - Entretien, septembre 2012


Qui vient après le Sujet ? Le Citoyen, répond Étienne Balibar, saisi non plus dans une souveraineté solitaire, mais dans une communauté en devenir. Cependant l’égalité des droits que proclame la modernité n’exclut pas la ségrégation et l’exclusion. Dans ce grand entretien, le philosophe s’explique sur ce paradoxe qui nourrit aussi sa méthode d’analyse.
L’ouvrage d’Étienne Balibar, Citoyen-sujet et autres essais d’anthropologie philosophique (PUF, 2012), tient son titre d’une réponse à une question que Jean-Luc Nancy, en 1989, avait lancée à tout un ensemble de philosophes français d’orientations diverses : « Qui vient après le sujet ? » La manière de comprendre cette question en guide déjà la réponse : elle peut être saisie comme une question post-structuraliste, qui se demande ce qui se substitue au sujet, ou ce qui le relève, après le moment philosophique qui en fit la déconstruction. Étienne Balibar répond : « après le sujet vient le citoyen » – et s’en explique dans une série d’essais qui montrent comment le sujet est contesté de l’intérieur par une altérité qui certes le destitue de sa souveraineté solitaire, mais avec laquelle en même temps il compose une communauté toujours inachevée. Toute la réponse de Balibar repose sur une dialectique entre d’un côté le sujet compris dans sa double dimension, anthropologique (sujet conscient, sujet affecté) et politique (sujet soumis au pouvoir, sujet de droits) et de l’autre le citoyen, ou mieux : le concitoyen, de telle sorte qu’on ne saurait concevoir un devenir citoyen du sujet (le sujet comme être en commun), sans penser du même coup un devenir sujet du citoyen (le citoyen émancipé dans un processus de subjectivation).
Après le sujet vient donc le citoyen, ou plutôt : le citoyen-sujet, dans une communauté politique où l’universel (l’égalité des droits) est à la fois ce qui sauve et ce qui exclut : les différences anthropologiques (différences de classe, de race, de sexe…) y sont « à la fois disqualifiées en tant que justifications de discriminations au niveau des droits fondamentaux des “êtres humains” (dont le premier, ou le dernier, qui reprend tous les autres en son sein, est précisément l’accès à la citoyenneté), et disqualifiantes en tant que moyen privilégié de légitimer les ségrégations ou les exclusions intérieures qui privent de citoyenneté (ou de citoyenneté pleine et entière, “active”) une partie des êtres humains formellement “égaux en droits”. En d’autres termes, elles réalisent ce paradoxe vivant d’une construction inégalitaire de la citoyenneté égalitaire » (p. 27).
Nous avons demandé à Étienne Balibar de revenir sur ce paradoxe, en commençant par une question de méthode : comment lit-il les philosophes (Descartes, Locke, Rousseau, mais aussi Marx, Hegel, Freud ou Kelsen) qui nourrissent ses essais ? Quelle est sa stratégie d’écriture ? Cette stratégie est tout à la fois bien déroutante et très stimulante, puisqu’elle n’apparaît pas tant comme une analyse des doctrines consacrées par l’histoire des idées, ni même de leurs œuvres – que de textes précis, particuliers, en lequel il s’agit de rechercher et faire travailler « un point d’hérésie »... P. S.



1/ Vous reprenez à Foucault la question du point d’hérésie, qui vient contester ou renouveler l’idée d’épistémè. Qu’est-ce que ce point d’hérésie ? Comment se manifeste-t-il par exemple chez Descartes ?


2/ Du point d’hérésie à l’anthropologie





3/ Le paradoxe de l’universalisme bourgeois




4/ Peut-on concilier l’analyse de l’antagonisme de classe et la visibilité des différences anthropologiques ?

 
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 5/ Qu’est-ce qui nous rend solidaires des exclus ?



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Propos recueillis à Paris par Nicolas Duvoux et Pascal Sévérac.
 Prise de vue et montage : Ariel Suhamy.
par Nicolas Duvoux & Pascal Sévérac [28-09-2012]



giovedì 20 settembre 2012

Étienne Balibar: l’aspect le plus «foucaldien» de l’œuvre de Marx




Il y a ... bien conversion locale de la violence en formes sociales plus «avancées» de l’exploitation – plus «civilisées», et éventuellement plus «productives». Mais c’est au prix, en fait, de son déplacement ou de sa délocalisation. D’autre part, c’est à ce sujet que Marx propose une analyse de la lutte de classes comme un rapport de force évolutif qu’on peut rétrospectivement considérer comme l’aspect le plus «foucaldien» de son œuvre [*]: le «pouvoir» en effet n’y figure pas comme un terme univoque, référant à une instance qui viendrait de l’extérieur contraindre le processus social, mais plutôt comme le rapport lui même, c’est-à-dire le résultat complexe et instable du conflit qui se déploie dans le temps entre discipline et résistance, techniques d’exploitation de la force de travail humaine (que Marx appelle «méthodes d’extraction du surtravail») qui sont aussi, en un sens, des «techniques de gouvernement», et luttes individuelles ou collectives qui incarnent une forme de liberté dès leurs manifestations le plus élémentaires (et non pas seulement préparent une libération «finale») ...

   E. Balibar, Violence et civilité. Welleck Library Lectures et autres essais de philosophie politique, Paris, Galilée 2010, p. 133, «Deuxième conférence. Une violence “inconvertible”? Essai de topique».

martedì 18 settembre 2012

Roms : la commune humanité bafouée


Rom: la comune umanità schernita

Firmare una petizione e concorrere a farla circolare  è , come ha  sottolineato realisticamente Vincenza Perilli su Marginalia, un gesto limitato, ma  in casi come questo , vale comunque la pena di associarsi all'indignazione e alla protesta di fronte alla politica di espulsione dei "Rom stranieri" perseguita in Francia dal nuovo governo che ,su questi problemi cruciali, non ha rotto la continuità con il precedente governo di destra.
A cosa può servire cambiare Presidente se non a cambiare politica adoperandosi a sradicare e neutralizzare le condizioni del razzismo, del populismo, della xenofobia ?
 
Ho firmato ed invito a diffondere e firmare la petizione:
 Roms : la commune humanité bafouée,

giovedì 7 giugno 2012

Appello per un'Europa democratica: Sosteniamo la sinistra radicale greca



Sosteniamo la sinistra radicale greca 
Appello per un'Europa democratica
 Étienne Balibar, Rossana Rossanda, Michel Vakaloulis


Tutti sanno che, nell'evolversi degli avvenimenti che in tre anni hanno spinto la Grecia nell'abisso, le responsabilità dei partiti al potere dal 1974 sono schiaccianti. Nuova Democrazia e Pasok hanno perpetuato corruzione e privilegi, ne hanno beneficiato e fatto ampiamente beneficiare fornitori e creditori della Grecia, mentre le istituzioni comunitarie guardavano altrove. Potremmo stupirci del fatto che la Ue o l'Fmi, trasformati in baluardi di virtù e di rigore, si impegnino a riportare al potere questi stessi partiti che non hanno più nessun credito, denunciando il «pericolo rosso» incarnato da Syriza, minacciando di tagliare i viveri se le elezioni del 17 giugno confermeranno il rigetto del Memorandum come il 6 maggio scorso. Non soltanto questa ingerenza è in flagrante contraddizione con le regole democratiche più elementari, ma le sue conseguenze sarebbero drammatiche per il nostro avvenire comune. Ci sarebbe una ragione sufficiente per rifiutare, in quanto cittadini europei, di lasciar soffocare la volontà del popolo greco. Ma la situazione è ancora più grave. Da due anni i dirigenti dell'Unione europea, in stretta concertazione con l'Fmi, lavorano per spossessare il popolo greco della sovranità. Con il pretesto del risanamento delle finanze pubbliche e di modernizzare l'economia impongono un'austerità che soffoca l'attività economica, riduce alla miseria la maggioranza della popolazione, smantella il diritto del lavoro. Questo programma di risanamento sul modello neoliberista sfocia nella liquidazione dell'apparato produttivo e nella disoccupazione di massa. Per imporlo, c'è stato bisogno addirittura di uno stato d'emergenza senza equivalenti in Europa occidentale dalla fine della seconda guerra mondiale: il bilancio dello Stato è dettato dalla troika, il parlamento greco è ridotto a una camera di registrazione, la Costituzione più volte aggirata. La decadenza del principio di sovranità popolare va di pari passo con l'umiliazione di un intero paese. In Grecia è stato toccato il fondo, ma questa deriva non riguarda solo la Grecia. Sono tutti i popoli delle nazioni che la costituiscono ad essere considerati dall'Unione europea alla stregua di entità trascurabili, quando si tratta di imporre un'austerità contraria ad ogni razionalità economica, di combinare gli interventi dell'Fmi e della Bce a favore del sistema bancario, o di imporre dei governi di tecnocrati non eletti.